Non basta il talento, innegabilmente fondamentale, per fare un artista. È in effetti necessario che questo sia accompagnato da qualità umane il cui mantenimento e sviluppo non può che essere assicurato da un impegno costante. La capacità e il coraggio di operare un‘introspezione che porti alla conoscenza del proprio essere e dei propri limiti, è la prerogativa di coloro che sanno fare dell’arte un mezzo di insegnamento che risveglia le coscienze e incita al cambiamento. Abraham Poincheval è uno di loro.
Questo articolo propone un viaggio all’interno della mente di un uomo che ha fatto della sua capacità di vivere l’isolamento, una risorsa. Classe 1972, il francese Abraham Poincheval le ha provate proprio tutte, tanto da essere soprannominato il « performer dell’estremo ». Interrato in una fogna sotto la piazza del comune di Tours, chiuso dentro un orso impagliato per ben 13 giorni al Museo della caccia di Parigi, trasportato dalla corrente del Rodano in una bottiglia di 6 metri, seduto per 6 giorni su una piattaforma a più di 20 metri da terra alla gare Lyon di Parigi, e ancora presente al Palais de Tokyo (Parigi) covando delle uova per tre settimane in un’incubatrice formato gigante o confinato all’interno di una roccia ascoltando i segreti che i visitatori venivano a sussurrargli… Queste performance surreali sono il risultato di domande che sorgono ben presto nella mente di Abraham Poincheval, che già da studente si interroga su cosa sia l’arte e su come creare un’opera, e che lo condurranno in età adulta a “vivere nelle opere, più che in società” come afferma lui stesso.
Pertanto, lungi dal considerarsi un eremita, Abraham Poincheval precisa di essere una persona socievole che, come tutti, ama la compagnia. Sarebbe quindi errato credere che la sua lunga esperienza in ambito di avventure estreme gli conceda una sorta di immunità al senso di solitudine o alla paura che possono sorgere in ognuno di noi quando ci confrontiamo con una situazione che ci mette alla prova. Padroneggiare il tempo, senza il minimo punto di riferimento che sia anche solo sapere se sia giorno o notte, mantenere la stessa posizione durante il sonno e da svegli, superare la paura e affrontare la solitudine, sono queste le sfide a cui si sottopone Abraham Poincheval ogni volta che realizza un nuovo progetto. Per le sue performances è necessaria un’accurata preparazione fisica e mentale, che permette all’artista di allenare la sua volontà di mettersi in gioco e di vedere la difficoltà come un’eccellente opportunità di crescita.
L’artista non nasconde di aver avuto momenti di angoscia che ha controllato grazie agli esercizi di respirazione, lasciando derivare la sua coscienza ma tenendola sotto controllo. “Ci si può concedere delle scappatelle” dice “ma è necessario mantenere sempre un filo di Arianna che può essere riavvolto in pensieri”.
In questo contesto riemerge anche la nozione di noia, che secondo l’artista è benefica prima di un progetto poiché è un momento in cui la mente si riposa e in assenza di interpretazioni, le idee possono sorgere liberamente. Una volta in isolamento però, Abraham Poincheval precisa che non c’è più spazio per la noia poiché è per lui estremamente importante restare concentrato per non soccombere alla situazione di fragilità in cui si trova. Oltre al lato mentale, in effetti, anche il fisico può subire le conseguenze di un maggiore stallo, specialmente se si è confinati in uno spazio esiguo. Ne consegue l’importanza di praticare costantemente movimento fisico anche se limitato come nel suo caso.
Queste esperienze di solitudine hanno permesso all’artista di sviluppare una percezione più acuta, per questo egli considera che compiuto il doveroso percorso di apprendimento, l’isolamento “può essere un’opportunità per rinunciare al movimento perpetuo”. In definitiva Abraham Poincheval ci rivela una verità che non dovremmo mai dimenticare: “l’essere umano è un territorio non meno immenso che il mondo esterno”.
La sua testimonianza, già importante di per sé, assume un significato ancora più forte nel contesto attuale in cui il confinamento in casa per ognuno di noi si rivela necessario per fermare la propagazione del Covid-19.
L’artista ritiene che l’isolamento comporti tre tappe, la prima delle quali è l’adattamento a un nuovo ritmo di vita che implica particolarmente di ricentrarsi sul presente, cosa non facile visto che di solito si corre sempre dietro a non si sa bene cosa e ci si concentra più che altro su un avvenire che non arriva mai. In questa prima fase si cercano nuovi punti di riferimento e si instaurano delle nuove abitudini. In un secondo momento ci si riscopre e si comincia a riflettere su ciò che per noi è realmente importante. L’ultima tappa è quella che coincide con la fine dell’isolamento ed è una sorta di prova della verità in quanto ci permette di testare la nostra tenacia e cioè di comprendere se abbiamo tratto un insegnamento dalla situazione di isolamento in cui abbiamo vissuto. Lo esprime così bene Joan Mirò quando dice: “ciò che conta non è un’opera ma la traiettoria dello spirito durante tutta la vita”.
Ilaria Greta De Santis
Info:
Abraham Poincheval, Ours, 2014. Mixed media 160 × 220 × 110 cm Photo : Sophie Lloyd Courtesy Semiose, Paris
Abraham Poincheval, Oeuf, 2017. Hen’s eggs, blanket by Seulgl Lee and various materials Photo : A. Mole Courtesy Semiose, Paris
Abraham Poincheval, Walk on Clouds, 2020. Silver print, lightbox 87 × 240 cm Photo : A. Mole Courtesy Semiose, Paris
Parafrasando Fellini, vi dirò che sono un’ostrica e il mio percorso un granello di sabbia che sta trasformandosi in perla. Dalla laurea in legge a quella in storia dell’arte alla Sorbona di Parigi. Dalla capitale francese vi racconto di arte.
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