Africa a Venezia

Mentre in Francia si svolge la Stagione Africa 2020, dedicata ai 54 stati del continente africano, con lo schieramento di quindici Headquarters (HQ) dal 25 giugno all’8 novembre 2021, e su Artsy sono state lanciate African Galleries Now e 1–54 Contemporary African Art Fair New York, può essere interessante notare come alla Biennale di Architettura di Venezia 2021, curata da Hashim Sarkis, grandi installazioni di artisti africani aprono sia il Padiglione Centrale ai Giardini e sia il lungo percorso dell’Arsenale, proiettate l’una in un passato remoto e l’altra in un futuro distopico.

Al Padiglione Centrale ai Giardini ci troviamo di fronte a The Anthropocene Museum: Exibit 3.0 Obsidian Rain (2017) opera di Cave_Bureau composto dai Keniani Kabage Karanja e Stella Mutegi, un ufficio di architetti e ricercatori con sede a Nairobi che esplorano attraverso l’architettura e l’urbanistica l’ambiente naturale con indagini geologiche e antropologiche, ricerche, spedizioni e rilievi nelle grotte all’interno della Great Rift Valley. Stella Mutegi è direttrice e fondatrice di Cave_bureau, dirige il dipartimento tecnico di Cave ed è coinvolta nelle indagini sulle grotte nella Great Rift Valley. Cave_Bureau è il primo studio keniano a debuttare alla Biennale di Architettura di Venezia 2021.

Obsidian Rain è una installazione composta da 1.600 pietre di ossidiana raccolte a Gilgil, in Kenya, appese ad altezze precise da una struttura in legno e rete per replicare una sezione del tetto delle grotte di Mbai alla periferia di Nairobi, la città natale di Karanja. All’interno, i visitatori possono riposare sui tronchi di un cedro africano, arrivato anch’esso dal Kenya. Le grotte sono importanti nella storia recente del Kenya; negli anni ’50 i combattenti Mau Mau si riunivano lì per nascondersi e riorganizzarsi dopo gli scontri con gli inglesi a Nairobi. Era, come spiega Karanja, un luogo di “profonda contemplazione” per i combattenti della resistenza “per considerare quale sarebbe stato lo stato africano del futuro”. Il Museo dell’Antropocene prende il nome da quella che National Geografic ha definito “un’unità non ufficiale di tempo geologico”, a partire dalla rivoluzione industriale, quando l’attività umana ha cominciato ad avere un impatto sostanziale sugli ecosistemi e sul clima della terra.

All’Arsenale, appena entrati, ci si trova immersi nell’installazione scultorea della nigeriana Peju Alatise (1975) di Art Accent Studio, Alasiri: Doors for Conconcealment of Revelation (2020) dove esseri con strani attributi, imbrigliati in legamenti o vestimenti dipinti, si alternano a pannelli in cui si aprono porte con forme umane creando un labirinto di emozioni. Siamo nella sezione “Among Diverse Beings” Designing for new bodies e la sua proposta site-specific è un’installazione scultorea di porte e figure che vuol suggerire allo spettatore di essere “un custode segreto e contemporaneamente un estraneo e un addetto ai lavori”. Sul tema della mostra internazionale, HOW WILL WE LIVE TOGETHER? che peraltro ha affrontato tutte le sfaccettature del problema, Alatise ha affermato: “Gli Yoruba dell’Africa occidentale dicono “Yara rebete gba oju omo’kunrin ti won ba fera den’u” che significa: una piccola stanza può ospitare 20 giovani se hanno una comprensione più profonda l’uno dell’altro. Dicono anche “Eniyan ribi ilekun, ti o ba gba e laye ati wole, o ti di alasiri” che significa: le persone sono come le porte; se ti permettono di entrare, diventi il custode dei loro segreti.

Alatise è artista multidisciplinare, è architetto e autore di due romanzi, in passato si è occupata delle pratiche di sfruttamento del lavoro, dei bambini e delle ragazze, in Nigeria, della migrazione e delle politiche che portano a morire in mare alla ricerca di una vita migliore. Nel 2017, ha partecipato al debutto del padiglione della Nigeria alla Biennale d’Arte di Venezia, dove ha mostrato, Flying Girls, un’installazione di otto sculture a grandezza naturale, di bambine con le ali sulla schiena, in mezzo a un turbinio di uccelli e foglie, che sognano un futuro più luminoso.

A Londra è rappresentata dalla Sulger-Buel Gallery, fondata nel 2014 da Christian Sulger-Buel, specializzata nell’arte contemporanea dell’Africa e della sua diaspora.

La Galleria ha partecipato a 1–54 Contemporary African Art Fair New York la cui ultima edizione in presenza si è tenuta presso Industria nel West Village di New York nel 2019, con oltre 70 artisti in mostra e 24 gallerie partecipanti con approfondimenti sulle regioni dell’Africa e sulle loro comunità diasporiche. Si partiva dalla leggendaria Seydou Keïta insieme a Malick Sidibé per arrivare alle più recenti tendenze. La sesta edizione della fiera, rinviata causa COVID-19, si è tenuta online, in collaborazione con Artsy, con grande profusione di opere di pittura dal 17 al 23 maggio 2021, con in più la mostra da Christie’s al Rockefeller Center intitolata Knotted Ties, con opere di artiste che utilizzano il tessuto, illustrando sia il potere e la forza del lavoro tessile sia la sua capacità di trasmettere storie intricate dell’umanità, paesaggi sociali e realtà complesse.

Sempre con Artsy African Galleries Now riunisce una rete di 12 gallerie panafricane che espongono l’arte africana contemporanea dal continente dal 9 al 27 giugno 2021. Ogni galleria presentava quattro artisti visive (per un totale di 48) provenienti da Sudan, Zimbabwe, Sudafrica, Mozambico, Angola, Namibia, Uganda, Kenya, Nigeria, Botswana, Egitto, Mali, Camerun e Tunisia.

Info:

www.labiennale.org/it/architettura/2021

Cave_Bureau, The Anthropocene Museum: Exibit 3.0 Obsidian Rain, 2017, vista dell’installazione alla Biennale di Architettura di Venezia 2021, courtesy Cave_Bureau

Cave_Bureau, The Anthropocene Museum: Exibit 3.0 Obsidian Rain, 2017, vista dell’installazione alla Biennale di Architettura di Venezia 2021, courtesy Cave_Bureau

Peju Alatise, Alasiri: Doors for Conconcealment of Revelation, 2020, vista dell’installazione alla Biennale di Architettura di Venezia 2021, courtesy La Biennale di Venezia

Peju Alatise, Alasiri: Doors for Conconcealment of Revelation, 2020, vista dell’installazione alla Biennale di Architettura di Venezia 2021, courtesy La Biennale di Venezia


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