Agnieszka Kurant (Łódź, 1978) è un’artista che non è un’artista. O meglio, da non accostare alle più comuni modalità di identificazione del “fare arte”. «Art schools are boring» è, non a caso, una delle prime frasi da lei pronunciate nel corso di una breve chiacchierata e che fa da slogan più che adeguato a un modo di intendere il processo di creazione artistica che mina dalle fondamenta la stereotipata e fastidiosamente elitaristica “torre d’avorio” in cui è solito essere confinato. Un aspetto essenziale che alimenta la pratica di Kurant è infatti la volontà di aprirsi alle più svariate interazioni con una moltitudine amplissima di ambiti e professionisti. Co-autori delle opere di Kurant possono essere appunto scienziati, economisti o ricercatori capaci di dar vita a elaborazioni in cui, partendo da premesse basate su un metodo scientifico, si arriva a risultati in cui quel “tutto” risulta, ogni volta, un qualcosa che va oltre la semplice somma delle parti, dando vita a esiti che travalicano la capacità di controllo dell’artista. È questa sete di conoscenza, o “connection to knowledge”[1], prendendo in prestito quanto detto da Hans Ulrich Obrist a riguardo, che attribuisce alla pratica di Kurant le qualità di apertura costante al dialogo e alle più disparate forme di apprendimento e collaborazione. Un invito insomma ad abbracciare il diverso nella sua più totale complessità.
Ospitata all’interno del padiglione Henry J. ed Erna D. Leir del Mudam in Lussemburgo, la personale “Risk Landscape” (7 giugno 2024 – 5 gennaio 2025) – curata da Sarah Beaumont – utilizza una terminologia legata all’ambito del risk management per esplorare il concetto di speculazione attorno all’idea di futuro, configurando la pratica artistica come uno strumento concreto per la definizione di possibili scenari alternativi. A questo proposito l’artista dichiara: «One of my points of departure is the fact that today the future is being turned into speculative real estate. This exhibition is about the traces of the future in the present and the technologies that are speculating about or exploiting various kinds of futures». Ad aprire dunque la mostra, nel corridoio antecedente il padiglione, si ritrova “Future (Invention)” (2024), in cui Kurant dissemina pareti e pavimento di varie traduzioni della parola “futuro” (comprendendo terminologie che vanno dalla lingua Maori alla Malgascia o Mayara), mettendo in luce come l’idea di futuro non debba necessariamente ancorarsi alla “linearità” della concezione prettamente occidentale – tale per cui lo si proietta inevitabilmente in uno spazio temporale successivo alla consequenzialità passato-presente – ma possa essere formalizzato da culture differenti come qualcosa di più omnicomprensivo, multidirezionale e completo mediante una configurazione spaziale che avvolge l’azione percettiva dell’osservatore.
Opere come “Chemical Garden” (2021 – in corso), “Alien Internet” (2023) e “Conversions” (2023) esaltano la trasversalità e ampiezza tematica della pratica di Kurant, nonché quel senso di “ubiquità temporale” tale per cui si è spettatori di un’oscillazione costante tra un’idea di passato, presente e futuro spogliata di qualsiasi rigidità interpretativa per lasciare spazio a un flusso multidirezionale continuo. “Chemical Garden” si presenta come un ecosistema di strutture cristalline generate a partire dall’interazione di materiale chimico inorganico, in particolare sali di metalli ritrovabili nei componenti dei computer. “Alien Internet” invece è una struttura che si basa sull’impiego del ferrofluido – sostanza inorganica nera inventata dalla NASA nel 1963 e composta da nano particelle capaci di reagire a impulsi elettromagnetici – per dar vita a un sistema in grado di mutare costantemente in relazione alle variazioni del comportamento di milioni di animali tracciati per il mondo. Similmente (si fa per dire), “Conversions” è una struttura di cristalli liquidi le cui forme e colori variano grazie all’utilizzo di un meccanismo basato sull’impiego di intelligenza artificiale. Qui l’obiettivo si concretizza nella raccolta e analisi di dati legati alla rilevazione, sui social media, dei variegati sentimenti connessi alla volontà di cambiamento espressi da diversi gruppi di protesta. Lavori di questo tipo non ambiscono a nessuna volontà di compiutezza, ma a uno scambio intenso tra interno ed esterno.
Un dialogo dinamico e in evoluzione continua con il “mondo di fuori” tale da rievocare quell’idea di museo come centrale elettrica – kraftwerk – espresso da Alexander Dorner ne “Il superamento dell’arte”, ovvero di entità capace di cogliere e restituire quel flusso di evoluzione magmatica e cambiamento che costituisce l’essenza del reale. Nonostante Kurant elevi il metodo scientifico a principio fondante, le sue opere si animano di un divenire dalle proprietà quasi alchimistiche, traducendosi nell’espressione artistica di una volontà spasmodica di conoscenza dell’esistente che sgretola, quasi su una linea Fluxus 2.0, i confini fittizi tra arte e vita. L’abbandono di linearità in un’ottica di sviluppo evolutivo, lasciando spazio alla capacità immaginifica di tanti e diversi futuri possibili, sottostà alla creazione di opere come “Sentimentite” (2022), con cui Kurant mette in scena una previsione dal sapore distopico legata all’idea di valuta e al suo impiego. La scultura è a tutti gli effetti un nuovo minerale, risultato della polverizzazione e assemblaggio di oggetti (conchiglie, sigarette, ossa e così via) utilizzati nel corso della storia come materiale di scambio economico. Una volontà speculativa innerva anche “Air Rights 7” (2021), resto di un meteorite presentato in uno stato di levitazione e rimandante a quella pratica di rivendicazione, da parte di privati o organizzazioni, di proprietà di parti di pianeti, satelliti o altre componenti dello spazio.
Al piano inferiore, segue una medesima linea tematica “Risk Landscape” (2024) – titolo preso in prestito dall’ambito del risk management legato alle attività di previsione di scenari, più o meno quantificabili, connessi al verificarsi di disastri naturali, crisi finanziarie o conflitti geopolitici – formalizzato in tre ologrammi realizzati con la collaborazione di data scientists ed esperti nelle attività di previsione e formulazione di modelli legati a eventi catastrofici. Come finestre su domani ipotetici, l’opera, con una qualità quasi spettrale, mette in scena simulazioni di eventi di natura climatica, finanziaria e politica in tre contesti precisi: il Mudam in Lussemburgo, la striscia di Gaza in Palestina e a Lviv in Ucraina. “Lottocracy” (2024) è invece un meccanismo che gioca sui concetti di caso, rischio e probabilità. Ci si trova di fronte un macchinario contente una moltitudine di palline colorate, ciascuna delle quali è stata associata a un determinato evento assieme alla probabilità della sua effettiva realizzazione (come, ad esempio, la probabilità di essere colpito da un fulmine). A intervalli di tempo regolari, un sistema automatizzato ne estrae raggruppamenti ogni volta differenti mettendo in risalto, con la stessa asciuttezza di una lotteria, come un certo tipo di rischio e probabilità risultino, a lungo andare, più frequenti rispetto ad altri, facendo risaltare quel “mismatch” umano tra ciò che si reputa inconsciamente più probabile o meno rispetto a quanto poi in effetti accade. “Risk Management” (2020) si struttura invece sulla base di un processo di mappatura. Il primo riporta una serie di eventi peculiari e fenomeni collettivi registrati nel corso di mille anni (come l’epidemia del 1518 registrata a Strasburgo che fece ballare ossessivamente quattrocento persone per diversi giorni), lasciando trasparire come, nonostante l’adozione di un processo di raccolta dati basato su un metodo scientifico, la natura ambigua della materia in questione non può che risultare in un senso di totale incertezza circa i possibili sviluppi futuri di simili fenomeni. Di nuovo, dunque, la nettezza del contrasto tra una ricerca dal rigore analitico e la realizzazione di impotenza circa la possibilità di guardare oltre il tempo presente forti di un qualsiasi tipo di certezza.
Similmente, “Quasi-Objects” (2024) riporta una mappatura delle varie tipologie di gioco sviluppatesi nel mondo arrivando anche a concepirne di nuovi. Sulla base del concetto che il gioco, la sua ideazione e i suoi cambiamenti sono il frutto di un’azione collettiva, Kurant ridefinisce i confini globali e idealizza uno scenario interamente regolamentato dalle dinamiche ludiche. A conclusione del percorso, questa logica dell’imprevedibile viene esaltata in maniera ulteriore da “Future Anterior” (2007), otto pagine del New York Times create nel 2007 con il contributo di un chiaroveggente e alcuni ghostwriters per cercare di ipotizzare quale sarebbe potuto esserne il contenuto nel 2020. Dal collasso dell’Unione Europea al quasi azzeramento della foresta Amazzonica, gli intenti “profetici” di Kurant si conciliano con l’impiego di pigmenti termo-cromatici che fanno variare la visibilità del testo a seconda dei livelli di temperatura. Per fortuna, c’è chi come Agnieszka Kurant crede ancora nella necessità di aprirsi al diverso, al dialogo con l’altro, a una vera e propria volontà di coesistenza abbandonando ogni pretesa di ferrea autorialità nella consapevolezza che è negli ideali di apertura e condivisione che si può ritrovare un senso di completezza. Kurant intraprende il cammino di un’azione artistica che non si limita a una semplice registrazione passiva, ma mette in pratica una coraggiosa volontà di fare i conti con il mondo.
[1] https://www.nytimes.com/2021/11/12/t-magazine/agnieszka-kurant-art.html
Info:
Agnieszka Kurant. Risk Landscape
07/06/2024 – 05/01/2025
Mudam Luxembourg – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean
3, Park Dräi Eechelen
L-1499 Luxembourg-Kirchberg
www.mudam.com
Con una laurea specialistica in Economia e Gestione dei Beni Culturali e appassionato all’ambito dell’arte Contemporanea, alla sua dimensione economica e, più in generale, alle dinamiche caratterizzanti il mercato dell’arte, Gabriele ha maturato nel corso del tempo esperienze in contesti quali gallerie d’arte contemporanea, start-ups ed Art Advisory. Attualmente lavora nella casa d’aste Art-Rite come assistente di dipartimento di arte Moderna e Contemporanea.
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