«La sincerità è un grande ostacolo che l’artista deve vincere»
«Niente si sa, tutto si immagina»
(Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore)
A Bologna le gallerie Forni, Spazia e Studio la Linea Verticale si uniscono per celebrare e ricordare, con “L’inganno dell’immagine”, il pittore bolognese Alberto Colliva, scomparso nel luglio di quest’anno. La mostra, diffusa su tre sedi nel centro storico del capoluogo emiliano, ripercorre la carriera di un grande artista dal carattere schivo e riservato, che nel corso della sua vita si è sempre tenuto piuttosto lontano dai riflettori. Colliva (1943-2023) esordisce nel 1962 presso l’Atelier Battibecco – un artist-run space situato nel cuore della città e rimasto in attività per breve tempo – con altri due giovani colleghi, Maurizio Bottarelli e Franco Filippi. I tre artisti condividono una certa diffidenza verso le nuove tendenze dell’arte, all’epoca orientate prevalentemente verso l’informale, perseguendo una ricerca del tutto personale caratterizzata da una continua sperimentazione.
Cronologicamente il percorso della mostra inizia dalla Galleria Forni (via Farini, 26/F) con le opere degli anni Sessanta e Settanta che raffigurano interni onirici, spazi incerti fra immaginazione e realtà e visioni di mondi apocalittici. «È difficile sottrarsi al fascino che le pitture di Colliva esercitano istantaneamente, per l’enigma che esse suscitano»: inizia in questo modo il testo critico scritto da Roberto Tasso nel 1976, che la galleria propone per ricordare la collaborazione con l’artista nel corso degli anni Settanta. Non possiamo che concordare: entrando nella prima sala, gli olii su tela raffiguranti stanze e passaggi conducono l’osservatore a interrogarsi su cosa stia guardando. Cosa c’è dietro quella porta? Dietro le mura? Sotto l’intonaco? Chi abita questi spazi privi di figure umane? Cosa sappiamo della quarta dimensione? Il tempo è sospeso. Forse si tratta di un futuro distopico, o forse di un passato frammentario fatto di ricordi che si mescolano in un groviglio indecifrabile. Oppure è il presente, quello dell’osservatore che si perde in inganni prospettici, lucide illusioni nascoste fra gli spigoli nitidi di una pittura tecnicamente perfetta, all’altezza dell’arte rinascimentale. Essa però non vuole trasmettere quella pace nell’animo, ma appunto turbarla come se quell’ordine non fosse in realtà possibile e l’incomprensibilità dell’opera fosse data nel suo non rivelarsi, come in un rebus.
I tre quadri sulla sinistra della prima sala raffigurano degli stipiti, tutti riempiti diversamente: il primo sembra sbarrato, il secondo introduce un’altra dimensione come un portale e il terzo un ambiente misterioso. Queste porte, insieme agli ambienti onirici dei quadri sulla destra, rimandano all’atmosfera perturbante di certi racconti di Kafka: pensiamo soprattutto a quel brevissimo capolavoro dello scrittore ceco che è “Ritorno a casa” (“Heimkehr”), con i suoi interni domestici un tempo familiari che diventano improvvisamente inospitali, estranei, unheimlich, fino a generare in chi li abita un senso di smarrimento. Davanti alle opere di Colliva, l’amico e collega Bottarelli lo ricorda non solo per la sua grande abilità e intelligenza, ma anche per i molteplici interessi coltivati, tra cui la letteratura e in particolare la fascinazione per Fernando Pessoa, ribadendo altresì che al tempo del loro comune esordio ciò che li animava era principalmente la volontà di affermare un proprio linguaggio personale indipendente da mode e influenze. Quanto al rifiuto delle avanguardie dell’arte contemporanea, Colliva non aveva manifestato un’opposizione di principio, ma aveva fatto una scelta precisa, esprimendo la volontà di superare l’arte a modo suo, sfidandola nei limiti del suo territorio più caro: la tela dipinta.
Alla Galleria Spazia (via dell’Inferno, 5) il focus è sulla produzione degli anni ‘90, caratterizzata da tele di diverso formato a tecnica mista raffiguranti panneggi e forme sinuose che si confondono nel chiaroscuro. La grande tela circolare della prima sala cita il Tondo Doni di Michelangelo, pur raffigurando un groviglio inestricabile di forme, alcune delle quali riconoscibili come dettagli dell’anatomia umana che affiorano da una composizione che vuole essere tutt’altro che leggibile. Più si ha l’impressione di riconoscere i singoli elementi, più appare oscura la visione di insieme e vano il tentativo di trovare una soluzione rasserenante a questo enigma visivo. Osservare i quadri di questa serie è come guardare le nuvole, cercare di vedere oltre il muro della retina per accedere a una profondità di significato occulta. Nelle tele sono però assenti il cielo e la terra, mentre il colore giallo dello sfondo sembra rimandare a un passato remoto nel quale i vuoti introducono i pieni come se fossero i frammenti di una visione in mutamento, in aggregazione o sgretolamento.
Le ultime due sale ospitano le tele più inquietanti dipinte da Alberto Colliva: se alcune potrebbero sembrare sogni, anche forti di una componente erotica, altre appaiono piuttosto come incubi, benché sia difficile stabilire vere e proprie linee di demarcazione nei meandri di un simile tessuto onirico. Tra i quadri di questa serie, uno in particolare ricorda “Incubo” di Füssli: i panneggi in primo piano si fondono in una sola figura mentre due piccoli occhi emergono dallo sfondo come a sfumare ulteriormente la rigidità dei significati rassicuranti che emergono da una simbologia chiara. I quadri evocano inoltre la presenza di un disturbo visivo, una sorta di perturbazione nella percezione, tema già presente in alcune tele esposte alla Galleria Forni, in cui è come se la materia solida, per esempio il legno di una porta, si aggrovigliasse su sé stessa. Questa caratteristica sembrerebbe quasi prefigurare certe immagini odierne prodotte dall’intelligenza artificiale generativa, opere imperfette che possono facilmente rivelare la propria imperfezione a un occhio esperto, ma che sono a tutti gli effetti nuove, mai esistite prima. È nei vuoti, negli spazi bianchi tra un’immagine e un’altra che agisce questo strumento, trovando proprio in quegli interstizi la possibilità di innovare. È forse così anche per Colliva? Si tratta di un omaggio all’in-between, al vuoto in mezzo al pieno, all’incerto più che al sicuro?
La Linea Verticale (via dell’Oro, 4) ospita infine la produzione più recente dell’artista, quella degli anni Novanta e Duemila. L’ultimo periodo è il più essenziale: i mondi onirici e gli ambienti metafisici privi della presenza umana tendono a scomparire, dando spazio al vuoto della tela dipinta di bianco. Le immagini, nel loro gioco di luci e di ombre, ricordano dei crani che si accartocciano su sé stessi rivelando spazi interni oscuri. Questi dispositivi di interrogazione si pongono come il teschio del memento mori ma agiscono inversamente introducendo l’enigma della vita: una domanda alla quale si può solo tentare di dare una risposta. Una serie di tele 40×40 cm rivela l’uso del nastro adesivo come parte fondamentale dell’arsenale creativo di Alberto Colliva. La più recente tra le opere esposte è una porta del 2009, o quello che ne rimane: un grande foro squarcia il legno, che sembra bruciato, tumefatto, e introduce il colore bianco che pervade lo spazio. È il nulla di un inizio? O il tutto di una fine? Oppure viceversa? O entrambe le cose? Potrebbe anche solo trattarsi di un momento di sincerità in cui si svela l’inganno della rappresentazione. Oltre la porta non si intravedono mondi onirici, ma il varco oltre il quale è dipinto il vuoto ci riconduce alla realtà che si cela dietro l’illusione.
Info:
Alberto Colliva, L’inganno dell’immagine
testo critico di Pasquale Fameli
30/09/2023 – 07/10/2023
Galleria Forni
via Farini 26/F, 40124 Bologna
galleriaforni.com
30/09/2023 – 21/10/2023
Galleria Spazia
via dell’Inferno 5, 40126 Bologna
galleriaspazia.com
30/09/2023 – 04/11/2023
Studio la Linea Verticale
Via dell’Oro 4B, 40124 Bologna
studiolalineaverticale.it
Originario di Bologna, studia design della moda e arti multimediali allo IUAV di Venezia. Crede nella possibilità di sconfinamento tra le discipline e che l’arte possa avere un ruolo attivo nell’abbattere le disuguaglianze e unire le persone creando comunità.
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