Che importanza, valore, significato possono avere per giovani artiste/i uno spazio e delle attività come quelli che fanno a capo a Palazzo Vizzani di Bologna, sede dell’associazione Alchemilla? Per farsene un’idea basta leggere il testo di presentazione di Kenny Alexander Laurence curatore dell’esposizione Tu mi chiami a compiere un atto d’amore (promossa da Alchemilla in collaborazione con Slug), anch’egli artista coinvolto nell’evento. In tale testo, infatti, ridondante di riferimenti filosofici e impregnato di invettive contro il mondo contemporaneo, appare in tutta la sua giustificata veemenza l’impegno frustrato di una generazione giovane protesa verso un futuro assente se non distopico, dove la speranza parrebbe definitivamente mortificata, se non fosse appunto per le occasioni rese possibili da realtà come Palazzo Vizzani e Alchemilla, celebrate quasi come due accoglienti e stimolanti oasi, rifugio per le tanto attualmente bistrattate creatività, intelligenza e condivisione empatica.
L’invito a visitare tale esposizione viene dunque presentato anche come l’offerta di un’opportunità per lo spettatore di trovare conforto e comunanza per sollevarsi dall’arida, alienante e aggiungiamo pure sempre più temibile atmosfera dei nostri tempi. Aggirandosi tra le fascinose quanto ampie sale di questo palazzo si possono in effetti apprezzare le opere di queste nuove presenze della scena artistica contemporanea: opere che spaziano dall’installazione scultorea, all’audio-video, alla performance. Pur essendo rintracciabili delle convergenze tra gli approcci e le gestualità così attestati, ogni autore mantiene la sua ben distinta singolarità.
Nicola Bianco (1993) è poeta e performer: è a lui che l’esposizione Tu mi chiami a compiere un atto d’amore deve un intervento dove un materiale trasparente e vermiglio si trova disseminato in distese di punte acuminate disposte su un pavimento oscuro e investite da una fredda luce radente. Si consiglia chi osserva di non restare incantato dall’affascinate contrasto tra il lucore e la penombra, onde evitare il rischio di incappare nell’irta minaccia.
D’altro canto, di Riccardo De Biasi (2000), illustratore, fotografo e fashion designer, con interessi spazianti tra l’antropologia culturale e l’archeologia, si possono vedere ceramiche enigmatiche raffiguranti un improbabile ed elegante calcetto da tavolo e graziose scarpette da racconto esoterico, mentre accanto lo sguardo può essere catturato da un recipiente con testa umana e corpo alato proveniente da non si sa quale scavo mentale. Al di sotto, quasi fosse a caso, un’edizione de l’“Apocalisse”.
Nella stessa mostra, l’osservatore ha poi potuto assistere all’appassionata performance di Camilla De Siati (1997) incentrata sul tormento del corpo femminile, ora contratto in postura autoprotettiva all’interno di una sorta di tana scavata all’interno di un mucchio di sale, ora esposto alla precaria ricerca di un imprecisato e temibile altrove, il tutto immerso in una nebbia più o meno fitta e una lontana eco musicale entrambi spaesanti.
Quanto al già citato Kenny Alexander Laurence, nato in Martinica nel 1998, curatore e saggista, oltre che cofondatore del collettivo curatoriale Slug, fa della creolità, della storia caraibica e degli studi postcoloniali un nodo importante dei suoi interessi, che a Palazzo Vizzani si sono espressi in un gruppo di figure simboliche dalla foggia tentacolare che evocano, a seconda dell’angolatura scelta dallo sguardo, figure marine arenate e esangui o simboli di ritualità ancestrali, mantenendo comunque un’indecifrabile ampiezza all’alone semantico così innescato.
Una vera passione per il tulle è invece la cifra che contraddistingue l’opera e le performance di Rebecca Momoli (2000), spaziante tra disegno, pittura, fotografia, scultura e scrittura, che per l’esposizione di Palazzo Vizzani ha coperto il pavimento di una sala con una specie di gonna sovradimensionata appunto di leggiadro e tenero tulle, che pare destinata a una sperabilmente felice ceremonia con al centro però un nero e puntuto obelisco, si direbbe crudele, dall’aspetto marmoreo. Non è probabilmente da escludere un qualche sia pur vago riferimento critico al tema fallocratico.
Infine di Marco Resta (1997) è da menzionare il gesto semplice, quanto efficace, nello stile vagamente horror a lui congeniale: un’intensa luce rossa dietro una porta settecentesca socchiusa, quasi in attesa di qualche vittima che lo spettatore potrebbe temere di incarnare. Mentre ci si avvicina e la curiosità spinge a vedere che c’è dietro in testa non può non risuonare il fatidico: “Non aprite quella porta!”. Chi ancora si ostina e si azzarda a sperare nel connubio arte contemponea e giovani non può dunque non mancare questa esposizione Tu mi chiami a compiere un atto d’amore, dove troverà materiale abbondante con cui mettere alla prova tanto i suoi pregiudizi quanto le sue capacità di giudizio.
Info:
Tu mi chiami a compiere un atto d’amore
Artisti: Nicola Bianco – Riccardo De Biasi – Camilla De Siati – Kenny Alexander Laurence – Rebecca Momoli – Marco Resta
a cura di Kenny Alexander Laurence
5 – 28/05/2023
Alchemilla, Palazzo Vizzani
Via Santo Stefano 43, Bologna
www.alchemilla43.it
Valerio Romitelli (nato a Bologna nel 1948) ha insegnato, fatto ricerche e tenuto conferenze in Italia e all’estero. Suoi ambiti disciplinari: Storia delle dottrine politiche, Storia dei movimenti e dei partiti politici, Metodologia delle scienze sociali. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’amore della politica (2014), La felicità dei partigiani e la nostra (2017), L’enigma dell’Ottobre ‘17 (2017), L’emancipazione a venire. Dopo la fine della storia (2022).
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