Vorrei spiegare chi siete, ma senza riassumerlo personalmente, vorrei che vi descriveste attraverso il titolo di un’opera d’arte.
Tania: “Can’t help Myself”, Sun Yuan and Peng Yu, 2016. Se dovessi descrivermi partirei sicuramente dalla sfera emotiva, che, nel mio caso, influenza anche tutte le altre. Questa opera, dalle molteplici chiavi di lettura, di tipo sociale, politico, psicologico, è principalmente legata al concetto di ricerca di controllo, un istinto innato nell’uomo, nella sua accezione contraddittoria. La macchina dell’opera ha il compito di contenere un liquido in una successione di movimenti ripetitivi che la portano compulsivamente a tentare di contenere qualcosa di incontenibile, in una danza paradossale della vita. Questa sensazione di controllo relativo, di inciampo inevitabile, di tentativi fallimentari legati alla propria memoria cognitiva, la ritrovo nella gestione delle emozioni, un’azione difficilmente contenibile. Anche il processo artistico richiede un notevole sforzo. Da questo punto di vista è un procedimento fluido fatto di riempimenti e svuotamenti, che a volte vorresti contenere ma che all’atto pratico sono impossibili da arginare.
Lazlo: “Do Androids Dream of Electric Sheep?” Philip K. Dick, 1968. Sin da quando, nella mia infanzia, ho visto la trasposizione cinematografica di questaopera letteraria (Blade Runner, Ridley Scott, 1982), sono rimasto catturato dalla sua storia e dalle sue tematiche, dall’importanza dellaempatia, da uno scontro tra realtà e finzione, e dalla lotta tra i desideri personali e quelli collettivi; tematiche fondamentali per quello che è oggi il mio modo di concepire il mondo. Sono affascinato da come la percezione del reale sia spesso molto soggettiva e mi viene naturale cercare di capire i ragionamenti degli altri, sia che si tratti di persone reali, sia di personaggi di invenzione. Probabilmente tendo a proiettarmi nella psiche altrui spinto da una difficoltà a convivere con la mia interiorità, forse è anche per questo che nel nostro lavoro artistico, Tania e io, diamo vita a realtà altre che prevedono varie stratificazioni di letture e un intreccio di situazioni altrui con quelle personali.
La fotografia ha già espresso tutto o si può ancora scoprire qualcosa di più?
Tania e Lazlo: La fotografia è un mezzo, pertanto dipende da come la si usa, da quello che sivuole comunicare o esprimere:risiede lì la scoperta. Può essere utilizzata come strumento di ricerca, di sperimentazione, come soggetto stesso dell’opera ribaltando il suo ruolo principale o, come piace fare a noi, come “alterazione percettiva” per insinuare il dubbio nell’osservatore, portandolo a chiedersi se quello che sta guardandosia o meno una rappresentazione della realtà.
Tra Jeff Wall e Andreas Gursky chi sentite sia più vicino al vostro modo di fare arte?
Tania: Jeff Wall, sicuramente. La prima volta che ho visto un Jeff Wall dal vivo sono rimasta folgorata. È successo con la sua opera “Dead Troops Talk”, esposta a Palazzo Grassi a Venezia nel 2006, all’interno della mostra “Where are We Going?”. Era la prima volta che mi scontravo dal vivo con una fotografia in grande formato e mi ha toccata in modo così diretto ma allo stesso tempo ambiguo, in quanto l’opera raccoglie contradizioni grottesche e penetranti.
Che cosa pensate dell’influenza che i social hanno nell’attività di un artista contemporaneo, nello specifico nella vostra?
Tania e Lazlo: Sentimenti contrastanti. Li usiamo, ne capiamo la rilevanza e le potenzialità, ma ci spaventano alcuni aspetti, come la velocità del consumo dei contenuti. Ci piace il fatto che mettano in connessione persone con le stesse passioni, che permettano di informarsi in base ai propri interessi, e pensiamo che per un artista possano essere un mezzo utile a mostrare la propria produzione, il proprio approccio artistico e il proprio pensiero. I social possono essere interessanti per raccontare il dietro le quinte, lo studio, i progetti in via di sviluppo e tutte le cose che girano intorno al lavoro d’artista e alla persona, piuttosto che per la condivisione delle opere concluse in sé, dato che la fruizione delle opere vere e proprie andrebbe sempre fatta dal vivo, nei luoghi a loro
Avete una metodologia precisa o questa può cambiare di progetto in progetto?
Tania e Lazlo: Sicuramente negli anni abbiamo sviluppato in maniera naturale un pattern metodologico che seguiamo nella nostra produzione. Iniziamo cercando di cogliere spunti, concetti, pensieri sfuggenti, visioni, che a volte nascono nel sogno e dall’inconscio, a volte in maniera razionale, attingendo da molteplici aspetti della società. Condividiamo reciprocamente le idee grezze che poi andiamo a limare o modificare totalmente in base a quello che ci interessa in quel dato momento. Quando troviamo il giusto bilanciamento, passiamo alla fase progettuale dove, attraverso disegni e bozzetti, delineiamo quello che abbiamo in mente per poi capire come approcciare la realizzazione. Arriva poi lo stadio di ricerca, di composizione e allestimento dei set fotografici, dove tutti gli elementi che faranno parte delle nostre creazioni confluiscono, è il momento dove finalmente possiamo toccare con mano quello che prima era solo nei nostri pensieri. Alcuni lavori sono realizzati creando interamente scenari non reali, altri facendo degli interventi mirati in location esistenti. Utilizziamo oggetti trovati nei mercatini, o altri creati appositamente per l’opera. Solitamente interpretiamo in prima persona i soggetti raffigurati, oppure ci occupiamo di selezionare alcune persone da coinvolgere, con le quali miriamo anche a creare un vero e proprio legame nella fase dello scatto. Tutto deve trovare il giusto posto e la giusta sinergia.
Come ha influito la pandemia nella vostra produzione artistica?
Tania e Lazlo: All’inizio è stato devastante: siamo rimasti del tutto bloccati. È stato un periodo di introspezione e riflessione, dove abbiamo iniziato a buttare giù le idee per i progetti che avremmo potuto realizzare quando la situazione sarebbe migliorata. Nel frattempo, abbiamo avuto anche il tempo di rivedere con calma il materiale realizzato negli ultimi anni, e in questo processo ci siamo affezionati a immagini che non avevamo mai mostrato, come i lavori che avevano portato a delineare l’essenza della serie Behind the Visible. Ed è cosi che abbiamo iniziato a ideare e realizzare il nostro primo box set Accidentally Stumbling on Exposed Roots, una raccolta di immagini che rappresentano per noi un viaggio consapevole, ma crudo e ricolmo di incontri, visioni, inciampi, desideri e allucinazioni. Una selezione di suggestioni visive raccolte in fase di ricerca, che scava tra tematiche e linguaggi estetici, vicine al nostro lato più selvaggio, accogliendo l’imprevisto. A settembre 2021, quando finalmente hanno riaperto gallerie, musei e festival, abbiamo avuto il piacere di presentare in anteprima questa nuova raccolta nella nostra mostra personale all’interno del Festival Internazionale di Fotografia Photo Open Up a Padova, ma anche in un percorso espositivo allestito da BI-BOx Art Space a Biella.
Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto presso la mostra personale da BI-BOx Art Space, Settembre 2021. Courtesy degli artisti
Tania Brassesco & Lazlo Passi Norberto, Lost River, dalla serie Behind the Visible. Courtesy degli artisti
Tania Brassesco & Lazlo Passi Norberto, Endless Void, dalla serie Behind the Visible. Courtesy degli artisti
Artista e curatore indipendente. Fondatore di No Title Gallery nel 2011. Osservo, studio, faccio domande, mi informo e vivo nell’arte contemporanea, vero e proprio stimolo per le mie ricerche.
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