Angela Madesani è storica dell’arte, critica e curatrice indipendente. Tra le mostre da lei firmate ricordiamo: “Utopie quotidiane” al PAC di Milano (insieme a Vittorio Fagone, 2002) e “Cantieri dell’Arte” presso le ex Cartiere Binda di Milano (2004), ha curato la prima edizione di “Fotografia Europea” a Reggio Emilia (2006) e Kaléidoskope d’Italie presso il CNA di Dudelange, in Lussemburgo (2009). Tra le sue numerose pubblicazioni, si segnalano: “Rubare l’immagine. Gli artisti e la fotografia negli anni Settanta” (2001), “Il mondo dei Carpi” (Mazzotta, 2001); “Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia” (Bruno Mondadori editore, 2002); “Storia della fotografia” (Bruno Mondadori editore, 2005); “Le intelligenze dell’arte. Gallerie e galleristi a Milano 1876-1950” (Nomos, 2016). È, inoltre, autrice di numerose monografie di prestigiosi autori fra i quali Gabriele Basilico, Giuseppe Cavalli, Franco Vaccari, Vincenzo Castella, Francesco Jodice, Anne e Patrick Poirier, Luigi Ghirri, Giulio Paolini.
Con Angela Madesani parliamo della sua formazione e dei suoi prossimi impegni lavorativi.
Ci puoi parlare della tua formazione e di come e perché hai iniziato a occuparti di cultura visiva contemporanea?
Ho frequentato la facoltà di Lettere Moderne alla Statale di Milano. Chiesi la tesi all’insegnante di Storia dell’Arte Medioevale, poiché in quel periodo, a Milano, non c’era la cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea. In seguito, arrivò Maria Mimita Lamberti a occuparla, ma io non potei chiederle di farmi da relatrice, anche se avevo già capito che quello era l’ambito che mi interessava. Nel 1991 mi sono laureata e ho iniziato subito a collaborare con giornali e riviste, anche se non mi interessava dedicarmi al giornalismo, dato che la mia passione era lo studio. Inoltre, mi sono resa conto che frequentare gli studi degli artisti era un privilegio straordinario, così ho iniziato a dedicarmi alla critica militante. E dal 1996 ho curato mostre senza soluzione di continuità. Non potrei fare un altro lavoro. Sin da bambina i libri sono stati una mia grande passione e nel corso degli anni ho raccolto quasi 25mila volumi, con un’attenzione particolare, negli ultimi dieci anni, per i libri d’artista.
A un certo punto hai deciso per una svolta e ti sei dedicata in maniera specifica al mondo della fotografia. C’è una qualche motivazione alla base di questa tua scelta?
In realtà la fotografia è sempre stata presente nei miei pensieri. Prima mi piaceva maneggiare le macchine fotografiche poi ho iniziato, già appena laureata, a interessarmi di storia della fotografia. Non è un caso che il primo catalogo per cui ho scritto un testo fosse dedicato proprio al lavoro di una fotografa, Maria Mulas.
Al momento, con una recessione mondiale “in corso d’opera”, da una prospettiva italiana, come vedi il futuro della fotografia contemporanea?
Congiunture disastrose permettendo, io non credo che il mercato dell’arte subirà un tracollo e la fotografia ormai fa parte di esso. Come sempre accade con le crisi mondiali, vi sarà una pulizia. Molta robaccia sparirà. Altra ne sopraggiungerà. Le opere importanti terranno botta. Sarebbe da augurarsi che i collezionisti riescano a capire che gli acquisti non vanno fatti solo con l’ausilio di Artprice e le diverse quanto saltuarie mode culturali, ma studiando, informandosi. Ne conosco alcuni che agiscono così, mossi dalla curiosità e dallo studio, e hanno messo insieme delle collezioni straordinarie che hanno anche un grande peso economico.
Se tu avessi dei capitali in eccesso, quali opere di fotografi pensi sarebbe giusto acquistare?
Io comprerei fotografia italiana del dopoguerra, i grandi raffinati maestri che hanno ancora prezzi bassi. I fotografi della Bussola per esempio. Poi comprerei opere realizzate da artisti che hanno utilizzato la fotografia dagli anni Sessanta ai Settanta. Ci sono cose stupende che meriterebbero di essere guardate con altri occhi.
E se tu dovessi dare qualche suggerimento a un giovane collezionista con mezzi economici limitati?
Gli darei il consiglio che ho dato poc’anzi: leggere, guardare molto in modo da formarsi un proprio gusto.
A breve aprirà la XVIII Biennale Donna (dal 20 settembre al 22 novembre 2020, Palazzina Marfisa d’Este, Ferrara), poco dopo (dal 3 ottobre 2020 al 10 gennaio 2021, Fondazione Ragghianti di Lucca) la mostra dedicata alle sperimentazioni di Cioni Carpi. Entrambe queste mostre sono da te firmate; ci puoi dire qualcosa su entrambe e sul perché meriterebbero una visita?
La Biennale Donna di Ferrara è dedicata quest’anno alla fotografia di reportage, ci sono interessanti scoperte da fare, alcune straniere bravissime e da noi poco conosciute e la scoperta di grandi fotografe come Lori Sammartino o Chiara Samugheo, poste accanto a Diane Arbus, a Letizia Battaglia, a Lisetta Carmi. Cioni Carpi è stato un grande artista, un raffinato intellettuale che merita una riscoperta. Le sue opere, oltre a essere belle, sono visionarie, ricche di spunti intelligenti. Sono grata a Paolo Bolpagni che ha avuto il coraggio di farmi curare questa mostra su di lui.
Tuoi progetti o previsioni per il 2021?
Scaramanticamente non amo parlare del futuro. Ho nel cassetto alcune ricerche. Ho voglia di studiare e di scoprire. Spero che la gente che frequenta le mostre riesca a cogliere il senso di quanto sta guardando, concedendosi tra una chiacchiera e l’altra anche qualche pausa di osservazione e riflessione.
Paola Agosti, Sud Africa, Cape Town, 1983. © Paola Agosti, ph courtesy XVIII Biennale Donna, Ferrara
Giovanna Borgese, Torino, 1980, ph courtesy XVIII Biennale Donna, Ferrara
Lisetta Carmi, Genova-Porto, sala chiamata, 1964, © Lisetta Carmi, ph courtesy Martini & Ronchetti (opera esposta alla XVIII Biennale Donna di Ferrara)
Cioni Carpi, tavole per Un gatto qua e là, 1962, tecnica mista su carta, cm 13 x 17, © Alberto Messina 2020, ph courtesy Fondazione Ragghianti, Lucca
È direttore editoriale di Juliet art magazine.
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