Anne e Patrick Poirier. Apoptosi

Il sodalizio artistico e di vita di Anne e Patrick Poirier (Marsiglia, 1941; Nantes, 1942) è iniziato più di cinquant’anni fa quando, vincitori del Gran Prix de Rome mentre erano studenti all’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs, soggiornarono presso l’Accademia francese di Villa Medici a Roma dal 1968 al 1972. Il tempio di Adriano, la Domus Aurea e le rovine di Ostia antica si scolpirono indissolubilmente nel loro immaginario, suggerendo la loro identificazione creativa con un architetto e un archeologo per continuare i loro studi sul campo. Quest’operazione costituì l’innesco e il leitmotiv della loro variegata e continua produzione artistica, da sempre alimentata dall’interesse per la storia e per la ricerca urbanistica, entrambi utilizzati come strumenti per rilevare ciò che del passato rimane nel presente. La rovina, dunque, è vista non tanto in senso nostalgico, ma come una sopravvivenza che riesce ad arrivare all’oggi grazie alla sua intrinseca capacità di essere ancora agente attivo nel generare nuovi universi di pensiero.

Anne e Patrick Poirier, Apoptosi, exhibition view. Foto Francesco Rucci

Anne e Patrick Poirier, Apoptosi, exhibition view. Photo Francesco Rucci, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

Dal punto di vista stilistico l’esperienza dei due artisti, che fin dagli esordi hanno rifiutato di identificarsi con un medium specifico, si pone a metà strada tra le esperienze “citazioniste” degli anni ’70 e ’80, il neoclassicismo post-concettuale di Paolini e il monumentalismo tipico di molta scultura degli anni ’80. Sfruttando i timbri più diversi (materici, ambientali e letterari) Anne e Patrick Poirier combinano all’infinito forme ormai collaudate dalla tradizione classica, elementi naturali e scrittura per elaborare un discorso analitico e autoreferenziale sull’arte, che scopre di essere, in ogni momento della sua storia, contemporanea a tutti i momenti che compongono quella stessa storia. La mostra Apoptosi, appena inaugurata alla galleria Studio G7 di Bologna, offre una preziosa occasione di approfondire da vicino la poetica di questi due maestri dell’arte contemporanea attraverso una selezione di opere storiche, recenti e inedite, miratamente rappresentative delle tematiche e dei registri espressivi dei due coniugi. Il concetto di apoptosi richiamato dal titolo, che definisce un particolare processo biologico con cui un organismo vivente si rigenera attraverso la morte programmata di alcune delle sue cellule, individua come costante di tutta la produzione del duo francese una sorta di “pratica della rinascita” legata alla visualizzazione del susseguirsi nella storia dell’umanità di civiltà che incessantemente muoiono per essere sostituite da altre. A questo processo è riconducibile l’attitudine alla stratificazione che accomuna i lavori esposti, che suggeriscono come gli artisti, manipolando le rimanenze di ciò che sembra destinato a scomparire, sottraggano questi frammenti di materia e di tempo all’irrimediabilità della dispersione riattivandone il potenziale immaginifico e tangibile.

Anne e Patrick Poirier, Mnemosyne, 1990-2022, resina bianca, specchio acrilico, pittura acrilica, 100 x 80 x 25 cm, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

La mostra idealmente si apre con Mnemosyne (1990-2022), progetto scultoreo di città-ideale dedicata alla dea della memoria e madre delle Muse, che i Poirier avviarono in Francia inconsapevoli delle convergenze delle loro intuizioni con quelle dell’omonimo Atlante (1924–29) di Aby Warburg, autore sul quale gli artisti ricordano gravasse l’ostilità della critica francese, che per molti anni ostacolò la traduzione e la circolazione dei suoi scritti. Quello che vediamo a Studio G7 è un’edizione in scala ridotta di un’installazione  architettonica ambientale di forma ellittica che immagina una Biblioteca in grado di racchiudere il sapere umano nella sua interezza, un tempio del futuro in cui tutte le memorie e i saperi, senza distinzioni gerarchiche, possano convivere in modo integrato. La struttura, divisa in due parti riconducibili alla distinzione tra il sapere pratico-tecnico e quello teorico, nel suo dichiarato rimando alla forma e alle funzionalità del cervello si rivela un efficace dispositivo di transizione tra la macro e la micro dimensione, in cui la forma mentis è – letteralmente –  sia il fondamento di un’urbanistica universale e sia l’intimo crogiolo in cui si crea l’io individuale.

Anne e Patrick Poirier, Cosmos, 2017, pietra di fiume raccolta all’Abbazia di Thoronet dorata a foglia oro, sfera di lazarite, 35 x 25 x 20 cm, pietra diametro 16 cm, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

Come sottolinea il testo critico di Leonardo Regano, l’anatomia del cervello ritorna anche «nei due emicicli della pagina fogliare di loto che si staglia sul fondo scuro in Angkor (2009)», ricordo di un  viaggio in Cambogia in cui la coppia si avventurò subito dopo il primo soggiorno romano, in un periodo in cui la sanguinosa guerra civile fra il Partito Comunista di Kampuchea alleato con i Vietcong e le forze governative nazionali, sostenute dagli Stati Uniti d’America e dal Vietnam del Sud, avevano svuotato il Paese di studiosi e visitatori. A distanza di anni, l’inclusione di quel reperto in una superficie pittorica fumosa come la mischia di un campo di battaglia metabolizza il ricordo di quell’esperienza in una commovente metafora del destino di caducità e instabilità a cui è votata la specie umana. La sensibile interiorizzazione della fragilità che accomuna la storia collettiva e l’universo naturale è, inoltre, all’origine delle preoccupazioni ecologiste che, fin dal periodo della residenza a Villa Medici, improntano la poetica dei due artisti ispirando loro la pratica di prelievo, calco, conservazione e riproduzione di elementi vegetali che tutt’ora è uno dei filoni caratterizzanti della loro ricerca. In entrambi gli ambiti i loro interventi hanno la doppia valenza di proteggere ciò che è sopravvissuto dall’aggressione del tempo e di trasmettere al futuro la continuità con il passato che ne costituisce il presupposto fondante.

Anne e Patrick Poirier, Angkor, 2009, carta canson, carboncino, foglia di Lotus, 250 x 145 cm, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

Anne e Patrick Poirier, Sogno, 2017, pietra dorata a foglia d’oro, gesso dorato, 28 x 14 x 17 cm, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

In mostra troviamo diverse declinazioni dell’inserimento di reperti di natura nelle opere, espressione di un innesto osmotico tra la dimensione personale del viaggio, in cui l’esplorazione fisica del mondo confluisce in un’incantata flânerie intellettuale tra i classici delle scienze umanistiche e la prospettiva corale della storia. La funzione di raccordo tra queste due diverse estensioni dell’esistenza umana è garantita dalla scrittura, altra modalità tipica del processo creativo dei Poirier, che ricorre a seconda dei casi sotto forma di diario, citazione letteraria, annotazione poetica o sintetica individuazione di coordinate geografiche e temporali. Si tratta anche qui di una sorta di raccolta di impressioni finalizzata alla preservazione di una memoria in cui la componente intima e autobiografica connessa all’occasione del ritrovamento si dilata fino ad assumere un rilievo esemplare.

Anne e Patrick Poirier, Apoptosi, exhibition view. Photo Francesco Rucci, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

Nel grande Journal d’Ulysse (2021) spaginato e installato a parete gli artisti associano souvenir delle loro quotidiane passeggiate mattutine, come foglie essiccate o piume d’uccello (fissate su carta al centro di inquadrature ancora una volta ellittiche), a riflessioni scaturite durante il percorso nell’incontro con gli oggetti scelti e a specifiche combinazioni cromatiche dello sfondo astratto che sintetizzano visivamente l’irripetibile tonalità emotiva di ciascuna giornata. La vocazione enciclopedica di questo progetto, che riconduce la traccia del ricordo individuale a una mitologica esplorazione dell’esistente di cui l’instancabile vagabondare di Ulisse è emblema, si stempera nella bellissima serie intitolata Graffio poetico (2022). Ciascuna tavola ha come protagonista l’ingrandimento fotografico di un petalo di fiore su cui compare una scritta, sempre diversa, realizzata iniettando l’inchiostro nel materiale vegetale. Le fotografie testimoniano i diversi gradi di assorbimento del colore artificiale che si espande come alone più o meno marcato attorno alle parole e si diffonde nelle venature dei petali sostituendosi alla linfa naturale, di cui fa emergere i vasi conduttori.

Anne e Patrick Poirier, Apoptosi, exhibition view. Photo Francesco Rucci, courtesy the artists and Galleria Studio G7, Bologna

Nelle immagini stereoscopiche che compongono Gradiva (2000), di cui vediamo esposti gli ultimi due lavori ancora disponibili sul mercato, si sovrappongono invece scatti annebbiati della riva della Senna devastata dall’alluvione occorsa nell’anno di realizzazione dell’opera e la misteriosa sagoma di una donna incappucciata ripresa dall’omonima novella di Wilhelm Jensen. Nel racconto un giovane archeologo, folgorato da un bassorilievo raffigurante una ragazza dell’antichità colta nell’atto di camminare, fantastica che provenga da Pompei e che sia vissuta nel periodo precedente all’eruzione del Vesuvio. L’innesto di questa figura onirica (già ripresa a vario titolo da Freud, Dalí, Masson, Breton, Barthes e Leiris) nel paesaggio reale, che la sfocatura a sua volta proietta in un tempo diacronico, ne riattiva la sopravvivenza nel presente esplicitando in maniera esemplare quell’integrazione tra tempo archeologico e tempo psichico che costituisce forse il più efficace agente di trasformazione poetica del metodo di indagine del duo francese.

Info:

Anne e Patrick Poirier. Apoptosi
con un testo critico di Leonardo Regano
24/01 – 08/04/2023
Galleria Studio G7
Via Val D’Aposa 4A, 40123, Bologna
https://www.galleriastudiog7.it/


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