Apparatus 22, collettivo artistico fondato a Bucarest nel 2011 dagli attuali membri Erika Olea, Maria Farcas e Dragos Olea assieme a Ioana Nemes (1979-2011), torna a GALLLERIAPIÙ con una nuova riflessione estrema sul corpo, questa volta smaterializzato e proiettato in un lontano futuro, reso plausibile da un’immaginazione radicale. Se i lavori della serie Several Laws. The Elastic Test esploravano il corpo in crisi, lacerato da pulsioni di controllo sociale e auto espressione, la mostra in corso ipotizza un universo parallelo in cui il corpo, e forse anche la coscienza, elaborano dispositivi di sopravvivenza geneticamente modificati per adattarsi a ciò che potrebbe accadere nel prossimo millennio. Andare molto lontano nel tempo significa anche acquisire una maggiore distanza critica dal presente e rilevare i germi del cambiamento immaginandone gli sviluppi amplificati con un esercizio di poesia costruttiva. Arrangements & Haze quindi è una capsula spazio-temporale, un pensiero immersivo che diventa ambiente e incubatrice di entità liberamente derivate da ciò che consideriamo oggi corpo, un sistema coerente in cui logica e utopia plasmano nuove forme di individualismo e coercizione.
Ancora una volta l’indagine del collettivo parte dalla pelle, il nostro organo più esteso, l’interfaccia protettiva e osmotica che ci separa dal mondo esterno, la guaina contenitiva che assicura l’ordine e il funzionamento delle interiora. Ma in questo caso la pelle contiene un corpo mentale fatto di parole, è un organismo elementare o ipertecnologico che una misteriosa intelligenza artificiale ha marchiato con un messaggio in codice. Un corpo multiplo formato da otto brandelli di cuoio teso, intelaiato e tatuato ridisegna lo spazio della galleria con altrettante poesie lapidarie accerchiando il visitatore in un vero e proprio assedio mentale.
Quale potrebbe essere il perfetto assemblaggio per raggiungere il piacere? Sarà possibile digitalizzare la saggezza e il dolore? Se il progresso permetterà di dislocare il futuro e il passato, quale grado di realtà sarà assegnato al presente? Il corpo può essere un materiale come qualsiasi altro da rimodellare in qualcosa di assolutamente nuovo? La ricerca di funzionalità annienterà la bellezza? Queste sono solo alcune delle scottanti domande suscitate dai testi che la tabula rasa dello sfondo bianco enfatizza anziché neutralizzare. Per definire la serie gli Apparatus hanno coniato il termine hardcore minimalism, che ben evidenzia la compenetrazione di sensualità, rigore formale, eccesso immaginativo e visionarietà scientifica su cui si fonda il paradosso di questi corpi quintessenziali ancora capaci di evocare le loro intangibili viscere. L’opera si completa nella proiezione mentale dello spettatore che introiettando le parole, secondo gli artisti meglio se lette ad alta voce, riesce a figurarsi un corpo del sesso artificiale con un’anima umana, un organismo resistente agli incidenti interstellari ingabbiato nella propria immortale efficienza, un cervello-processore in grado di comprendere ciò che ora non riusciamo nemmeno a immaginare per poi dimenticarlo senza sforzo. Ma anche la tenerezza presa in affitto, il sapere sintetico controllato dalle grandi corporazioni, l’automazione che sostituisce il pensiero, la voce suadente del potere supremo che induce all’obbedienza, l’etica artificiale, l’alienazione del lavoro. La fantasticheria trapassa nell’incubo senza soluzione di continuità perché pensare al futuro è eccitante e spaventoso allo stesso tempo, soprattutto se nella realtà in cui viviamo cominciamo a riconoscere le avvisaglie di una corsa inarrestabile verso il rumore bianco.
Dalla manipolazione verbale si passa a quella dei materiali: la seconda parte della mostra, il cuore malleabile di questo immaginario macro-organismo, è costituito dai fluxus-like prototypes, una serie di oggetti sperimentali che esplorano la conoscenza nascosta nel corpo attraverso azioni fisiche generate dall’ibridazione di razionalità, logica e scienza con pratiche rituali, casuali e magiche. Anche qui il filo conduttore è la pelle, lo stesso cuoio sbiancato dei quadri precedenti, ora non più costretto dalla tensione del telaio e lasciato libero di adagiarsi con molle negligenza su altre forme imperfette. Anzitutto una genealogia di stampelle sovradimensionate e instabili – paradigmatico esempio di protesi inutilizzabile e per questo autosufficiente – che diventano macchine quantiche e amuleti con poteri sovrumani per opporsi alla strumentalizzazione del nuovo corpo. Oppure una Samples bank, archivio totemico orizzontale di possibilità ancora inespresse ma già codificate e previste da algoritmi onniscienti o la strana vita di forme elastiche in The form is pregnant, trittico di strutture biomorfe nate per solleticare un piacere tattile compulsivo. Ancora più estremi, gli Hand Tools for molding deep convinctions suggeriscono come l’incorporazione (o l’inoculazione) di un pensiero richieda adattamento e sofferenza e invitano a riflettere su come le limitazioni imposte alla nostra fisicità influiscano sulla percezione delle cose. Dalla fisicità rude di questi strumenti si passa al polo opposto, il lightbox “senza scatola” Those flames are burning, un’immagine mista digitale e analogica su tessuto retroilluminato che svelando la sua struttura interna diventa un’apparizione quasi magica.
La missione di questi oggetti, che auto-dichiarano la loro discendenza dalle sperimentazioni pure degli artisti Fluxus degli anni Sessanta, è esplorare le conseguenze di una processualità svincolata dalla funzione, captare l’energia nascosta nel caos dell’irrazionale per suggerire alla scienza modalità operative più libere e ipotizzare una forma tangibile per ogni stadio provvisorio del pensiero creativo. Il loro aspetto volutamente maldestro e incompleto, inoltre, mette in scena il travaglio interiore di una macchina empatica che tenta di capire cosa le manchi per essere umana protendendo le sue appendici nel vuoto per fare esperienza del mondo esterno annusandolo e toccandolo. L’embrionale sensualità della protesi è il primo passo verso l’autonomia progettuale di un ingranaggio che vuole espandersi per ribellarsi all’establishment, è il sintomo di un cambiamento radicale che non ci è dato ancora sapere se preannunci un nuovo alleato oppure una minaccia.
Nella penombra qualcosa cresce.
Info:
Apparatus 22. Arrangements & Haze
29 settembre – 22 dicembre 2018
GALLLERIAPIÙ
Via del Porto 48 a/b Bologna
Apparatus 22, Arrangements & Haze series, oggetti (incisione laser su cuoio tinto a mano in bianco), 2017
Apparatus 22, Quantum machine. Empathy so difficult to crack, form no longer follows function, neo-ergonomics haunted by the chaos of flesh, stampelle, cuoio, elastico, mattoni, pellicola trasparente, LED, fotografia su PVC, 2018
Apparatus 22, Samples Bank. The rush of possibilities is formidable, mattoni, stampelle, cuoio, 2018
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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