Se provassimo ad ascoltare in silenzio le narrazioni del nostro tempo, scopriremmo che si tratta di voci che stanno bisbigliando. Sussurri di storie che si contrappongono alle grida della Storia. Sotto voce, sotto superficie, sotto il silenzio degli anni che scorrono lontani dalle rubriche dei giornali. Letteratura e cinema sono stati i primi a raccogliere le sfide di questi bisbigli sfuggenti tanto difficili da decifrare per orecchie poco attente. Viene in mente il genere dei memoir letterari, dove l’intimità legata a ricordi e sensazioni è elevata a processo di incubazione artistica, esempi eclatanti sono il celebre classico Mémoires d’une jeune fille rangée di Simone de Beauvoir, ma anche il più recente Les années di Annie Erneaux, entrambi testi in cui viene dimostrato come la famiglia assuma un ruolo di primo rilievo nella creazione del sé.
Numerose sono anche le connessioni tra la settima arte e la mostra Argo in queste righe presentata. Non a caso infatti, l’esposizione in questione, dopo essere stata ospitata nello splendido Palazzo Ducale di Genova, viene allestita per la sua tappa bolognese – visitabile solo dal 12 al 15 dicembre 2024 – a Bologna presso la sede della fondazione Home Movies-Archivio nazionale dei film di famiglia: primo ente in Italia che dal 2002 si occupa di preservare, valorizzare e restaurare filmati amatoriali che costituiscono un patrimonio storico di primaria importanza sociologica. Le realizzazioni cinematografiche che con volontà documentaristica e toni nostalgici riprendono scene quotidiane dell’infanzia e della giovinezza trascorsa in luoghi ormai scomparsi, con persone ormai defunte o in epoche in cui si respirava, per così dire, una musica diversa, sono sempre più acclamate dalla critica e dal pubblico dei festival. Sto pensando in particolar modo sia alla Les années super 8, ad opera dei coniugi Erneaux; ma anche a film emergenti come Agathe, Solange et moi, di Louise Narboni, anche se gli esempi sono davvero innumerevoli.
Con la mostra Argo, Paolo Bufalini (classe 1994), artista romano operante a Bologna, si inserisce in questa corrente para-documentaristica. Una tendenza che, proprio grazie all’apparente semplicità della forma e dei contenuti, ha il merito di accogliere produzioni in vari linguaggi artistici. L’artista, scardinando il luogo comune secondo cui le narrazioni intimistiche e di famiglia meglio si addicono alle donne, mette in atto una riscrittura di momenti reali che vengono estratti dalla temporalità (o meglio dalla presunta e illusoria linearità di questa); dalla realtà fisica e deperibile – quella del corpo e anche della carta fotografica – per essere trasformati in dati da reinterpretare in nuovi linguaggi. La serie di immagini realizzate con l’ausilio di intelligenze artificiali a partire da fotografie analogiche prese dagli album di famiglia, ne sono la prova. Di fatto, la modifica involontaria delle sembianze dei famigliari dell’artista, i cui ritratti analogici si erano rovinati nel corso del tempo a causa di agenti atmosferici, sono stati trasposti nella dimensione virtuale del ritratto digitale con inglobati tali difetti, non afferenti quindi ai soggetti fotografati, bensì imputabili al tempo inesorabilmente veloce nonché al media che li aveva a sua volta modificati: la luce, la nitidezza, la naturalezza di un sorriso o la rigidità di una posa sono tutti elementi che appaiono davanti allo sguardo dell’obiettivo. Una rinascita continua avviene anche all’interno di due ampolle che troviamo esposte e che a prima vista non si direbbero connesse al resto della mostra. Il liquido presente all’interno è derivato dalla fusione di gioielli di seconda mano, liquido che può essere ritrasformato eventualmente con una nuova fusione in oro. Questo ci ricorda l’importanza della vita in ogni sua forma e dimensione, ma anche la possibilità di reinventare tutto ciò che è materiale e che ci circonda. La reincarnazione degli oggetti è come la reinvenzione del passato, che si trasforma per divenire un passato aumentato, il che provocatoriamente e simbolicamente permette all’essere umano di andare oltre il muro innalzato lungo l’asse temporale, permettendo di agire su ciò che è avvenuto prima della nostra nascita. Il titolo, Argo, allude probabilmente al nome della nave di Giasone usata per salpare verso le misteriose terre della Colchide, e richiama l’idea del viaggio. Nell’attuale esposizione, tuttavia, il viaggio è di tipo introspettivo e onirico; con l’obiettivo di interrogare e indagare la propria natura piuttosto che conquistare il vello d’oro.
Le persone fotografate sono famigliari dell’artista, in particolare il padre, la madre e la sorella. Ma la peculiarità è che il solito protagonista delle fotografie, ovvero lo sguardo, è assente da questi ritratti. Le persone sono infatti rappresentate come dormienti. Non si tratta tuttavia di un ritorno alla macabra abitudine vittoriana di ritrarre i defunti come se stessero dormendo, bensì di voler penetrare nel momento più intimo della vita di un individuo: il riposo notturno, durante il quale si è più esposti e vulnerabili. In chiave di lettura anticapitalistica, si tratta invece di guardare con maggiore interesse al momento in cui si è temporaneamente liberi dalla produttività imposta e dall’oppressione legata al consumismo obbligato. Nelle versioni analogiche delle fotografie – che coprono un arco temporale che va dagli anni Cinquanta ai primi anni Duemila – le persone erano vive, sveglie e sorridenti. Invece l’artista rende i suoi nuovi soggetti digitalmente addormentati, come a voler suggerire la dimensione onirica a cui si possono ricondurre le immagini generate dal nostro cervello e ora anche dalle intelligenze artificiali.
La luce scelta per accompagnare gli spettatori all’interno del progetto espositivo è più che mai adeguata. Si nota subito il forte contrasto tra le due sale della mostra: la prima illuminata a giorno, la seconda immersa nel buio. Il contrasto risalta ancora di più tra la mostra attuale e la sala che la ospita, ovvero una stanza di un ex convento (un ex refettorio delle monache dell’ex convento di S. Mattia), le cui pareti sono ancora in parter decorate da affreschi. Si viene quindi a creare un dialogo artistico che colma la distanza di più di cinque secoli. Se la prima sala è inondata di luce, la seconda presenta invece un ambiente in grado di creare un’atmosfera più che mai silenziosa e in penombra, come se lo stesso spettatore entrasse in una camera da letto, di notte, munito di torcia. Il getto di luce che circonda le stampe ricorda, infatti, proprio il cerchio di luce di una torcia puntata su un obiettivo non da svegliare bensì da esaminare, analizzare, scoprire, il tutto in religioso silenzio. Si vuol trasmettere l’idea di contemplazione che è da un lato propria del mondo dell’arte, assimilandola anche alla contemplazione verso chi si ama, proprio come in Beloved e in The land of nod dove la compagna dell’artista appare addormentata e dove i valori derivati dal suo battito cardiaco e dalla sua respirazione diventano dati misurabili e quantificabili e vengono poi esposti, resi visibili come risultato – limitato – in risposta a una domanda: quando è che si conosce davvero qualcuno? Quando possiamo affermare di sapere chi siamo? La nuova mostra di Bufalini è stata curata, nell’ambito di The Next Real | Art, AI & Society, la rassegna di mostre, talk e laboratori, dall’organizzazione culturale transdisciplinare Sineglossa, che si occupa di informare e far riflettere la collettività sulle risorse e le sfide rappresentate dall’avanzamento tecnologico. Paolo Bufalini si serve di tali innovazioni al fine di portare la ricerca della conoscenza di sé a un nuovo livello. Un dialogo continuo con i suoi due progetti precedenti, che vanno a comporre una trilogia autobiografica dove l’artista ha interrogato le persone del suo passato, gli affetti del proprio presente, i media che meglio ci sapevano raccontare ieri, uniti alle forme di espressione più nuove di oggi. Quale sarà il prossimo capitolo?
Giulia Gorella
Info:
Paolo Bufalini. Argo
A cura di: Sineglossa | Organizzazione culturale transdiciplinare
12/12/2024-15/12/2024
Ex convento di S. Mattia, Fondazione Home Movies – Archivio nazionale dei film di famiglia
Via Sant’Isaia 20 Bologna
Orari di apertura: giovedì 12 dicembre 18 – 21, venerdì 13 dicembre 9 – 18, sabato 14 e domenica 15 orario 14 – 18
Ingresso libero
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