Esistono luoghi, che sono delle vere e proprie oasi nel deserto. Posti forse insospettabili, che tanto hanno da raccontare, ma su cui ancora troppa poca luce posa lo sguardo. Il Museo MARCA di Catanzaro è una di queste oasi: un luogo votato all’arte che, in linea con la ricca tradizione culturale e artistica del territorio, si pone come centro polifonico dell’arte antica e di tutte le espressioni del contemporaneo. Le sale del museo ospiteranno fino al 31 marzo 2022 la mostra Autarkeia II. Il richiamo della materia, firmata dall’artista Aron Demetz e curata da Alessandro Romanini, un interessante progetto espositivo, che dialoga e si confronta con la collezione permanente del museo.
Le sculture dell’artista acquisiscono lo spazio nella loro apparente immobilità ma ne sono autonome: lo spazio, che viene quasi annullato, diventa secondario, mero contenitore. Le figure, che spesso nascono dalla staticità di blocchi di legno, nascono dalla materia, si svincolano da quella in eccesso e raccontano la fragilità che è insita nei loro corpi. Sulla pelle delle sculture vengono fissate sensazioni e quei corpi, così reali, che sembrano come congelati in un attimo perfetto, parlano e raccontano, grazie a una verosimiglianza straordinaria, che lascia il fruitore senza fiato e che induce a un inevitabile confronto. Le opere di Demetz sembrano proprio far capo al concetto di Autarkeia: seppur esteticamente belle, rifuggono dal voler essere messaggio estetico o orpello, sono corpi vivi che attraverso la loro forma scultorea e quindi materica, esistono. L’artista, che indaga i processi di trasformazione della materia, ha saputo trasportare nell’arte contemporanea una pratica che ha origini antichissime, traducendola però in una visione personale che non vuole essere riproduzione del reale ma piuttosto, rilevazione. Di seguito, l’intervista all’artista!
Claudia Pansera: Generalmente e forse banalmente, mi piace iniziare le interviste, cercando di raccontare e lasciare raccontare liberamente agli artisti, chi sono e che background possiedono. Tuttavia, con lei mi piacerebbe iniziare con una domanda diretta, tramite la quale spero si racconti: che cosa significa essere un artista contemporaneo?
Aron Demetz: È il tentativo di assegnare un artista a un tempo definito. Oggigiorno una definizione molto diluita.
CP: Attualmente, il Museo MARCA di Catanzaro ospita la sua mostra Autarkeia II. Il richiamo della materia. È un titolo interessante, che già dice molto. Perché questa scelta? Che cosa racconta questo progetto espositivo e com’è nato?
AD: Il progetto è nato da un incontro con il presidente Rocco Guglielmo, avvenuto già qualche anno fa. Avendo fatto nel 2018 una mostra al MANN di Napoli abbiamo deciso di continuare il percorso, con le opere che sono nate principalmente dopo questo evento. Negli ultimi anni la mia ricerca ha rivolto particolare attenzione alla materialità e al coinvolgimento del processo di lavoro nell’opera.
CP: Ho letto e ho potuto osservare io stessa, al MARCA, che le sue opere sono il risultato di processi che aggrediscono la materia. E spesso la materia, come nel caso della resina, continua a lavorare autonomamente dopo essere stata applicata sulla scultura. Entra in gioco la fragilità ma anche la trasformazione della materia, che si rinnova e in qualche modo rinasce. Questi processi sono controllabili? Quando, per lei, un’opera è finita?
AD: Ogni materia ha caratteristiche diverse, memorie e stadi e l’artista cerca, a modo suo, di trovare una maniera di sfruttarli per la propria arte. Chiaramente ognuno sente diversamente la materia, ha origini diverse o prende decisioni momentanee per ciascun’opera, che a un certo punto trova una forma che può funzionare al momento. Ma forse non è mai finita, perché è solamente un momento istantaneo di una ricerca che continua.
CP: Osservando i suoi lavori, è chiaro che nonostante la molteplicità di tecniche e materiali, sussiste un filo rosso che li lega. Mi riferisco non solo alla riconoscibilità che possiedono e che le riconduce alla sua firma, ma anche a quello che trasmettono. Sensazioni e silenzi, sguardi ieratici che tuttavia parlano e che sembrano possedere delle identità. Che cosa può dirci a riguardo?
AD: Sicuramente è legato al veicolo di trasporto che uso e che è la figura. Rimanendo nella forma del tronco si riduce chiaramente il movimento, ma come l’albero cresce tutta la sua vita nello stesso posto anche le figure risultano statiche e ferme. Dall’altra parte rappresentano l’uomo, senza gesti, simboli o narrazioni, e il focus viene postato in altro.
CP: Lei ha raccolto un’eredità importante, che svela palesemente il fare artistico, inteso come gesto ma anche come lavoro, che coinvolge a pieno anche la sua fisicità. I processi creativi che attua sono forse qualcosa di simile alla performance?
AD: I processi sicuramente, ma lo scultore decide di fermare in una forma un materiale, per cui non mi interessa il procedimento di per sé, ma quello che rimane e le decisioni che prendo per mantenere visiva una di queste parti dell’origine.
CP: Nessuno potrebbe affermare che le sue opere sono semplicemente “pezzi di artigianato” ma la componente manifatturale è forte, ed è chiaramente ciò che definisce la sua ricerca. Alla domanda che seguirà molti potrebbero pensare che la risposta sia semplice: la tecnica. Ma io credo che non si tratti solo di tecnica. Le chiedo quindi, l’elaborazione plastica è in qualche modo, piegata alle condizioni strutturali della materia? Se sì, lei riesce ad arginarle o aggirarle?
AD: La tecnica che da sempre è stata importante, negli ultimi decenni ha perso una parte del suo valore. Sicuramente sono subentrati elementi visivi o modi importanti, ma non credo che una tecnica debba essere rinnegata di principio. Sicuramente da sola non può sopravvivere, ma usata in modo opportuno può aiutare il lavoro, come è sempre stato. Chiaramente a trasportare l’arte è l’idea e il concetto dell’opera, ma come ci mostrano gli esempi forti delle opere contemporanee è l’interazione di tutti gli elementi a creare un buon pezzo.
CP: Per ognuno di noi “casa” significa radici ma anche comprensione e conoscenza di sé stessi e di cose che forse sembrano celate ma che ci appartengono. Lei proviene dalla Val Gardena, questo legame in parte già è evidente nella sua espressione artistica ma vorrei fosse lei a raccontarci come e se le sue radici riflettano sulla sua pratica e come hanno influito sulla sua formazione.
AD: Credo non ci sia bisogno di rinnegare la provenienza, tanto da quella non si può scappare, l’importante è trovare il modo convincente di comunicare con essa al presente.
CP: Vorrei concludere la nostra intervista chiedendole se sussiste un rapporto di reciprocità, o forse di simbiosi, con le sue opere. Mi spiego meglio: lei vive, parla e si esprime attraverso le sue opere?
AD: Sono più decisioni scultoree che passano da un lavoro all´altro, arricchendosi e modificandosi di volta in volta. Ma la scultura è una traduzione.
Info:
Aron Demetz. Autarkeia II. Il richiamo della materia
Curated by Alessandro Romanini
15/01/2022-31/03/2022
MARCA, Museo delle Arti Catanzaro
Via Alessandro Turco, 63
info@museomarca.com
Per tutte le immagini: Aron Demetz, Autarkeia II. The call of matter, 2022. Veduta dell’installazione, Museo MARCA, Catanzaro. Courtesy: l’artista e Museo MARCA
Nata a Reggio Calabria nel 1998. A Roma consegue la laurea in Studi-Storico artistici con una tesi sperimentale sull’artista Nik Spatari. Ha scritto per alcuni magazine ed è attualmente studentessa del corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte. Apprezza l’arte in ogni declinazione e ama raccontarla.
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