Le teorie ottiche di Rood e Chevreul hanno cambiato la maniera di concepire la visione, scatenando i folli esperimenti di Seurat e promettendo la nascita del pointillisme. La fotografia, negli stessi anni, forzava la pittura da cavalletto a andare oltre la mimesi del reale. L’elettromagnetismo e l’avvento del cavo transoceanico, per fornire un ultimo esempio, cambiavano ancora, all’inizio degli anni ’60, la percezione del tempo e dello spazio, dentro e fuori dall’arte.
Come sostiene il critico d’arte Renato Barilli nelle sue note tesi di fenomenologia degli stili, le arti sono sempre andate al passo del pregresso delle discipline; ed è proprio in concomitanza con i grandi cambiamenti della scienza e della tecnologia, più che con le epocali date della storia, che riscontriamo i grandi mutamenti del linguaggio e delle forme delle arti. Così, dunque, più che la caduta del muro di Berlino, o la protesta di piazza Tiananmen, è Internet e il World Wide Web a tracciare, dal 1989, un nuovo orizzonte per l’arte. Una rivoluzione che si propongono di affrontare, con sguardo retrospettivo, la curatrice Eva Respini e Jeffrey De Blois, nella prima grande esposizione americana sul tema.
A quasi 30 anni di distanza dall’invenzione di Berners-Lee, l’Institute of Contemporary Art di Boston ospita “Art in the Age of Internet, 1989 to Today”: una mostra ambiziosa, un po’ antologica, un po’ tematica, che indaga il radicale impatto della cultura di internet sulle arti visive. Con più di 60 artisti internazionali, dai più giovani e contemporanei Jon Rafman, Ed Atkins o Anicka Yi fino a pionieri come Nam June Paik, l’esposizione propone una riflessione sulla trasformazione delle pratiche artistiche e dei mutamenti individuali e collettivi all’insegna della digital culture.
Tra pittura, scultura, video, fotografia, e ancora web-based project, realtà virtuale e performance, una vasta selezione di opere rappresentative ci mostra, e in un certo senso ci ricorda, come internet plasma la nostra vita e come la tecnologia plasma l’uomo nella società contemporanea. Abituati all’onnipresenza quotidiana di internet e del suo corredo di immagini, ci siamo quasi dimenticati di come questi concorrono a dare forma alla nostra realtà, e di come l’hanno, nel tempo, modificata.
Le cinque sezioni in cui è divisa la mostra, orientate verso cinque nodi tematici, sollevano dunque alcune delle questioni più incisive e sensibili radicalmente trasformate dal web: “Circolazione e Networks”; “Corpi Ibridi”; “Mondi Virtuali”; “Stato di Sorveglianza”; “Performare se stessi”. Focus necessari, che stabiliscono dei percorsi attraverso un argomento potenzialmente sterminato e offrono chiavi di lettura trasversali, in aperto dialogo tra loro. Ad esempio Internet come luogo di sorveglianza (Jill Magid) e resistenza (Sondra Perry); la circolazione e il controllo dell’immagine e dell’informazione (Wu Tsang, Trevor Pagnel), o la possibilità di esplorare l’identità nell’ambito virtuale, riscoprendola, costruendola o superandola (Cindy Sherman, Mark Benson, collettivo DIS, ..).
Un fitto reticolo di percorsi e letture come nella celebre opera ‘Electronic Superhighway’ di Nam June Paik, artista in mostra con ‘Internet Dream’, in un coro di lavori candidati a diventare opere emblematiche della convulsa storiografia contemporanea, per quanto ancora ben lontana da una pretesa oggettività critica. Opere come l’occhio sorvegliante di Lee Lozano, del ’92, o, più recentemente, il video “enciclopedico” ‘Grosse Fatigue’ di Camille Henrot, premiato alla 55esima Biennale di Venezia.
Secondo le parole di Eva Respini, l’idea non è stata tanto di fare un’istantanea del momento, quanto più di raccontare una “storia intergenerazionale”, come dimostrano gli artisti rappresentati, che variano in età, etnia, nazionalità e genere. Dopo quasi tre decenni di internet aperto a tutti siamo infatti arrivati alla maturazione degli artisti cosiddetti digital native, che trovano giustamente ampio spazio nella mostra del museo di Boston.
Non solo progetto espositivo, l’iniziativa supera inoltre i confini istituzionali, comprendendo anche una pubblicazione accademica e una piattaforma web dedicata, oltre a coinvolgere, con svariati appuntamenti, tutta la città di Boston. Una città che ha segnato la storia della tecnologia, e si presenta come luogo adatto per questo primo tentativo retrospettivo di largo respiro. Qui fu mandata la prima mail, mentre facebook è nato nella vicina Harvard.
Edoardo De Cobelli
Info:
Art in the Age of the Internet, 1989 to Today
February 7 – May 20, 2018
Organized by Eva Respini, Barbara Lee Chief Curator, with Jeffrey De Blois, Assistant Curator
ICA Institute of Contemporary Art/Boston
25 Harbor Shore Drive
Boston, MA 02210
Rafael Lozano-Hemmer, Surface Tension, 1992, installation view Rafael Lozano-Hemmer: Trackers, La Gaîté Lyrique, Paris, 2011 courtesy the Artist and Bitforms Gallery New York © Rafael Lozano-Hemmer
Makiko Mori, Subway, 1994 Courtesy Makiko Mori / Art Resource, New York © Makiko Mori 2009 all rights reserved
Wu Tsang, Shape of a right Statement, (still) 2008 courtesy the Artist and Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin © Wu Tsang
Pierre Huyghe, One Million Kingdoms (still), 2001, courtesy the Artist and Marian Goodman Gallery New York © Pierre Huyghe
Mark Leckey, Greenscreenrefrigeratoraction (still), 2010, courtesy the Artist and Gavin Brown’s Enterprise, New York / Rome © Mark Leckey
Camille Henrot, Grosse Fatigue (still), 2013 courtesy the Artist, Silex Films and Kamel Mennour Paris / London © ADAGP Camille Henrot
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