co_atto è un project space ospitato nel passante ferroviario di Porta Garibaldi a Milano, con le caratteristiche di un vero e proprio festival artistico. Ne abbiamo parlato con Marta Orsola Sironi, una delle fondatrici del progetto a otto mani. Ne è risultato un ritratto della Milano artistica non-profit e di ricerca in tempi di pandemia. Per ripensare fiduciosamente all’arte oltre ogni muro e vetro, vissuta in collettività, al domani dell’isolamento coatto in tempi pandemici, e lontana da personalismi.
Elio Ticca: co_atto è un progetto espositivo nato e sviluppato durante i mesi della quarantena. È un project space in uno spazio alternativo, una stazione ferroviaria, ma non solo. Di cosa si tratta, e com’è nato tale percorso?
Marta Orsola Sironi: co_atto nasce a ottobre, a firma di quattro personalità diverse: Ludovico Da Prato, urbanista e architetto; Stefano Bertolini, designer e street artist; Daniele Miglietti, musicista, scrittore, nonché avvocato per l’arte e street artist; e la sottoscritta, curatrice e storica e dell’arte. Il tutto nasce grazie a un amico in comune, Vincenzo Argentieri, curatore di base a Milano, che già gestiva uno spazio indipendente con Artepassante, progetto di riqualificazione urbana entro cui co_atto si è poi sviluppato. È grazie a lui che ci siamo incontrati. Tutti e quattro avevamo la volontà comune di realizzare un progetto espositivo, a lungo termine, alternativo alle logiche del mondo dell’arte come lo conosciamo. Uno spazio dove dare luogo a una progettualità matura e continuativa, all’insegna di una ricerca transdisciplinare. Daniele, Stefano e Ludovico avevano più o meno questa stessa volontà, pur comunque venendo da ambiti diversi.
Il progetto di mostra si inserisce su un progetto di riqualificazione urbana preesistente, Artepassante. Di che si tratta?
co_atto, come spazioSERRA, fa parte di Underpass, progetto di riqualificazione degli spazi all’interno delle stazioni del Passante ferroviario di Milano, dedicati alla promozione di artisti emergenti. Underpass è inserito all’interno del Progetto DisseMIna, promosso da Le Belle Arti APS – Progetto Artepassante e finanziata dal bando “Luoghi di innovazione culturale – 2019” di Fondazione Cariplo. Artepassante è stata la piattaforma ideale dove innestare co_atto. Aveva a disposizione diciotto vetrine, al piano mezzanino del passante ferroviario di Porta Garibaldi, che misurano quattro metri di lunghezza, per un metro e ottanta di altezza e sono profonde cinquanta centimetri. Sono molto grandi, ma molto strette, intervallate lungo un corridoio piuttosto imponente.
Il progetto di Artepassante era una realtà, quindi, preesistente. Siete stati comunque i primi a utilizzare le vetrine, o siete subentrati a un loro previo utilizzo?
In precedenza le vetrine hanno ospitato delle collettive, sempre organizzate sotto l’egida di Artepassante. In origine le vetrine erano degli spazi pubblicitari. Quando siamo subentrati noi, abbiamo sentito la necessità di “colonizzarle” visivamente; in modo, da un lato, da far dimenticare la loro funzione pubblicitaria; dall’altro, di usare tale manifesta pubblicità. in_festa, la nostra prima mostra, presenta infatti la nostra volontà, in quanto organizzatori, di donare ai creativi partecipanti tale spazio di visibilità; ma in senso altro, rispetto ai fini della pubblicità commerciale. Quando abbiamo progettato la mostra intorno alle vetrine, c’era un passato di cui volevamo tenere conto, pur con la volontà di ripartire da zero.
Nel solco, tuttavia, della continuità?
Una continuità, per via del fatto che co_atto si realizza all’interno di Artepassante; pur nella novità di prediligere processi installativi e progetti site specific. L’aspetto in situ e installativo è centrale nel nostro progetto. Anche laddove si tratti di pittura, pensiamo a una colonizzazione dello spazio. Perfino una profondità modesta, di cinquanta centimetri, infatti, invita a ripensare pieni e vuoti come spunti per relazionarsi allo spazio, con un approccio più installativo, diverso da canoni espositivi tradizionali. La vetrina può così diventare altro, rispetto a un vuoto, quasi fastidioso, percepito come limite.
Quattro personalità diverse, con un intento comune. Come si riflette, nel risultato, tale polivocità?
co_atto nasce da un incontro di diverse professionalità. Io sono curatore, archivista, storica dell’arte, social media manager. Anche i ragazzi, molto attivi, vengono da ambiti differenti. Non volevamo fare l’ennesimo spazio espositivo: ce ne sono già tanti a Milano, alcuni funzionano molto bene, con alcuni collaboro tuttora. Non ne vedevamo l’utilità. Volevamo piuttosto realizzare qualcosa che abbracciasse la plurivocità che appartiene a ognuno di noi quattro, rendendola punto di forza. Abbiamo pertanto deciso che co_atto avesse sempre un approccio transdisciplinare, e senza mostre personali. Ove realizzeremo delle personali, inviteremo l’artista a lavorare, piuttosto, come curatore.
Una mostra reale, ma con un supporto digitale. In tempi di proliferazione di viewing room, dalle fiere alle gallerie, come vi relazionate rispetto a una presenza online, quasi obbligata, dati i tempi attuali?
in_festa nasce da un bisogno di realizzare qualcosa con delle vetrine, degli spazi “covid-free”, in un momento in cui veniamo chiusi perennemente, e in cui il digitale prolifera a ogni livello. Siamo pertanto partiti a gennaio, anche per rispondere alla presenza pervasiva di progetti d’arte esclusivamente online. Il digitale, tuttavia, lo consideriamo come un accrescimento, piuttosto che come priorità. Non faremo mai inaugurazioni digitali, dirette, in sostituzione di una mostra. Il digitale rimane spazio ulteriore, rispetto al progetto espositivo. Tutti gli eventi di co_atto si ramificano in una serie di realtà trasversali e si tengono sia online, che onsite, a seconda delle nostre possibilità.
Nelle gallerie d’arte, durante l’ultimo anno, spesso l’unico spazio visibile al pubblico è stato, per diverso tempo, la vetrina: quasi un trademark simbolico del mondo dell’arte “offline”. Quasi uno spazio di resistenza. Cosa rappresenta, per voi, tale luogo?
La vetrina è diventata, per noi, non solo spazio espositivo, ma anche luogo di scambio reciproco con altre realtà per l’arte a Milano.
Per spazi non-profit e commerciali, la vetrina resta pertanto una costante. Allo stesso tempo, le vetrine dove esponete sono localizzate in un cosiddetto non-luogo, dove i passanti transitano durante un tragitto. Come vi relazionate rispetto a tali caratteristiche “fisiche” del contesto?
Il passante è uno spazio “democratico”, anche per questo di difficile natura. I tre aspetti di co_atto, a questo riguardo, fanno riferimento a diverse caratteristiche del progetto. “Coatto” come il termine romanesco, pensato in contrasto rispetto all’arte, in senso ironico: una sfida al perbenismo del sistema dell’arte. Dall’altro, “coatto” rimanda alla coercizione: ovvero, il passaggio obbligato accanto alle vetrine, lungo una prospettiva quasi albertiana. “Coatto” è anche co-azione, in quanto chiediamo uno sforzo da parte del pubblico di partecipare, in vari modi, a una mostra, ma anche a un processo di senso: uno dei motivi per cui lavoriamo con più discipline e professionalità.
Il vostro pubblico è quello dell’arte, ma non solo. Che feedback avete avuto finora?
Ci siamo resi presto conto che lo spazio della stazione accoglie diverse realtà, diversamente da un luogo preposto a ospitare mostre o progetti artistici, più facilmente riconoscibile in quanto tale. A Milano, e più precisamente nella stazione, transitano gli abitanti dell’hinterland, di Isola, il pubblico della moda di Corso Como, o i professionisti di Piazza Aulenti. Un pubblico eterogeneo e variegato. Anche per questo motivo abbiamo dovuto capire come relazionarci rispetto a chi passa. Un esempio eloquente, a tale riguardo, è il progetto di Crates, realizzato dal designer Vlad Chetrusca e dall’artista Matteo De Nando, che offrono servizi di logistica e spedizioni per l’arte. Un loro prototipo di cassa da spedizione fa riferimento a un film di Aldo, Giovanni e Giacomo, “Tre uomini e una gamba”, oltre che al film “Vacanze Intelligenti”, con Alberto Sordi. Inizialmente volevano schermare la vetrina, ma si sono presto resi conto di quanto i riferimenti dell’installazione fossero facilmente riconoscibili per i passanti, e hanno scelto di lasciarli in vista.
Ci sono, attualmente, a Milano, altri progetti simili a co_atto?
Ce ne sono diversi, come Superfluo, di cui parlavo, con cui abbiamo una forte intesa. C’è spazioSERRA, nato dalla stessa realtà di Artepassante, che come noi si trova in un luogo di passaggio, all’interno delle stazioni di RFI. C’è State Of_, che coniuga arte e moda, innestando esposizioni artistiche in uno showroom. C’è Casa Cicca Museum, che a breve aprirà la sua terza sede, e che ha fatto della residenza d’artista il motivo di una continua palingenesi di scambi e ibridazioni. C’è anche l’artist-run space Brace Brace, rappresentato a in_festa da Hund studio, grafici che collaborano al loro progetto, e Cecilia Mentasti, una dei quattro fondatori. Anche loro sviluppano un progetto continuativo e di scambio profondo con un artista, quasi sempre singolo. Con co_atto non possiamo lavorare similmente; le ventiquattro identità creative coinvolte per in_festa, ad esempio, equivalgono a quarantanove persone. Cerchiamo comunque di immaginare le vetrine come delle residenze d’artista, in tempi più limitati, direi lampo, rispetto a quelli tradizionali. La vetrina-residenza d’artista consiste in una ricerca in team, in modo da individuare un tema comune, in un luogo non convenzionale. Le vetrine vorrebbero essere il luogo di tale incontro. Proprio all’incontro e allo scambio fa riferimento la strenua volontà di co_atto di fare rete: abbiamo una concezione di collettività in cui crediamo fortemente, secondo la quale nessuno si salva da solo, e solo lavorando di concerto con altre realtà possiamo pensare di costruire un contesto migliore in cui operare. Per questo motivo co_atto cerca di fare rete con altri spazi e progetti che gli sono vicini. A settembre ci piacerebbe realizzare, per la settimana del design e l’Art Week, un festival che coinvolga tutte le realtà a cui siamo legati.
Parallelamente alla mostra fisica, avete sviluppato una pubblicazione. Di che si tratta?
co_atto ha una fanzine, red_atto, blog aggiornato a cadenza settimanale, che coinvolge firme di diverse discipline: dall’artista al biologo, dal filosofo al neuroscienziato, che ragionano ogni volta su un tema diverso. Se in_festa è, per esempio, un’infestazione effettiva, nonché simbolica, il tema di red_atto è ora l’infestazione, pensata come colonizzazione di un luogo chiuso, dove possano nascere nuove possibilità. Alla fine della mostra, la fanzine sarà stampata, con la collezione degli articoli, e la collaborazione di progetti di editoria indipendente. Vorremmo avere anche un archivio, pensato come messa in mostra di un processo. La nostra seconda mostra verterà proprio sulla riflessione attorno all’archivio, con quattro artisti visivi, più eventi collaterali. Dal momento che abbiamo appena iniziato un nostro archivio, abbiamo pensato, in attesa che cresca, di mettere a disposizione una vetrina per un progetto editoriale; nel caso di in_festa, 5X Letterpress e Libri Finti Clandestini. È sempre un mutuo scambio, anche da questo punto di vista. Ci sono tanti progetti simili e connessi tra loro. Abbiamo voluto concepire le vetrine un po’ come delle pagine web: dal progetto site-specific, più o meno legato, o slegato rispetto agli altri, si sviluppano eventi satelliti.
Un progetto con delle forme di una biennale?
Ci piacciono le caratteristiche del festival, co_atto le ha. Per ogni mostra abbiamo una vetrina-archivio, dedicata per il 2021 all’editoria indipendente e alle pubblicazioni d’autore. Abbiamo poi una vetrina dedicata alla fotografia, per la quale chiediamo a un fotografo, ogni volta diverso, di interpretare la mostra in corso, secondo la propria sensibilità. Infine, abbiamo una serie di eventi collaterali online e on site, che arricchiscono il palinsesto espositivo.
La vetrina è, in genere, uno spazio modulare, apparentemente neutro, non troppo lontano dal white cube, dalla galleria. Forse, l’aspetto site-specific, su cui vi concentrate, si estende anche all’esterno, oltre che all’interno della vetrina. Come vi siete relazionati rispetto a tale neutralità, o, diversamente, a una peculiarità di tale spazio?
A dire la verità, le vetrine sono molto caratterizzanti. Sono visivamente ripartite in quattro, anche se dentro sono continue. Lo sguardo ne risulta intervallato da tale configurazione. Smaterializzare visivamente la vetrina stessa è difficile. Di necessità, virtù: per esempio, con l’intervento di Francesco Pacelli, la vetrina è stata dipinta di viola, lavorando sulla percezione della luce. La vetrina ne è risultata smaterializzata, ma fino a un certo punto. Sicuramente, la sua struttura si nota di più, nel momento in cui si espone della pittura, specie rispetto a determinati formati delle opere. Altri artisti hanno lavorato in modo alternativo. Cecilia Mentasti ha riempito la vetrina di vapore, e ha scritto sul vetro un’opera effimera, di cui è esposta solo la documentazione, con la foto della vetrina in vetrina. SerT, fumettista, ha realizzato una four panel strip, caratterizzata da ambientazioni metafisiche, che in due vignette riprendono la forma dell’esterno della vetrina, creando delle prospettive quasi trompe-l’oeil. Uno street artist, PiskV, invitato dal gruppo di videomaker Nubifilm, ha realizzato un live painting in realtà aumentata, sull’arco di due giorni. Inquadrando il QR code dipinto, si può vedere il video di Nubifilm, legato alle angosce e agli incubi della situazione pandemica. Il risultato è un’interazione tra ritmo fisico della vetrina e ritmo dell’opera, con delle barre verticali rappresentate in pittura, che riprendono le cerniere della vetrina.
Avete considerato anche la performance come forma artistica-espositiva per il progetto, nonostante i limiti imposti dallo spazio? Nonostante l’esecuzione di un progetto di street-art sia, essa stessa, performativo?
La street art ci interessa particolarmente. Faremo una mostra di street-art, portandola in vetrina, e proponendo una panoramica della poster-art, più marcatamente romana, piuttosto che dei murales milanesi. La performance, in verità, è molto presente; dal live-painting di PiskV, all’opera di Cecilia Mentasti, pur non essendo definita performance dall’artista stessa, comunque evento performativo. Altri, come gli Hund, hanno allestito una palestra, riflettendo sulla perdita delle attività di svago durante la pandemia. Ogni tanto, in modo non programmato, spontaneo, la vetrina è usata come spazio per una sessione di yoga. Una riappropriazione di un luogo, ripensato e dedicato alla cura di sé. Sono performance velate. Abbiamo anche dei video, con contenuti digitali. Per il finissage di in_festa, previsto per il sette maggio, avremo come evento performativo il live del cantant Ponee, di cui Superfluo project cura l’identità. Insieme a SerT, fumettista, se le misure pubbliche lo renderanno possibile, i due faranno una sessione di live cooking irriverente, e un concerto. Per la prossima mostra avremo, invece performance di danza e teatro. Cerchiamo, infatti, di coinvolgere anche tali mondi.
Che riscontri avete finora avuto, da parte delle autorità, dalla città, dal pubblico?
Le reazioni sono state positivamente inaspettate, tanto da farci trovare spaesati. Quando Milano è stata dichiarata zona rossa, eravamo in procinto di inaugurare in_festa. Abbiamo voluto aprire il progetto, nonostante le difficoltà, come atto etico, ma senza coinvolgimento di pubblico. Non pensavamo che la zona rossa si sarebbe rivelata come una sorta di opportunità: siamo stati l’unica mostra effettivamente visibile a Milano, senza obbligo di appuntamento per vederla, e senza alcun rischio. Abbiamo avuto un riscontro di stampa, su cartaceo e in digitale, molto forte. Abbiamo inoltre avuto un follow-up online molto positivo.
Info:
in_festa
mostra collettiva a cura di co_atto
Porta Garibaldi, Milano
Stazione del Passante ferroviario
Fino al 7 maggio 2021
in_festa, vista della mostra presso Passante di Porta Garibaldi, Milano
Camilla Pisani x in_festa, co_atto, exhibition view ph. co_atto
Giacomo Alberico & Francesco Viscuso x in_festa, co_atto. exhibition view ph. co_atto
Elia Novecento x in_festa, co_atto, exhibition view ph. co_atto
Hund Studio x in_festa, co_atto, exhibition view ph. co_atto
Il Garpez, 2021, Crates Design x in_festa, co_atto, exhibition view, ph. Matteo De Nando
in_festa, co_atto, Francesco Pacelli. Exhibition view, ph. co_atto
in_festa, co_atto. Dario Venuti, Identità Altre, ph. Alice Massone
Libri Finti Clandestini + 5X Letterpress x in_festa, co_atto, ph Laura Spinelli
Piskv x Nubifilm Studio x in_festa, co_atto, live painting, ph. Roberto Losurdo (Nubifilm Studio) & Emanuela Giurano
Omuamua Legacy, Portal 1l2021 U1 #01, display museale e fondale green screen 400x180cm, x in_festa, co_atto, ph. Omuamua Legacy
ZZYZX, SerTx in_festa, co_atto, exhibition view ph. co_atto
Elio Ticca (Nuoro, 1988) è un artista visivo e autore. Laureato in arti visive e storia dell’arte, collabora con Juliet Art Magazine e altre testate giornalistiche. Vive e lavora a Bruxelles.
NO COMMENT