Dopo il successo della mostra personale di Arcangelo Sassolino, Il vuoto senza misura, che ha inaugurato il 21 maggio scorso, la galleria Atipografia (Arzignano, Vicenza) propone la mostra collettiva UNPLUGGED. Si tratta di una raccolta di opere di Mats Bergquist, Gregorio Botta, Mirko Baricchi e Mattia Bosco, e si concluderà il 30 ottobre 2022.
Il progetto di Elena Dal Molin comporta un confronto tra artisti segnati da poetiche diverse, ma con una sensibilità comune che li porta a confrontarsi con lo spazio e con lo spettatore in diretta: le opere sono da toccare e accarezzare come quelle di Mats Bergquist, “infotografabili” come alcune di Gregorio Botta, apprezzabili con uno sguardo ravvicinatissimo come nel caso dei quadri di Mirko Baricchi, o con un corpo a corpo strettissimo come nel caso di Mattia Bosco.
UNPLUGGED, che significa «staccare la spina», dice Elena Dal Molin, per un concerto rimanda al «non amplificato» cioè l’avere un rapporto più intimo con gli strumenti. Una decisione presa nel 2021 proprio sul desiderio di “presenza”. Una foto è un terzo sguardo, qualcosa che toglie moltissimo all’opera. UNPLUGGED diventa un po’ il manifesto della galleria, la quale richiede un corpo a corpo fatto di misure, di un confronto con l’opera, dell’«entrare dentro al quadro» come diceva Rothko. E anche dal punto di vista geografico, la galleria stessa è posta in una posizione tale per cui non ci si passa davanti, bisogna proprio venirci, entrare, apprezzare lo spazio e i lavori di adeguamento funzionale iniziati alla vigilia della pandemia, realizzati dallo studio AMAA: ambienti di grande fascino in cui fare ricerca, esporre, incontrarsi e persino abitare. Presenza e fisicità: le opere d’arte sono tali se muovono, commuovono e sommuovono.
Ecco quindi Selva, una tela di Mirko Baricchi, che, con le sue dimensioni, invita a una contemplazione immersiva. Con tonalità di verde quasi monocromi, i paesaggi di Baricchi sono caratterizzati da una veloce successione di pennellate, seguite da una parziale rimozione del colore: un insieme di gesti pittorici che crea un tappeto bidimensionale con improvvise presenze tridimensionali, interpunzioni che aprono a prospettive pittoriche e a profondità impreviste. A quest’opera fa da contraltare Cactus, la quale sembrerebbe di tutt’altro tipo e invece, come spiega l’autore, si tratta di frammenti che potrebbero sembrare marginali, ma rintracciabili in Selva e viceversa.
Le due sculture di Mattia Bosco (direttore artistico della Casa degli artisti di Milano) in marmo palissandro nero e oro, giocano sul contrasto tra la pietra mostrata in tutto il suo essere materico e la sua energia, le sue venature, le irregolarità, e le torsioni dei prismi perfettamente regolari, in oro, che si incastrano fino a portare luce nella notte del palissandro. La loro posizione nella parte buia della galleria fa risaltare magnificamente la luce dorata degli innesti geometrici.
Con le nove icone di Mats Bergquist, intitolate Till Lucia, veniamo riportati alle icone della tradizione copta, che richiamano la tecnica del quarto secolo d.C., le quali, quando venivano sfiorate, toccate e ritoccate diventavano concave: tavole di legno sulle quali viene posta una tela di lino finissimo mediante la colla di coniglio e attraverso lentissimi passaggi, strati di gesso, un processo di lavorazione che ricorda il rito della preghiera. Le superfici levigate, pitture-sculture tattili, chiedono di essere toccate, accarezzate, e invitano alla contemplazione e al silenzio. Lucia è la santa del solstizio d’inverno, che nei paesi nordici viene sentito intensamente poiché preannuncia i periodi di buio, quando si abbassa il senso della vista e prevale quello del sentire col tatto.
Infine, troviamo il lavoro di Gregorio Botta. L’artista disegna con la luce, con la trasparenza e con la leggerezza, creando opere sempre più rarefatte come Sebastian, in cui una freccia trafigge un vetro: uno spazio vuoto in cui entriamo fino alla parete bianca su cui crescono fiori candidi. Dalla ferita del corpo della tradizione pittorica si entra nell’impalpabile, nell’irriproducibile, nell’inconsistenza dello spirito.
C’è una ferita anche nel Carro di Ofelia, un’opera ispirata dalla celebre Ofelia di Millais. Da quella ferita nel piombo, da questo materiale pesante, sgorga acqua pura e trasparente come quella di sorgente, riportandoci alla trasparenza dell’opera precedente. Così come con Muta, passiamo dal sentire al silenzio. La campana tibetana sospesa in una vasca d’acqua ci rimanda al suo suono solo come sensazione.
Info:
Mirko Baricchi, Mats Bergquist, Mattia Bosco, Gregorio Botta. UNPLUGGED
17/09 – 30/10/2022
Atipografia
Piazza Campo Marzio, 26
36071 – Arzignano (VI) – Italy
Gregorio Botta, Carro di Ofelia, Installation view, Ph. Luca Peruzzi, Courtesy Atipografia
Mats Bergquist, Till Lucia, Installation view, Ph. Luca Peruzzi, Courtesy Atipografia
Mirko Baricchi, Cactus, Selva, Installation view, Ph. Luca Peruzzi, Courtesy Atipografia
Gregorio Botta, Sebastian, Installation view, Ph. Luca Peruzzi, Courtesy Atipografia
Emanuele Magri insegna Storia dell’Arte a Milano. Dal 2007 scrive dall’estero per Juliet art Magazine. Dagli anni settanta si occupa di scrittura e arti visive. Ha creato mondi tassonomicamente definiti, nei quali sperimenta l’autoreferenzialità del linguaggio, come “La Setta delle S’arte” nella quale i vestiti rituali sono fatti partendo da parole con più significati, il “Trattato di artologia genetica” in cui si configura una serie di piante ottenute da innesti di organi umani, di occhi, mani, bocche, ecc, e il progetto “Fandonia” una città in cui tutto è doppio e ibrido.
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