Ad agosto 2021 si è conclusa a Palazzo Strozzi la mostra American Art 1961-2001 all’interno della quale erano presenti, tra le altre, alcune opere dell’artista Barbara Kruger (Newark, New Jersey 1945). La sua fama a livello mondiale è ben nota: etichettata generalmente nelle fila della Pictures Generation, pioniera della critica ai media di distribuzione della cultura di massa in America e nel mondo. Tuttavia, poco spazio in Italia viene dedicato a quest’artista, la quale, fedele alla propria poetica e al proprio stile da più di quarant’anni, non smette di essere profondamente attuale.
Due sono gli elementi con cui interagisce in un rapporto di reverente amore e odio: l’immagine e la parola. A prima vista, si possono considerare strumenti banali, secondo quell’atteggiamento da “potevo farlo anche io” che caratterizza buona parte dei fruitori occasionali d’arte contemporanea. Tuttavia, qual è il punto di partenza e dove vuole arrivare Barbara Kruger utilizzando questi strumenti? Perché possiamo affermare che, soprattutto con l’evoluzione digitale e la virtualizzazione degli spazi sociali, sia un’artista che vale la pena di approfondire?
Le opere di Barbara Kruger fondono immagine e testo scritto per riconoscere e rielaborare i meccanismi di costruzione della realtà; l’appropriazione di immagini provenienti da un vasto repertorio di riviste, giornali e annunci pubblicitari fonda un discorso nuovo attorno alle immagini stesse che vengono ingrandite, tagliate, combinate con la parola scritta. Questo rimaneggiamento rimanda alla post-produzione di stampo cinematografico: la parodia di espedienti tecnici e grafici applicati nel campo dei mass media, permette così una più rapida diffusione dell’opera per le strade metropolitane.
Sì, perché un altro fondamentale e, spesso, poco sottolineato elemento che si coniuga alla protesta dell’artista contro le strutture odierne è la predilezione per lo spazio pubblico come punto di esposizione delle proprie opere, catalizzatore di una miriade di input visivi all’interno del quale la sua scottante ironia si mimetizza; qui un pubblico non sospetto e non preparato al confronto con l’opera riflette in modo indipendente su ciò che guarda e legge.
Lo spazio espositivo è periferico, coerentemente con la qualità delle immagini – anche se non si disdegna la contaminazione delle istituzioni artistiche quali musei, gallerie e fondazioni private. Si mostrano gli aspetti culturali degli Stati Uniti, gli stereotipi e i loro meccanismi di assimilazione. In questo modo, immagine e parola non sono solo strumenti, elementi portanti nella costruzione dell’opera, ma anche oggetti criticati pesantemente per lo sguardo che avvicinano a sé (il richiamo allo sguardo maschile e all’oggettificazione del corpo femminile) e per le strutture da cui vengono governati: il potere, il commercio e il denaro che rendono l’esistenza umana una macchina di produzione, compravendita e consumo.
Frammentazione, montaggio, categorizzazione di immagine e testo scritto: parliamo di corpi che vivono, costruiti, come le immagini e i testi dell’artista, dalle decisioni di potere e denaro. Parola e immagine sono le maggiori servitrici di queste strutture, alimentando una distorta capacità di definire cosa siamo e chi non siamo. “Compro quindi sono” (Untitled – I Shop Therefore I Am), 1987, compro per essere qualcosa nella società odierna. “Non sono me stesso” (Untitled – You Are Not Yourself), 1984, perché non mi definisco per ciò che penso, ma tramite ciò che altri mi offrono per sentirmi integrato. Emerge un individuo oppresso da un dramma interiore silente e ignorato; si creano reazioni contrastanti – cosa che Kruger ricerca particolarmente nelle sue opere – a seconda del contesto, della persona, del momento storico.
Un’arte che crea significato, che ci vuol far prendere consapevolezza di ciò che siamo e di quello che vediamo e leggiamo, decodificandolo continuamente intorno a noi – a questo proposito si richiama la mostra attualmente in corso all’Art Institute di Chicago: THINKING OF YOU. I MEAN ME. I MEAN YOU (19 Settembre 2021– 24 Gennaio 2022): leggere non vuol dire dare un senso, il tentativo di capire ciò che vediamo e leggiamo è solo nostro. Il primo passo verso l’autoconsapevolezza parte anche dalla produzione artistica di Barbara Kruger, la quale insegna a leggere per capire, a capire per riflettere; riflettere e capire cosa? Che ciò da cui siamo circondati riguarda insiemi di immagini e parole che parlano di un’assenza di significato.
Vittoria Brachi
Info mostre citate:
THINKING OF YOU. I MEAN ME. I MEAN YOU.
The Art Institute of Chicago
19 settembre 2021 – 24 gennaio 2022
Regenstein Hall, Griffin Court, and various museum locations.
American Art 1961-2001. La collezione del Walker Art Center da Andy Warhol a Kara Walker
Fondazione Palazzo Strozzi
28 maggio 2021 – 29 agosto 2021
Palazzo Strozzi
Piazza Strozzi 50123 Firenze
Barbara Kruger. Untitled (Truth), 2013. Collection of Margaret and Daniel S. Loeb. Digital image courtesy of the artist
Barbara Kruger. Artist’s rendering of exhibition entryway at the Art Institute of Chicago, 2011/2020. Digital image courtesy of the artist, source photo courtesy of the Art Institute of Chicago
Barbara Kruger, Untitled (We will no longer be seen and not heard), lithograph, photolithograph, serigraphy on paper; cm 52,1 x 52,1 each of 9. Minneapolis, Walker Art Center. Walker Special Purchase Fund, 1985
Barbara Kruger, Untitled (Forever), 2017. Installation view, Sprüth Magers, Berlin, 2017–18. Amorepacific Museum of Art (APMA), Seoul. Photo by Timo Ohler and courtesy of Sprüth Magers
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