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Beatriz González al De Pont Museum

Beatriz González al De Pont Museum

Una volta c’era solo la Biennale di Venezia come punto di riferimento globale, mentre oggi ci sono biennali dislocate ai quattro angoli del globo; fino a cinquant’anni fa si parlava della sponda e del dialogo tra America ed Europa, mentre oggi si parla di sistemi dell’arte che appartengono ai paesi emergenti con fiere d’arte che hanno i loro addentellati (o i loro concorrenti) in Oriente e in Africa. E chi non regge il ritmo è presto messo da parte.

Vista esterna del De Pont Museum, 2021, foto di Rene van der Hulst, courtesy De Pont Museum, Tilburg

Beatriz González (1932) artista sudamericana di origini colombiane (ma non solo, visto che si dichiara critica, curatrice e storica dell’arte) è parte di questo gioco di relazioni allargato e di questa visione terzomondista della contemporaneità, di cui Les Magicien de la Terre ha rappresentato la prima testimonianza di una svolta all’interno del sistema occidentale (Centre Pompidou di Parigi, 1989). Una visione che guarda al riscatto e all’affermazione di valori e diritti che in passato furono negati e che nei tempi attuali divengono testimonianza del presente e riscatto dei torti subiti. “War and Peace: a Poetics of Gesture” al De Pont Museum offre una panoramica dei molti decenni dell’impressionante carriera di questa autrice che ben rappresenta questo nuovo modo di sentire e di vivere il presente.

Beatriz González, “Empalizada”, 2001, photo Juan Rodríguez Varón, courtesy the Artist and De Pont Museum, Tilburg

Dal 1962, González ha utilizzato la pittura come un mezzo per rivendicare e interpretare immagini esistenti dell’arte occidentale, della cultura pop e del fotogiornalismo, mischiando quanto reperiva sui rotocalchi o sui quotidiani con segni vernacolari della cultura popolare. Di conseguenza, il suo lavoro è stato spesso descritto come la versione sudamericana della Pop Art, affermazione che peraltro l’artista ha sempre contestato, dal momento che preferisce definirsi – con una certa dose di autoironia – come una “pittrice di provincia” la cui tavolozza riecheggia i colori del suo paese natale. Come dire, l’aspetto etnico e i riferimenti al suo contesto socio-culturale non sono elementi secondari, né nell’esecuzione di queste opere, né nei riferimenti concettuali che le sostengono.

Beatriz González, “Decoración de interiors”, 1981, collection of the artist, Photo Andrés Pardo, courtesy the Artist and De Pont Museum, Tilburg

L’avvio della sua carriera può essere fatto risalire al 1965, quando una sua opera, tacciata di essere un “Botero malriuscito”, fu inizialmente rifiutata al Salon degli Artisti Colombiani. Solo l’intervento e la determinazione di Marta Traba spinse la giuria a guardare l’opera sotto un’altra luce e a riconsiderare la loro decisione; così il dipinto non fu solo accettato, ma all’autrice fu perfino assegnato un premio speciale. Quel lavoro e i successivi risentono di un processo mediale ovvero la sua fonte d’ispirazione non sono solo i dipinti famosi della storia dell’arte, ma anche le immagini tratte dalla cronaca e cioè mediate dalle fotografie pubblicate dai giornali. Un qualcosa di molto diffuso, sebbene i livelli di trasformazione e sedimentazione siano davvero i più disparati: quella che era l’assenza di intervento in Duchamp, e poi manipolazione del testo con la Poesia visiva, vengono trasformati in maniera radicale dalla pittura di González.

Beatriz González, “Ceremonia de la caja” (“Ceremony of the Crate”), 2010, collection De Pont museum, Tilburg (NL). Photo Eddo Hartmann; “Ríos de Sangre”, 1992. Photo Andrés Matute Echeverri, courtesy the Artist and De Pont Museum, Tilburg

In seguito non sono mancate peraltro le più dirette connessioni con la vita politica. Il cambiamento drammatico può essere fatto risalire al 1985 quando l’autrice rimase scossa dall’assalto delle formazioni armate M-19 al Palazzo di Giustizia. I colori dei suoi dipinti divennero cupi e opachi, le ombre sembravano aver preso il sopravvento e il suo lavoro assunse una natura più radicale, iniziando ad affrontare temi come la morte, il traffico di droga, la violenza dei soldati e della guerriglia, le sparizioni di civili accusati di attività sovversive e di propagandare idee comuniste e (più recentemente) il femminismo latinoamericano e le migrazioni come fenomeno nazionale e globale. La prima grande retrospettiva le è stata dedicata dal Pérez Art Museum Miami nel 2019, dove furono presentate ben centocinquanta opere. Due anni prima aveva ricevuto l’invito ad esporre a documenta 14.

Beatriz González, “Papel de colgadura desplazados” (“Displaced Wallpaper”), 2017, collection De Pont museum, Tilburg (NL). Photo Eddo Hartmann, courtesy the Artist and De Pont Museum, Tilburg

Oltre alle principali opere, che testimoniano il percorso di González, la mostra “War and Peace: a Poetics of Gesture al De Pont Museum presenterà anche alcuni cicli basati su immagini di cronaca. L’artista ha preso queste immagini da contesti mediatici e le ha elaborate in dipinti, disegni, stampe e opere realizzate per gli spazi pubblici. In ciascuno di questi pezzi, González si concentra su un singolo gesto fisico per esprimere empatia e comprensione umana reciproca. La mostra comprende diverse opere che De Pont ha acquisito per la sua collezione nel 2021. Questa mostra è stata realizzata in collaborazione con il MUAC di Città del Messico.

Bruno Sain

Info:

Beatriz González, War and Peace: a Poetics of Gesture
dal 5 ottobre 2024
De Pont Museum
Wilhelminapark 1, Tilburg
info@depont.nl
https://depont.nl/home


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