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Biennale Fotografia Femminile di Mantova: “Private...

Biennale Fotografia Femminile di Mantova: “Private”

La terza edizione della Biennale Fotografia Femminile di Mantova, curata da Alessia Locatelli e organizzata dall’Associazione La Papessa, si apre con due indagini carcerarie, una forte l’altra persino un po’ poetica. In effetti, l’indagine fotografica ospitata nella Casa del Rigoletto è una incredibile testimonianza carceraria a più voci dal titolo inequivocabile di “Where Prison is Kind of Freedom”: la reporter iraniano-canadese Kiana Hayeri solidarizza con alcune recluse del carcere afghano di Herat. Siamo qualche tempo prima del ritorno recente dei talebani al potere e la fotografa ci permette di conoscere le storie di donne che si sono ribellate ai soprusi famigliari e alle violenze domestiche uccidendo il marito. Pertanto, una struttura che ha per confine un filo spinato e alte mura può persino diventare una piccola, esigua bolla di libertà. Nella Casa del buffone verdiano c’è una seconda mostra che, come detto, ha alcuni elementi onirici: “Photo Requests from Solitary” che nello specifico è un progetto statunitense che prova ad alleviare la durezza penitenziaria incrociando un volontario fotografo con il desiderio delle detenute e dei detenuti di avere un’immagine del mondo esterno.

Kiana Hayeri, “Herat Afghanistan”, 5.26.2019, courtesy Biennale Fotografia Femminile di Mantova

Luogo centrale del Festival è però la Casa del Mantegna, dove magnifico è l’omaggio ai cent’anni dalla nascita dell’artista di origine genovese Lisetta Carmi, con due serie di ritratti fotografici che riprendono le donne della Sardegna nel 1964 e della Sicilia nel 1977. Alla durezza delle condizioni di vita quotidiana, alla pesantezza del clima sociale e culturale fa da contraltare qualche elemento poetico ed estetico (su tutte l’essenza vitale delle sedie vuote di un celebre scatto di Palma di Montechiaro) e soprattutto l’evidenza che le donne isolane ritratte da Lisetta Carmi, nonostante le vesti nere che le ricoprono, sono illuminate dal legame di fierezza intessuto con quei luoghi remoti. Il bel palazzo quattrocentesco ospita inoltre un progetto della fotografa iraniana Newsha Tavakolian che non è incentrato sull’oggi ma usa il passato per parlarci della contemporaneità. “And They Laughed at Me” è infatti una serie di negativi di qualche decennio fa che, a partire da una donna che annusa una rosa, rimette in circolazione errori fotografici e stampe mal riuscite per ribadire che la lotta delle donne iraniane non è un evento recente, ma affonda le radici in almeno quattro decenni in cui l’alternativa è sempre stata quella di sparire inghiottite dal cupo chador oppure di camminare in direzione della speranza.

Newsha Tavakolian, “And They Laughed at Me”, 2023, courtesy Biennale Fotografia Femminile di Mantova

Già visto al Festival di Fotografia Etica di Lodi nell’autunno del 2023, troviamo il progetto “Imilla” della fotografa brasiliana Luisa Dörr. Il progetto ci fa vedere il recupero di un’antica tradizione della città boliviana di Cochabamba coniugata al femminile: l’uso di una gonna larga denominata “pollera” con cui le ragazzine del luogo “navigano” con gli skateboard riappropriandosi così di un giocoso senso di libertà e inclusione. Sessanta milioni di esseri umani vivono letteralmente nel sottosuolo: si tratta, tra gli altri, di rifugiati climatici, minatori, membri di sette apocalittiche, comunità native. Ce lo svela con un interessantissimo progetto la fotografa cilena Tamara Merino portandoci nelle grotte più o meno arredate e vissute tutto il giorno da chi non può o non vuole vivere alla luce del giorno. Alcuni sono dunque obbligati a scegliere le cavità come rifugio domestico, altri vogliono scegliere le cavità per pregare e officiare le proprie credenze religiose. L’Andalusia, lo Utah e la regione tunisina di Matmata sono alcune delle aree dove è frequente trovare queste forme di “Underland” a tempo pieno.

Tamara Merino, “Gabriele Gouellain, a German immigrant, waits in the kitchen for her husband to return from mining”, Coober Pedy, Australia, 2015, courtesy Biennale Fotografia Femminile di Mantova

Militante ed effettivo corpo a corpo con il soggetto fotografico è il progetto della fotografa californiana Cammie Toloui che, agli inizi degli anni ‘90, diventa per necessità finanziarie una spogliarellista in un locale per adulti di San Francisco. Ospitata alla Casa del Pittore, la serie tematica “The Lusty Lady Series” si propone come un affresco dove si vedono i clienti che hanno accettato di farsi fotografare in cambio del tempo che hanno potuto passare davanti al vetro trasparente che li separava da Cammie. I maschi che hanno accettato lo scambio (rare sono le donne ritratte) non trasmettono senso di depravazione ma di triste e decadente voyeurismo. Hanno sì il potere e i soldi per osservare e sbavare davanti a una donna nuda, ma la macchina fotografica ha conferito maggiore potere a chi l’ha usata.

Kiana Hayeri, “Herat Afghanistan”, 4.7.2019, courtesy Biennale Fotografia Femminile di Mantova

Sono tanti altri i progetti ospitati presso gli altri luoghi di questa Biennale Fotografia Femminile: negli Spazi Arrivabene colpiscono i reportage fotografici di Sujata Setia e di Mahé Elipe che ci mostrano il lato oscuro e diffuso del possesso maschile in senso negativo del corpo femminile e il lato luminoso della solidarietà femminile e della sorellanza. Alla Libreria Coop impressiona il progetto staged della fotografa Olga Stefatou che mette in scena la fierezza che possono rivendicare delle ‘crisalidi’ (donne trans) una volta arrivate in un centro di prima accoglienza europea (nella fattispecie, in Grecia). Caleidoscopico è ancora il progetto orgogliosamente etnico, ospitato presso la Galleria Disegno, della fotografa keniana Thandiwe Muriu con le sue modelle ‘camuffate’ camaleonticamente su sfondi sgargianti e che costituiscono un po’ l’immagine guida del Festival (il progetto s’intitola “Camo”, appunto da camouflage). E infine, a Palazzo Te, concettualità, realtà e privacy si fondono in un originale progetto dell’olandese Esther Hovers, che indaga il sistema di riconoscimento delle identità con l’uso degli algoritmi di sorveglianza. “False Positive” mostra anche ‘errori’ dell’intelligenza artificiale nel segnalare casi sospetti di situazioni quotidiane come l’abbandono di una valigia sul marciapiede oppure la corsa di due cittadini.

Giovanni Crotti

Info:

III Biennale Fotografia Femminile di Mantova
a cura di Alessia Locatelli e Associazione La Papessa
08/03 – 14/04/2024
sedi varie
https://www.bffmantova.com/


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