Bjarne Melgaard da Ropac, a Parigi

Bjarne Melgaard è un autore particolarmente prolifico e indubbiamente insolito. Il suo lavoro si coniuga con strumenti pittorici, plastici, installativi, letterari, architettonici, fino a toccare gli aspetti spigolosi delle videoproduzioni e della realtà aumentata. Una commistione di segni linguistici lo conduce a coinvolgere altri collaboratori nei suoi progetti interdisciplinari.

Ora, per la mostra “Elisabeth and Me”, da Ropac, a Parigi, l’autore ha lavorato su delle tele di non grandi dimensioni che poi sono state accolte su degli sfondi appositamente progettati per coinvolgere dette tele all’interno di un continuum installativo site-specific e di grandissima efficace espressiva. Questa mostra è scaturita dal particolare interesse che l’autore ha avuto per la figura della scrittrice e giornalista statunitense Elizabeth Wurtzel (l967 – 2020) e in particolare per il suo libro “Prozac Nation: Young and Depressed in America: A Memoir” (pubblicato nel 1994 e dove si racconta in prima persona la battaglia contro la depressione). Questo, allora, il centro tematico della mostra: due persone che non si sono mai incontrate (e una delle due, la scrittrice, è peraltro deceduta da poco) si collegano e dialogano per mezzo di parole e immagini. Ecco, in sintesi, quanto afferma l’autore, nel motivare la sua scelta: “In questi tempi difficili, quando i blocchi e l’isolamento sono una parte così nuova della nostra esperienza comune, Elisabeth sembra la migliore delle compagne”.

La pratica creativa, avvolgente e coinvolgente, di Melgaard è consapevole dei minimi termini della natura umana, delle sue debolezze e dei suoi aspetti più inaspettati e sorprendenti, fatti non solo di cadute rovinose, di lati oscuri e dolorosi, ma anche di possibili risalite (o rinascite). Investigare, condividere e abbracciare l’auto-scrutinio spiritoso e doloroso di Elizabeth Wurtzel e la sua visione distopica del mondo  hanno guidato Melgaard nel cuore di questa serie di tele espressive e dai colori vivaci, quasi che un dialogo a distanza potesse divenire esperienza di vita e terapia della quotidianità. Queste tele sono popolate da personaggi ibridi (umani e animali, simili a gatti o cani), con evidenti connotazioni di genere, ma anche con tratti caricaturali o di esultanza espressiva che potrebbero connettersi a più matrici: dal Munch più esacerbato (quello del dramma e dell’angoscia che affiorano dalla profondità dell’animo) al Picasso più sfrenato e pulsionale.

Le tipiche pennellate (rapide e incisive) di Melgaard indicano un bisogno di esprimersi senza restrizioni, di catturare l’attimo fuggente del qui e ora. In contrasto con i suoi colori gioiosi, i dipinti riecheggiano l’oscurità e il dolore che possiamo riscontrare nei testi di Wurtzel, e che diventano particolarmente toccanti alla luce dell’attuale crisi socio-psicologica globale determinata dall’epidemia di Covid-19 ancora in corso. Commentando il dittico intitolato “Dog / Cat Walk” che accoppia due dei suoi personaggi semi-fumettistici, Melgaard dice che l’opera impersona le nostre attuali esperienze di vita, mentre “calpestiamo il nostro stesso dramma quotidiano”. Dipingere formati più piccoli per questa mostra parigina ha permesso a Melgaard di impegnarsi in un dialogo più intimo e psicologico con  Elizabeth Wurtzel. Certo, si tratta di un dialogo proiettivo: Melgaard vede la realtà a modo suo, la trasfigura, se ne impossessa e dopo averla digerita, ce la propone sotto un’altra luce.

Tuttavia, in un confronto stratificato tra culture, tra uno scorrere di sfondo delle immagini, in un brusio sordo e indistinto, e l’elevazione a simbolo di alcune di queste, ecco che queste tele, quasi in una sovrapposizione tra cultura alta e cultura bassa, si adagiano su tre diverse carte da parati create da Martin Kvamme e prodotte da Rolf Hoff e dalla ditta Signex AS, e che hanno sostanzialmente trasformato gli spazi della galleria in un fondale continuo, in una specie di loop grafico. In questa maniera le opere espressioniste di Melgaard si sono mischiate con memorie psichedeliche, flussi cinematografici, icone generazionali (come Lydia Lunch o Heather Locklear) e un insieme di citazioni tratte da “Prozac Nation”, come se il segno dipinto sulla tela dal Nostro entrasse al pari di un apriscatole in quello che possiamo definire il compendio del mondo (o di quella fetta di mondo che si va a raffigurare). Eppure non credo si debba parlare di scontro di culture (quella alta contro quella bassa), quanto di un incontro di più segnali linguistici, in uno sconfinamento creativo del tutto autentico e voluto. E di grande efficacia espressiva.

Roberto Grisancich

Info:

Bjarne Melgaard. Elisabeth and Me
9 December 2020 – 13 February 2021
Thaddaeus Ropac
rue Debelleyme 75003 Paris
paris.marais@ropac.net

Installation view from Bjarne Melgaard exhibition (“Elisabeth and Me”, 9 December 2020 – 13 February 2021), ph Charles Duprat, courtesy Galerie Thaddaeus Ropac London · Paris · Salzburg


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.