L’allestimento “open space” favorisce in maniera chiara e inequivocabile il concetto creativo di Bruno Munari: il prodotto artistico è solo una tappa della sua sfrenata fantasia, tra grafica, arte e design. E, allora, nessuna didascalia a condizionare il visitatore che è libero di muoversi al primo piano della ex Interzona, all’interno di un percorso tematico e non cronologico. Una mappa eclettica tra le sculture da viaggio, le macchine inutili, i poster della Campari e le copertine di Einaudi. Perché Bruno Munari faceva “un mestiere” che gli permetteva di sostenere il pensiero artistico con quello operativo, la creazione libera con le committenze. Così la mostra “Bruno Munari. La leggerezza dell’arte”, esposta a Eataly Art House di Verona fino al 31 marzo, è un omaggio all’artista che ha attraversato l’intero Novecento, innamorandosi in maniera concreta del presente, rielaborando il Futurismo, e trovando un nuovo equilibrio tra la regola e il caso dadaista.
Il progetto espositivo, curato da Alberto Salvadori assieme a Luca Zaffarano, sembra dimostrare l’intuizione di Picasso quando definì Munari “il Leonardo del ‘900”. L’opera e il progetto, quindi, sono una cosa sola, come avrebbe comprovato Depero, e non ha senso distinguerli in discipline separate. Il Futurismo per Munari aveva un limite, quello di assecondare la staticità della scultura: l’opera invece non solo è parte dello spazio, ma nello spazio si muove. Nascono così i lavori che la mostra raccoglie nella categoria “Percezione”: Munari nel 1945 applica dei dischi di materiale colorato e trasparente alle lancette di una sveglia (Ora X). Le lancette muovendosi con tempi differenti compongono, tramite la sovrapposizione dei materiali, una forma a colori mutevoli.
L’opera Tetracòno (1965) risponde invece all’esigenza di sperimentare la trasformazione prodotta da due colori complementari a contatto: il rosso e il verde. A questo scopo quattro coni motorizzati, inseriti dentro una scatola cubica, ruotano con velocità differenti e direzioni convergenti tra loro. Poi ci sono anche i Libri illeggibili perché anche un libro è innanzitutto un oggetto. Un oggetto che contiene sorprese e ha una copertina “estetica” come quelle introvabili dedicate ad Anna Frank ed esposte in bacheca accanto, ad esempio a “Rose nell’insalata”, il libro che insegna a tagliare verdure per usarle come timbri. La contaminazione è arte, la natura ha regole che il caso può rendere dialettiche. Se c’è una regola, come il pattern di una nota azienda di arredamento, una macchia, una sbavatura, produce il nuovo, l’irripetibile. «Il prodotto della fantasia», sostiene Munari, «nasce dalle relazioni tra ciò che si conosce. La fantasia quindi è tanto più fervida quanto più l’individuo è capace di fare relazioni» si legge nel catalogo edito da Edizioni E.ART.H.
«L’immaginazione ci consente di vedere ciò che non esiste. La creatività può pensare a qualche uso pratico. L’invenzione, invece, può cercare la formula chimica per realizzare il materiale. La fantasia è, dunque, la facoltà più libera, permette di pensare qualunque cosa, anche impossibile. Tra i doni che la natura ha dato all’uomo, è certamente il più poetico. Con questo mezzo la mente può viaggiare in mondi inventati, attraversare senza limiti misteriosi panorami cosmici». Ecco allora i fragili rami tra i quali l’ormai novantenne Munari tesse fili di cotone sperimentando relazioni geometriche per dare forma solida a una struttura essenzialmente vuota e quest’esperienza così ci viene testimoniata: «Mi trovo a un certo punto ad avere davanti a me con grande sorpresa un oggetto solido che prima non c’era». Sperimentazioni e non laboratori sono le esperienze con cui, con grande entusiasmo, affrontava con decine di bambini. I risultati sono le famose forchette parlanti e l’Abitacolo, una struttura modulare componibile di mensole e porta oggetti, ma anche quanto è nell’ultima sezione, dedicata alla luce.
Sulle pareti dell’ultima sezione ci sono le Proiezioni dirette (1950), micro-composizioni costruite utilizzando qualsiasi materiale che si presti alla trasparenza. Munari sperimenta, grazie all’effetto della polarizzazione, l’uso dei colori puri dello spettro della luce, generando attraverso la rotazione di un filtro Polaroid una molteplicità di immagini, una pittura in movimento. Accanto pendono dal soffitto le Le macchine inutili, inutili perché non sono produttive sono oggetti mobili, appesi, sfruttano la casualità di un soffio d’aria, la traiettoria di un fascio di luce, e il grande Szeemann di certo al loro cospetto avrebbe detto che sono anche macchine celibi.
Info:
Bruno Munari, La leggerezza dell’arte
13/10/2023 – 31/03/2024
Eataly Art House – E.ART.H.
via Santa Teresa 12, 37135 – Verona
ingresso gratuito
orari: mercoledì –> domenica, ore 12.00 – 20.00
https://eatalyarthouse.it/
È critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine presso l’Istituto di Design Palladio di Verona e Arte contemporanea presso il Master di Editoria dell’Università degli Studi di Verona. Ha curato numerose mostre di arte contemporanea in luoghi non convenzionali. È direttore artistico del festival di Fotografia Grenze. È critico teatrale per riviste e quotidiani nazionali. Organizza rassegne teatrali di ricerca e sperimentazione. Tra le pubblicazioni recenti Frame – Videoarte e dintorni per Libreria Universitaria, Lo Sguardo della Gallina per Lazy Dog Edizioni e per Mimemsis Smagliature nel 2018 e nel 2021 per la stessa casa editrice, Teatro e fotografia.
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