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Carlo Gabriele Tribbioli. Intorno l’altare di un d...

Carlo Gabriele Tribbioli. Intorno l’altare di un dio sconosciuto

La seconda personale di Carlo Gabriele Tribbioli da Federica Schiavo Gallery è l’approdo finale di una lunga indagine sulla guerra compiuta dall’artista fra il 2011 e il 2016, in collaborazione con il regista Federico Lodoli, a partire da una serie di riprese documentarie girate in Liberia.  I filmati realizzati sul campo hanno generato il lungometraggio Frammento 53 (visibile in galleria su appuntamento per tutta la durata della mostra), il cui titolo riprende l’omonimo brano di Eraclito in cui il conflitto (polemos) è descritto come componente primordiale dell’essere e come ineluttabile dinamica che governa la struttura dell’universo. Le informazioni e le immagini raccolte per la ricerca sono confluite anche nel libro Towards the altar of a god unknown, Liberian notes, nelle opere grafiche che compongono la serie degli Altari e nell’Archivio 2011-2016, che nel percorso espositivo anticipano e introducono la visione del film.

EZ — Com’è nato il progetto del film Frammento 53 e quali cambiamenti ha subito l’idea iniziale nel corso delle 9 settimane di permanenza nel territorio liberiano? Cosa hai scoperto durante il viaggio?
CGT — Il progetto del film nasce da uno scambio di considerazioni, fra Federico e me, a proposito delle forze di conflitto e distruzione che trovano espressione nel fenomeno umano tramite la pratica della guerra. Guerra concepita come “divina” con riferimento all’architettura cosmologica dei sistemi politeistici, per i quali non è di nessun imbarazzo affiancare un dio della guerra ad un dio dell’amore, della legge, della tecnica, della sapienza etc. Indagare l’identità “sconosciuta” di un dio della guerra, tramite un confronto fra noi, gli autori, e gli esecutori materiali delle sue necessità, ovvero i “guerrieri” è stato il passo successivo. Alla ricerca di guerrieri ancora in contatto con questa dimensione, liberi dagli strumenti della morale, della storia e delle ideologie, siamo arrivati in Liberia.
Il nucleo del progetto non ha poi subito cambiamenti dovuti al confronto sul campo. Questo anche perché le nove settimane di riprese del 2014 seguivano una precedente esperienza di sopralluogo avvenuta nell’ottobre 2011. Esperienza nella quale abbiamo esorcizzato l’impatto con il caos della realtà locale e verificato la corrispondenza dei nostri interessi con le risposte dei nostri interpreti. Nei due anni che sono seguiti abbiamo affinato gli strumenti con cui equipaggiarci e l’apparato ha dimostrato di essere solido, ha tenuto.
Se c’è un aspetto che, pur non esorbitando la nostra griglia teorica, è uscito ridisegnato nei suoi contenuti è il rapporto individuale dei nostri guerrieri con il tempo e la memoria. La dimensione disperatamente puntiforme del tempo, percepito come un tutt’uno con il corpo stesso di chi lo pensa, la perdita delle radici di riferimento e la diffidenza nei confronti della memoria collettiva, ma anche della collettività stessa, squalificano la retorica della “gloria” che la nostra letteratura della guerra ci trasmette come originaria. Siamo al di qua della memoria, dove si rivela qualcosa di più essenziale.

EZ — Che tipo di collaborazione si è instaurata con il regista Federico Lodoli?
CGT — L’operazione è stata interamente concepita e realizzata a quattro mani e, per quel che riguarda il film, abbiamo curato insieme ogni aspetto, tanto progettuale che tecnico: dalla scrittura alle riprese, dalla preparazione delle interviste alla presa del suono, dalla produzione al montaggio. Il “corpo a corpo” con la materia dell’operazione, nella totalità dei procedimenti e delle esperienze di cui si completa, è stato una necessità similmente percepita e interpretata da entrambi: nessuno voleva mancare di confrontarsi con questo o quell’aspetto. Diversamente nell’elaborazione del libro (Towards the altar of a god unknown, Liberian notes – Humboldt Books, Milano) abbiamo deciso di separare nettamente i contributi, producendo due testi separati ma complementari: il testo di Federico sviluppa il percorso teorico che ha strutturato e guidato il lavoro, il mio rende conto dell’esperienza sul campo in una selezione di memorie e immagini di viaggio.

EZ — Le 7 interviste a guerrieri (soldati dell’esercito regolare e combattenti in forze ribelli) liberiani che costituiscono il filo conduttore di Frammento 53 vengono presentate in modo da trascendere i riferimenti personali e storici contenuti nelle testimonianze orali per elevarle a una dimensione paradigmatica e universale. A questo modo il conflitto viene interpretato come un processo alternativamente creativo e distruttivo che determina il perpetuarsi della vita offrendo un’inedita prospettiva di rivalutazione critica del valore della violenza. Come hanno influito i tuoi studi filosofici nell’elaborazione di questa radicale mitologia contemporanea?
CGT — Sicuramente il mio lavoro si fonda su quella che ho scelto essere la strada della mia formazione. La collaborazione con Federico Lodoli, che oltre ad essere regista è ricercatore in filosofia già autore di uno studio comparativo sul pensiero di Spinoza e Nietzsche, si iscrive nello stesso percorso. I miei riferimenti immaginari sono fortemente letterari, rispondono ad esigenze speculative le quali non vogliono però essere soddisfatte nell’ambito del pensiero tecnico filosofico, l’esercizio del quale eccede i limiti dei miei talenti, ma tramite altri percorsi.

EZ — La serie fotografica degli Altari è caratterizzata dal ripetersi del medesimo schema compositivo, in cui elaborazioni serigrafiche di immagini in bianco e nero di antiche divinità guerriere appartenenti a culture diverse vengono abbinate a scatti di impronta documentaristica che ritraggono luoghi segnati dal conflitto o simboli bellici con la sovrimpressione di date, nomi e luoghi inerenti al progetto nel suo complesso. La giustapposizione di questi 3 differenti livelli concettuali sembra suggerire una visione primordiale permeata di animismo, in cui le azioni umane appaiono sopraffatte dalla potenza di imperturbabili entità superiori.  Come in altri tuoi lavori (penso ad esempio a Reperti per il prossimo milione di anni) la catalogazione di frammenti prelevati dal reale sembra finalizzata alla riscoperta delle radici mitiche e rituali dell’esistenza. Ci vuoi parlare di quest’aspetto?
CGT — Mito e rito sono un radicale del pensiero umano. Un retaggio del quale non possiamo fare a meno ma che fonda il suo potere su una partecipazione religiosa di cui siamo orfani, mutili. Questa condizione di mutilazione, lo spazio di questa assenza, percepita nella forza del suo retaggio e non nella nostalgia per quanto perduto, sono l’oggetto ricorrente del mio interesse. Esplorare quello spazio con gli strumenti dell’arte la mia ambizione. Così l’intenzione della serie degli “Altari” è sintetizzare formalmente, in un unico oggetto, i livelli attraverso i quali questa esplorazione è stata pensata, vissuta ed elaborata: la ricerca dell’identità perduta di quel dio (dimensione astratta speculativa), il luogo-fenomeno sul corpo del quale siamo andati alla sua ricerca (trasfigurazione del reale), la totalità dei nomi di persone e luoghi tramite i quali lo abbiamo cercato (esperienza-vettore).

EZ — La mostra si conclude con un archivio in ferro che custodisce la documentazione raccolta nei 5 anni in cui è stato elaborato il progetto. Cosa hai scelto di conservare e perché?
CGT — L’indice d’archivio elenca taccuini autografi, documenti di lavoro, stampati delle corrispondenze fra me e Federico, database digitali, appunti di montaggio, negativi e provini delle fotografie 35mm – accanto a un insieme di “reperti” locali, medicine, alimenti, bevande, oggetti d’uso quotidiano. È custode, ritratto e cimitero dell’operazione: le sue ante chiuse sono per me l’immagine liberatoria della conclusione del lavoro. Conclusione a partire dalla quale inizia la sua vita autonoma.

Frammento 53 Trailer: https://vimeo.com/255715086

Info:

Carlo Gabriele Tribbioli. Intorno l’altare di un dio sconosciuto
8 febbraio – 16 marzo 2018
Federica Schiavo Gallery Milano
via Michele Barozzi 6 Milano

Carlo Gabriele Tribbioli, Intorno l’altare di un dio sconosciuto, Installation view at Federica Schiavo Gallery Milano, Room 1 Ph. Andrea Rossetti, Courtesy Federica Schiavo Gallery

Carlo Gabriele Tribbioli, Intorno l’altare di un dio sconosciuto, Installation view at Federica Schiavo Gallery Milano, Room 1 Ph. Andrea Rossetti, Courtesy Federica Schiavo Gallery

Carlo Gabriele Tribbioli, Intorno l’altare di un dio sconosciuto, Installation view at Federica Schiavo Gallery Milano, Room 1 Ph. Andrea Rossetti, Courtesy Federica Schiavo Gallery

Carlo Gabriele Tribbioli & Federico Lodoli, Frammento 53, una produzione Centre d’Arte Contemporain-Genéve, Federica Schiavo Gallery & Ring Film Italia/Svizzera, 71 minuti, colore, stereo, DCP/HD, 2015 (still frame)

Carlo Gabriele Tribbioli & Federico Lodoli, Frammento 53, una produzione Centre d’Arte Contemporain-Genéve, Federica Schiavo Gallery & Ring Film Italia/Svizzera, 71 minuti, colore, stereo, DCP/HD, 2015 (still frame)

Carlo Gabriele Tribbioli & Federico Lodoli, Frammento 53, una produzione Centre d’Arte Contemporain-Genéve, Federica Schiavo Gallery & Ring Film Italia/Svizzera, 71 minuti, colore, stereo, DCP/HD, 2015 (still frame)


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