In un mondo dove Internet si fa sempre più coscienza e incoscienza spettacolarizzate, Ibrida Festival ricorda il ruolo avanguardistico dell’artista, preservandone l’indole creativa e sensibile e al contempo, evidenziandone le capacità indagatrici e rivoluzionarie che egli adotta per rimanere a passo con i tempi. La nuova frontiera dell’arte, infatti, potrebbe ritrovarsi in quei piccoli frammenti videografici e sonori cui siamo esposti oggigiorno continuamente e che scompongono e ricompongono l’immaginario semantico artistico, conservando, tuttavia, i protagonismi della percezione e delle relazioni umane nella vita di ciascuno.
Lo scopo di Ibrida Festival è proprio quello di studiare e rendere pubblico tutto ciò che riguarda la sperimentazione audiovisiva, grazie soprattutto all’intervento di rinomati artisti performativi. La rassegna invernale di quest’anno si terrà il 2 e il 3 dicembre, nella consueta cornice di Forlì. Intitolata Scolpire il Tempo, è dedicata all’artista visivo e filmaker spagnolo pluripremiato Carlos Casas, il quale presenterà il film Cemetery e terrà una Masterclass presso gli spazi dell’EXATR di Forlì. Circa questa seconda novità, i direttori artistici del festival, Francesca Leoni e Davide Mastrangelo anticipano: «Carlos Casas, durante la Masterclass, parlerà del suo lavoro, della sua poetica e dell’utilizzo dei vari media per la creazione di un’opera cinematografica». Quindi, un’occasione unica, da non perdere assolutamente, che dà la possibilità di entrare in contatto con la mente creativa di uno degli artisti più innovativi della scena contemporanea.
E noi abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.
Antonela Buttazzo: Cemetery sarà presentato nell’edizione di quest’anno di Ibrida Festival a te dedicata. Parlaci dell’evoluzione creativa di questa tua nuova produzione, degli elementi che l’hanno ispirata e di cosa rappresenta a questo punto della tua carriera.
Carlos Casas: Cemetery è un progetto pluriennale. Dieci anni fa, quando l’idea si è concretizzata attraverso la ricerca, ha subito numerosi cambiamenti dall’intenzione iniziale, ma nonostante ciò, il film non ha subito importanti variazioni. Infatti, l’ambizione di condurre lo spettatore contemporaneo al mitologico cimitero di elefanti, accompagnato da elementi visivi e sonori, omaggiando, per certi versi, quei film d’avventura che avevano segnato la mia infanzia, è rimasta invariata. Film come Tarzan, Elephant boy, Il libro della giungla, King Kong, sottolineavano e sottolineano il rapporto tra la giungla, luogo inaccessibile e l’uomo, essere da sempre affascinato da ciò che è misterioso, evidenziando anche come tale luogo di incontro fra specie stia estinguendosi in un modo irreversibilmente endemico.
Nei tuoi docufilm, oltre alle immagini, si può notare una sapiente elaborazione e rigorosa ricerca dei supporti impiegati nella realizzazione. In che modo avviene questo attento e lungo processo? Quando ti ritieni completamente soddisfatto e puoi definire concluso un tuo film?
Per me un film è un contenitore di sensazioni, una macchina di percezioni molto precisa. In esso si deve trovare l’equilibrio fra i mezzi che si hanno a disposizione e la narrativa che si vuole proporre. Sono dell’idea che nella creazione di un film non serva tanto la storia iniziata e conclusa, quanto essa invece, possa permettere allo spettatore di lasciarsi trasportare e immaginare assieme a me. Ovviamente nella riuscita bisogna lavorare con gli elementi visivi che hai a disposizione nel modo più preciso e diretto possibile. Nel caso di Cemetery, questo film è anche un viaggio sonoro. Per me, infatti, il suono è quasi più importante dell’immagine, poiché possiede la capacità di suggerire visioni, anche lontane. Tanto che lo spettatore, attraverso esso, dovrebbe essere in grado di immaginare scene e proprio per tale ragione, l’elemento sonoro deve essere molto preciso ed elaborato. Chiudere un film è sempre difficile. Significa stress e tempi limitati dal budget, ma la cosa più importante per me è la conclusione della ricerca: un film può iniziare solo se la ricerca è finita.
Quando si parla di opera, il nostro pensiero va a identificarsi con un’immagine fragile, perennemente esposta ai capricci del tempo. Per quanto riguarda il digitale, invece, come si possono conservare i supporti che concorrono alla realizzazione filmica? Si è giunti a una soluzione esaustiva per proteggere questo genere di opere?
Questa è una domanda che ritengo molto importante poiché esprime sensibilità nei confronti del lavoro di cui parliamo. La conservazione digitale è sempre molto fragile. Quando si parla di fragilità in ambito di materia filmica, si pensa che la pellicola sia l’oggetto più esposto a rischi, in realtà anche il digitale lo è. Soprattutto in un contesto contemporaneo come quello in cui viviamo, dove i formati e i modi di archiviazione cambiano alla velocità della luce, tanto da definire anacronistiche, in termini di formato, immagini registrate nel 2000. Credo che l’unico modo per far sopravvivere questo materiale filmico nel tempo sia l’onnipresenza. Mi spiego meglio: questi file dovrebbero essere continuamente esposti, magari facendo parte di collezioni private e museali, piattaforme di video on demand, etc… Insomma sono del parere che rendere il più possibile accessibile questo patrimonio sia un modo per preservarlo nel corso del tempo.
Per concludere, ti andrebbe di parlarci dei tuoi progetti in corso e futuri?
Attualmente, sto lavorando a un progetto dedicato al vulcano Krakatoa, situato in Indonesia. Spero di poterlo filmare l’anno prossimo. L’idea sarebbe di riproporre un film multiforme, magari realizzando una versione live e una versione cinema. Altri progetti a cui mi sto dedicando sono: un film sui deserti e altri lavori sonori che dovrebbero uscire il prossimo anno, un catalogo ragionato dei miei Fieldworks e un libro sul mio Avalanche che spero di pubblicare tra il 2022 e il 2023.
Antonella Buttazzo
Info:
Carlos Casas, ph Ya Ting Kee, courtesy the artist
Carlos Casas, Cemetery (still), 2019, courtesy of the artist
Carlos Casas, Cemetery (still), 2019, courtesy of the artist
Carlos Casas, Cemetery (still), 2019, courtesy of the artist
Carlos Casas, Cemetery (still), 2019, courtesy of the artist
Carlos Casas, Cemetery (still), 2019, courtesy of the artist
Dopo aver conseguito la maturità linguistica, ha proseguito gli studi laureandosi in Storia dell’Arte presso l’Università del Salento, con una tesi bilingue sui Preraffaelliti. Da allora, contribuisce attivamente come articolista e collaboratrice con blog nazionali e con riviste e programmi TV locali.
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