Il maat (Museu de Arte, Arquitetura e Tecnologia) è un’istituzione inaugurata nell’ottobre del 2016 nell’ambito della politica di mecenatismo culturale assunta da tempo dalla Fondazione EDP. La sede del Museo è situata lungo il fiume Tago, nell’area storica di Belém, a Lisbona, nel campus della Fondazione EDP: in tutto 38mila metri quadrati che includono una centrale termoelettrica (un edificio emblematico dell’architettura industriale costruito nel 1908 e oggi riconvertito a uso culturale) e un nuovo edificio progettato dallo studio di architettura AL_A. Il tetto, concepito come un’estensione dello spazio pubblico, dà accesso alla città attraverso un ponte pedonale che attraversa la linea ferroviaria, mentre la facciata sud, composta da quasi 15mila piastrelle tridimensionali, è predisposta per catturare la luce naturale, creando riflessi che cambiano con le stagioni e l’ora del giorno. Il gioco di luce fa pensare ai riflessi del Guggenheim di Bilbao di Frank O Gehry, ma ovviamente i materiali impiegati e l’effetto finale sono ben diversi. L’intera superficie espositiva è di 3mila metri quadrati e gli spazi interni sono progettati in modo da poter essere configurati a seconda delle esigenze espositive. Il campus della Fondazione e i due edifici sono collegati da un giardino ideato dall’architetto paesaggista Vladimir Djurovic, con aree di sosta, percorsi pedonali in granito, alberi, vegetazione arborea, panchine di tronchi. I giardini ospitano due installazioni permanenti: “Placed on Both Side of the Light” (1999) di Lawrence Weiner e “Central Tejo” (2018) di Pedro Cabrita Reis.
Attualmente il Museo ospita una mostra monografica di Carsten Höller; la mostra è curata da Vicente Todolí, il quale aveva già firmato “Doubt” per Pirelli HangarBicocca. La formazione di Höller è piuttosto insolita e si riflette sul suo intero lavoro. L’autore, che vive tra due mondi molto distanti tra di loro (la Svezia e il Ghana), ha un dottorato in scienza dell’agricoltura ed è specializzato in ecologia chimica, ma a partire dai primi anni Novanta ha abbandonato del tutto la professione scientifica per votarsi completamente alla ricerca artistica, senza però dimenticare le basi propedeutiche della sua formazione e questo è il vero punto di forza di tutta la sua indagine e di ogni sua successiva proposta estetica. In questo modo, grazie a questo suo insolito approccio di tipo più epistemologico che formale, è riuscito in maniera rapida a toccare gli apici del sistema; ricordiamo alcuni di questi passaggi: Fondazione Prada (Milano, 1990); ICA (Boston, 2003); P.S.1 (New York, 2006); Hamburger Bahnhof (Berlino, 2011); Hayward Gallery (Londra 2015); Pirelli HangarBicocca (Milano, 2016); Museo Tamayo (Città del Messico, 2019). Come ciliegina sulla torta bisogna sottolineare che è stato invitato a ben quattro edizioni della Biennale di Venezia (2003, 2005, 2009, 2015). Il suo lavoro lo ricordiamo come in continua sperimentazione e mutazione, con segni formali molto forti e ben riconoscibili e davvero coinvolgenti e dove tutto gira come in un immenso luna park: veicoli, scivoli, giocattoli, animali (renne, canarini, topi, mosche), spettacoli, film, luci, specchi, funghi, ambienti, vasche sensoriali, stampe fotografiche, installazioni interattive.
La mostra (che è stata realizzata con la collaborazione di Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, musée d’art contemporain Marseille, Christel Bonnier Collection, INELCOM, Gagosian, MASSIMODECARLO, Air de Paris e Galleria Continua) riunisce una serie di opere incentrate sul tema della luce e dell’oscurità, a partire dalle prime testimonianze del 1987. In tutto una ventina di pezzi, molti dei quali sono stati appositamente ricreati per questo progetto e che nel percorso di visita procurano una esperienza multisensoriale di alterata percezione dato che l’unica luce che definisce il profilo dei singoli oggetti e la loro contestualizzazione è quella emanata dagli oggetti stessi. Per questo possiamo parlare di un corridoio, come di un percorso obbligato che diventa il sistema di un pensiero ramificato dall’interno verso l’esterno e di un’illuminazione verso le radici di un’anima consapevole. In definitiva si partecipa a una sensazione di spaesamento e di deterritorializzazione, una sensazione che spinge lo sguardo verso una fuga in avanti, nella direzione di un infinito non raggiungibile o all’interno di un sogno ove tutto è possibile, dall’esperienza superficiale e tattile fino all’indagine profonda. E questo perché più dei luoghi (riferimenti a geografie o contesti ambientali, coordinate di città o di precisi luoghi fisici) contano le persone, le percezioni e i ricordi. La sospensione sposta i piani della realtà per condurre la nostra mente percettiva e proiettiva verso quei corpi che emanano luce. Per dirla con le parole dell’artista, “tutte queste opere offrono la possibilità di esperienze interiori uniche che possono essere utilizzate per esplorare il sé”.
Bruno Sain
Info:
Carsten Höller, DAY
05/10/2021 – 28/02/2022
maat – Museu de Arte, Arquitetura e Tecnologia
Av. Brasília, Belém
1300-598 Lisboa
+351 210 028 130
+351 210 028 102
maat@edp.pt
View of the exhibition DAY di Carsten Höller, maat – Museu de Arte, Arquitetura e Tecnologia, 2021, ph Attilio Maranzano, courtesy maat, Lisbona
View of the exhibition DAY di Carsten Höller, maat – Museu de Arte, Arquitetura e Tecnologia, 2021, ph Attilio Maranzano, courtesy maat, Lisbona
View of the exhibition DAY di Carsten Höller, maat – Museu de Arte, Arquitetura e Tecnologia, 2021, ph Attilio Maranzano, courtesy maat, Lisbona
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