Dove finisce l’angolo di un cerchio alla testa? Questa paradossale domanda, tratta da un motivetto del clubbing underground degli anni ’90 che mi piacerebbe risentire, torna insistentemente nei miei pensieri quando penso al lavoro di Caterina Morigi (Ravenna, 1991), attualmente protagonista della mostra Archeologia della Materia in corso nelle bacheche di Neutro, un progetto espositivo eterotopico in un passaggio commerciale nel centro di Reggio Emilia. Il lavoro di Caterina Morigi indaga il rapporto tra micro e macro della materia esplorando intriganti ipotesi di intersezione tra la dimensione naturale e quella artificiale e rielaborando in chiave contemporanea il concetto antico di mimesi. Le sue opere sono trappole in cui le due categorie identitarie si compenetrano grazie alla minuziosa rilevazione di analogie (a livello sia di struttura e sia di superficie) che, enfatizzate dai suoi interventi di sovrapposizione, accostamento e imitazione, diventano sorprendenti. Molti suoi lavori sottopongono all’osservatore un enigma, nella cui soluzione appare lampante l’ingannevolezza delle percezioni sensoriali umane e l’insufficienza della logica deduttiva nel decifrare le vertiginose diramazioni delle infrastrutture che innervano la realtà.
In Archeologia della Materia l’artista espone una collezione di pietre naturali prelevate da differenti ambienti geografici, ciascuna affiancata dalla sua riproduzione in porcellana realizzata da un diverso maestro della Real Fabbrica di Capodimonte, istituzione coinvolta anche in un proseguimento del progetto attraverso un laboratorio, rivolto agli studenti dell’Istituto Caselli Real Fabbrica della Porcellana, finalizzato alla produzione di un’ulteriore serie di piccole sculture. Gli originali e le repliche, che ne interpretano l’essenza in una plausibile ripetizione differente, sono quasi impossibili da riconoscere mediante una valutazione visiva, ma anche il tatto e l’atto di soppesare potrebbero trarre in inganno, nonostante siano più affidabili ai fini dell’identificazione essendo la porcellana più densa e pesante della pietra. Superato lo stupore provocato dalla constatazione di quanto possano essere grossolani i fraintendimenti delle nostre percezioni sensoriali e le loro conseguenze cognitive, lo spettatore si ritrova irretito nella riflessione di Caterina Morigi sulle ambiguità di un’apparenza che, nell’inganno, diventa rivelatrice di essenza.
Sin dall’antichità greca e romana l’imitazione della natura si è fondata su una sofisticata restituzione visiva delle sue textures superficiali attraverso la manipolazione delle proprietà fisiche e chimiche di materiali di origine diversa rispetto a quelli da replicare, attitudine che ha innescato una complessa progressione tecnologica che sul piano culturale ha come esito l’instaurazione di un rapporto di corrispondenza inversa tra originale e copia. Da un lato infatti abbiamo l’oggetto naturale, la cui apparenza è il risultato delle metamorfosi di una determinata struttura minerale sollecitata dalle eventualità del caso, mentre dall’altro abbiamo un’artificiale alchimia di sostanze dosate e lavorate secondo protocolli precisi per arrivare alla sempre più perfetta contraffazione di ciò che in natura è l’accidentale approdo visivo di un processo privo di intenzionalità. Il fatto che i due risultati si avvicinino tra loro così tanto da confondersi e che persino gli imprevisti tecnici dell’imitazione possano generare impressioni visive coerenti con il prodotto desiderato, fa trapelare quanto la misteriosa propensione all’ibridazione della materia si sottragga al controllo della volontà umana anche quando potrebbe apparire ad essa totalmente asservita.
Le contraffazioni e gli innesti di Caterina Morigi, oltre a collocarsi con personalità e intelligenza in una tradizione artistica di alto e secolare lignaggio, riescono a incarnare senza affettazione le implicazioni aristoteliche del concetto di mimesi intesa come imitazione non delle cose particolari, ma dell’idea universale da cui derivano. La sua osservazione “superficiale” delle somiglianze la porta a esplorare il modo in cui la natura si adatta alla forma che l’uomo le impone e a sperimentare come i processi di imitazione finiscano per generare identità altre che smentiscono la presunta esistenza di un corpo solido ermetico ed eterno con l’evidenza dell’infinita capacità di replica di un archetipo sempre disposto a rinegoziare sé stesso. Compreso questo, la sfida non è più quella di mettere alla prova l’idoneità dell’occhio nel distinguere tra il vero e il falso, ma di guardare così a fondo l’apparenza del reale da riuscire ad abbandonarsi alla fluidità dei processi ad esso sottesi e ad assaporare l’irripetibile immensità di ogni suo frammento.
Info:
Caterina Morigi. Archeologia della materia
14.03.2021 – 02.05.2021
Neutro
Via Emilia Santo Stefano 4, Reggio Emilia
Passaggio commerciale Banca BNL – Gruppo BNP Paribas
IG: @spazioneutro | FB: Spazio Neutro
Caterina Morigi. Archeologia della materia. Installation view at NEUTRO, 2021
Caterina Morigi, Honesty of Matter, 2019, photo Luca Vianello
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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