In sinergia con il Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia, incentrato quest’anno su una rappresentazione del paesaggio che trova nella strada il proprio filo conduttore, la Fondazione MAST rende omaggio alla via Emilia con una collettiva di fotografi internazionali che con i loro scatti analizzano e interpretano la principale arteria viaria della regione e il territorio che si snoda lungo il suo percorso. Fulcro di un’area metropolitana densamente popolata che si estende da Bologna a Parma, si è sviluppata sulla scia delle radicali modifiche nel modo di lavorare e di vivere che il dinamismo economico del dopoguerra ha apportato. Le unità abitative e gli stabilimenti industriali sorti in quel periodo si sono amalgamati con un panorama che ha il suo tratto distintivo principale nella continuità della linea che separa la pianura dal cielo, a volte offuscata dalla nebbia esalata dalla fitta rete di fiumi e canali che attraversano la campagna. La rivoluzione industriale del XXI secolo, che ha sostituito le vecchie strutture produttive con impianti altamente tecnologici funzionali alle nuove esigenze del terziario avanzato, dei commerci, della tecnica e dell’accelerazione, ha recentemente messo in crisi un sistema socio economico che aveva trovato il proprio equilibrio nella collaborazione, nella piccola impresa e nella proprietà cooperativa. Teatro e testimonianza di questi cambiamenti epocali è proprio il paesaggio in cui oggi convivono i retaggi della tradizione, i reperti dell’abbandono e le infrastrutture di un progresso che sembra sempre più refrattario alla presenza umana. I fotografi coinvolti in questa mostra esplorano i nuovi valori visivi generati da questa trasformazione componendo una sorta di inventario di immagini contrapposte che analizzano la situazione attuale nella sua doppia valenza di intermezzo d’attesa delle ulteriori trasmutazioni annunciate dall’era digitale e di bilancio dell’esistente.
La rassegna si apre con il Ritratto d’operaio del neorealista Enrico Pasquali: il suo sguardo fiero rivolto verso l’alto esprime la fiducia nella dignità nobilitante del lavoro e nelle promesse di prosperità che animavano il boom economico degli anni ’50. Quest’immagine emblematica è accompagnata da una serie di foto anonime tratte dal catalogo delle Officine Minganti che illustra alcune delle macchine utensili prodotte dall’azienda. L’impostazione classica della fotografia in bianco e nero che non concede nulla al superfluo risulta oggi nostalgica attestazione di un’affidabilità che si poteva fisicamente valutare in termini di solidità e durata e che non aveva bisogno di espedienti comunicativi improntati alla seduzione per essere convincente. Fu un periodo di breve durata, come dimostrano gli scatti di Gabriele Basilico che documentano le macchine confezionatrici dismesse di uno stabilimento in fase di smantellamento e riconversione a Bologna accentuandone l’immobilità e l’ingombrante obsolescenza.
Nell’immaginario contemporaneo una struttura resistente e solida è forse più associata a idee di lentezza e fatica più che di efficienza e versatilità; per questo motivo gli scatti con cui Carlo Valsecchi monumentalizza i più tecnologici stabilimenti industriali di tutto il mondo ne accentuano la componente futuristica con un’elaborazione formale e cromatica che tende all’astrazione del dato reale. Anche Paola de Pietri fotografa i modernissimi impianti di produzione ceramica di Sassuolo come immacolati congegni in cui l’antica alchimia della trasformazione delle polveri nella preziosa pasta invetriata sembra avvenire in modo autosufficiente. Se le fabbriche e le campagne appaiono deserte perché la manodopera umana è stata sostituita da instancabili macchinari automatici oppure decentrata nei Paesi in via di sviluppo a scapito dei diritti dei lavoratori, negli scatti di Olivo Barbieri gli esseri umani che affollano i centri commerciali diventano anonimi ingranaggi indispensabili al funzionamento della grande distribuzione organizzata.
Walter Niedermayr e Bas Princen documentano la costruzione delle infrastrutture della TAV come violenta cancellazione di un paesaggio che non potrà più recuperare la propria integrità: il collegamento veloce elimina ogni tappa intermedia che non sia strettamente funzionale all’ottimizzazione delle risorse e diventa irreparabile interruzione dei ritmi naturali di un territorio dove una cadenzata lentezza assicurava la qualità della produzione e il benessere degli abitanti. Questo sistema sociale non sembra oggi più praticabile, come dimostrano i reportage di William Guerrieri che indagano l’identità storica del villaggio artigiano di Modena ovest attraverso scatti personali e d’archivio da cui emerge come l’abbandono dei luoghi sia conseguenza e presupposto della loro perdita di senso. A volte l’immagine può essere delicato tentativo di riconciliazione tra le sedimentazioni culturali del passato e la problematicità del presente: le immagini di Marco Zanta descrivono il Delta del Po con scorci di paesaggi minimali e ritratti di compaesani che sussurrano tra loro sospendendo il tempo in un limbo in cui convivono la sotterranea vitalità della tradizione e l’eco dell’inesorabile cambiamento.
A ideale raccordo di tutti questi differenti punti di vista fotografici, estetici e concettuali il video di Franco Vaccari La via Emilia è un aeroporto (2000) racconta il transito di persone, mezzi e merci lungo la grande arteria stradale soffermandosi anche sul suo aspetto notturno. Il continuo scorrere di veicoli che lambisce la monotonia di capannoni industriali, hotel a poco prezzo e abitazioni popolari trova il suo inaspettato contrappunto umano nel dialogo che l’artista instaura con alcune famiglie extracomunitarie residenti in zona o con le prostitute che lì esercitano la loro antica professione.
Ceramica, latte, macchine e logistica. Fotografie dell’Emilia Romagna al lavoro.
a cura di Urs Stahel
4 maggio – 11 settembre 2016
MAST
Via Speranza 42, Bologna
martedì – domenica 10.00 – 19.00
Ingresso gratuito
Olivo Barbieri, Centri Commerciali sulla via Emilia, 1999, © Olivo Barbieri, Courtesy Yancey Richardson Gallery New York
Gabriele Basilico, British American Tobacco, Bologna, 2008, Collezione MAST, © Gabriele Basilico
Paola De Pietri, Seccoumidofuoco, 2013, Collezione MAST, © Paola De Pietri
Franco Vaccari, fermo immagine tratto dal video La via Emilia è un aeroporto, 2000, Collezione Linea di Confine, Rubiera © Franco Vaccari
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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