Che cosa ne sarà di questa società dei consumi? Macerie e relitti industriali sembrano caratterizzare il futuro dispotico immaginato da Chen Zhen, artista cinese cui l’Hangar Bicocca dedica, fino al 21 febbraio 2021, una grande retrospettiva. Short-circuits – cortocircuiti – presenta ventiquattro installazioni disseminate lungo lo spazio delle navate, facendoci percorrere un inedito viaggio tra tradizione, contemporaneità e riflessione sul futuro.
Parola chiave per approcciarsi al lavoro di Chen Zhen è transesperienza: termine coniato da lui stesso che indica un insieme di esperienze vissute quando si lascia la terra natìa per viaggiare verso altri luoghi. Nelle opere dell’artista la trasnesperienza si incarna nella volontà di coniugare tradizione orientale all’estetica occidentale, presentando così opere in cui la riflessione sulla società contemporanea poggia sulle solide radici del passato. Ma apre anche a un’altra importante nozione: l’arte è quel quid per mezzo del quale oriente e occidente si mescolano.
Chen Zhen è reduce della Rivoluzione Culturale Cinese, promossa dal dittatore comunista Mao Zedong dal 1966 al 1976. La decade vede l’arte impegnata esclusivamente nella celebrazione della politica e dello Stato cinese, mettendo in moto una grande forma di propaganda, volta a esaltare la figura di Mao che rifiutava l’idea di un’arte fine a sé stessa. Alla sua morte, con l’apertura del mondo verso l’attuale epoca della globalizzazione, l’arte cinese ha subito un vero e proprio spread mondiale: grazie ad artisti all’avanguardia e che dimostrano un’ottima padronanza delle tecniche e media contemporanei, ha attualmente invaso il mercato dell’arte. Con queste premesse possiamo meglio leggere l’opera di Chen Zhen: un’arte che ci parla di una costellazione di aspetti sociali ma che non manca di autoreferenzialità.
Molte installazioni presentate all’Hangar riflettono esperienze autobiografiche dell’artista. Nel 1996 – di ritorno a Shangai – si ritrova a osservare all’alba donne che puliscono gli orinatoi. Questa immagine gli riporta alla mente momenti della sua infanzia e in particolare l’esperienza scolastica: il viaggio verso scuola con sottofondo i rumori dei vasi da notte, e poi la lettura collettiva del Libretto rosso di Mao. Così realizza Daily Incantations (1966): 101 vasi da notte sono installati su un’imponente struttura a semicerchio di legno che richiama il bianzhong – strumento musicale cinese. Al centro della struttura abbiamo una sfera composta da barre metalliche, cavi elettrici e svariati pezzi di dispositivi elettronici. L’installazione è rumorosa: Chen Zhen ha cercato di riprodurre quel suono di vasi da notte, oggetti così in contrasto con la vita contemporanea e – forse – destinati a cadere in disuso, divenendo anch’essi relitti o monumenti. L’opera apre a una forte riflessione sulla società cinese, scissa tra desiderio di rinnovarsi e di rincorrere uno stile di vita consumistico, e presenza costante di una tradizione, legata al buddismo, che propone l’emancipazione dai beni materiali e da cui fa fatica a distaccarsi. La medesima contraddizione emerge nell’opera Fu Dao / Fu Dao, Upside-down Buddha / Arrival at Good Fortune (1997): una struttura in metallo alta circa 3 metri con fitti rami di bambù richiama un tempio buddista da cui pendono oggetti quotidiani legati alla società dei consumi.
Ma sono soprattutto i letti gli arredi che più ritornano, ricollegando la sua ricerca alla sfera dell’intimità e delle relazioni umane. La Voce du sommier – Sleeping Tao (1992) è un’installazione composta da tre letti che rimandano al kang, un letto-forno tradizionale del nord della Cina la cui superficie si riscalda a carbone. Le testate sono tre light box sui quali ci sembra di scorgere un paesaggio roccioso, ma che in realtà sono ammassi di rifiuti. Anche qui abbiamo rimandi alla tradizione, in particolare alle tre fasi del taoismo riportate sui light box, ma con una critica della contemporaneità. I letti racchiudono oggetti ormai inutilizzabili, alludendo sia alla presenza che all’assenza dell’uomo. Inaccessibili sono anche gli oggetti sommersi dai letti, divenute fontane, del Jardin-Lavoir (2000): un giardino meditativo ricreato alla fine del percorso, che ci suggerisce un processo di purificazione dagli aspetti materiali della vita.
La retrospettiva mette in luce soprattutto l’eterogeneità del lavoro di Chen Zhen: i temi e le forme si ripetono, dando vita a una narrazione unitaria. Le installazioni, monumentali, coinvolgono lo spettatore: sono sinestetiche, chiassose, invitano a essere toccate. La visione del mondo in cui siamo immersi a patire dagli ultimi decenni del ‘900 si presenta come una forte critica nei confronti del consumismo della società globale. Questa è un cortocircuito: la tensione ai lati può assumere un valore pari a zero, ma la corrente che vi transita genera situazioni di elevata tensione. Ma, alla fine, sembra suggerirci l’artista, c’è sempre una speranza.
Alessandra Sebastiano
Info:
Chen Zhen. Short-circuits
15 ottobre – 21 febbraio 2021
A cura di Vincente Todoli
Pirelli Hangar Bicocca
Via Chiese 2, Milano
Orari:
Da giovedì a domenica 10:30 – 20:30
Chen Zen, Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), 2000
Chen Zen, La Voie du sommeil – Sleeping Tao, 1992
Chen Zen, Fu Dao _ Fu Dao, Upside-down Buddha _ Arrival at Good Fortune, 1997
Chen Zen, Daily Incantations, 1996
Laureata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in Valorizzazione dei Beni Culturali con una tesi sul rapporto tra arte e assenza della vista, frequenta ora il corso di diploma accademico di II livello in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali. Accumulando esperienza grazie alla collaborazione con varie realtà come istituzioni museali, F.A.I., attività accademiche, è interessata all’ambito del giornalismo culturale e persegue la volontà di indagare l’arte contemporanea in tutte le sue forme.
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