In pochi si sono affacciati alla mid-career con la stessa freschezza di pensiero e lo stesso entusiasmo di Christian Jankowski: l’artista tedesco, nato nel 1968 a Göttingen, vive e lavora a Berlino, più volte invitato alla Biennale di Venezia (nel 1999 e nel 2013) e reclutato in qualità di curatore nell’11esima edizione di Manifesta, nel corso degli anni non si è mai stancato di osservare il mondo con stupore e ironia, scandagliando senza sosta le dinamiche sempre più sfuggenti che governano le relazioni umane. Le radici della sua produzione artistica, da sempre incentrata sull’interrogazione degli stereotipi culturali e consumistici e sull’ironica forzatura dei confini tra realtà e finzione, affondano nell’arte concettuale, nel suo caso interpretata come amalgama esplosivo tra scultura e performance.
Lontano da sterili elucubrazioni, nei suoi eventi performativi ha spesso collaborato con altri soggetti professionali – maghi, teologi, terapisti, funzionari e dirigenti o operatori del mondo dell’arte – chiamandoli ad assumersi la responsabilità creativa della rielaborazione di situazioni contingenti connesse al loro ruolo, trasformando in opera lo stesso processo partecipativo e il tempo del suo svolgimento. Il tema dell’interattività e del coinvolgimento, sin dagli inizi centrale nella poetica di Jankowski, è oggi più che mai presente nella riflessione socio-culturale più aggiornata, dopo che l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie ha radicalmente cambiato le nostre modalità di produzione, consumo e comunicazione interpersonale. E il suo ragionamento artistico non delude mai: lucido, mordace e imprevedibile, riesce a portare a galla e a rendere lampanti le assurdità e le falle degli artificiali equilibri su cui si basano i sistemi di convivenza sociale e a mettere in risalto la loro natura convenzionale. Nelle sue opere lo scardinamento delle certezze precostituite è solo il primo passo di una poliedrica esplorazione delle nuove possibilità relazionali che scaturiscono dall’allentamento o dall’esasperazione delle consuetudini. Incurante della riconoscibilità formale, insegue l’immediatezza delle sue intuizioni con tutti gli strumenti che le arti visive gli mettono a disposizione: fotografia, disegno, scultura, video e performance, preferibilmente innescati da lui in prima persona per poi passare il testimone ad altri che potranno a loro volta intervenire nello sviluppo della sua idea.
La mostra Where do we go from here? alla galleria Enrico Astuni di Bologna riunisce alcuni importanti cicli work in progress dell’artista tedesco e un’installazione ambientale inedita per riflettere sul tema della partecipazione – o meglio della collaborazione – tra artista e pubblico in relazione ai più recenti orientamenti curatoriali e istituzionali che individuano nell’engagement uno degli obiettivi principali della produzione artistica contemporanea. Se con la recente esplosione dei social network il pubblico non ricopre più unicamente il ruolo di destinatario delle informazioni museali ma diventa protagonista della produzione di materiale visivo virtuale che ci circonda e che alimentiamo quotidianamente, come cambia il ruolo dell’artista in questo sistema di comunicazione e quale importanza riveste ancora la fruizione diretta del lavoro? Rispetto agli anni ’90, quando cominciò a interessarsi a queste problematiche, l’analisi di Jankowski si è arricchita di nuove strategie che, includendo le conseguenze della rivoluzione digitale, rafforzano il suo approccio alla creazione intesa come piattaforma democratica di incontro finalizzata a scardinare qualsiasi tipo di gerarchizzazione.
La mostra si apre con una barriera visiva: all’ingresso della galleria l’accesso è parzialmente ostacolato da una stampa fotografica a grandezza naturale che raffigura uno scorcio del villaggio artistico di Dafen, in Cina, dove si concentrano i pittori specializzati nella riproduzione di opere dei grandi maestri della storia. L’immagine (che dà il titolo alla mostra) raffigura due sculture pubbliche, che possiamo immaginare di dubbio gusto, occultate da lenzuola stese ad asciugare. Da qui nasce l’idea di Jankowski di realizzare una scultura in resina che riproduce fedelmente le sue sembianze in una posa da giocoliere che permette di sfruttare al massimo l’estensione del suo corpo come stendibiancheria. Al centro della sala troviamo anche una lavatrice che sarà messa a disposizione dei visitatori per tutta la durata della mostra affinchè possano “lavare i panni sporchi” in galleria. L’installazione rispecchia in modo emblematico l’obiettivo di instaurare un rapporto di reciprocità con il pubblico che, mentre viene stimolato far funzionare l’opera (in senso letterale e metaforico) con il proprio intervento, è a sua volta attivato dal lavoro, che lo induce a utilizzare il tempo del ciclo di lavaggio per concentrarsi sulle opere in mostra.
Ma in mostra il pubblico troverà essenzialmente un riflesso di sé stesso, a partire dalla sequenza di fotografie incorniciate intitolata My Audience in cui l’artista dal 2001 documenta le platee che nel corso degli anni hanno assistito alle sue conferenze. L’opera, che evidenzia lo scambio e la convivenza dei due ruoli, ci costringe a ripensare il rapporto tra chi guarda e chi è guardato in un intrigante corto circuito semantico. Ancora più radicale la serie Visitors, una collezione di sculture luminose al neon che riproducono schizzi e motti disegnati dal pubblico sugli album delle presenze in cui le gallerie invitano i visitatori a esprimere commenti e a lasciare un segnale del loro passaggio. Nell’ampio catalogo a sua disposizione, Jankowski seleziona le manifestazioni più spontanee di creatività ed euforia, quelle che esprimono l’impellenza di comunicare una reazione stimolata dalla mostra appena vista e non la velleità di gratificare l’ego dell’autore. A questo modo l’artista inserisce, tramite la sua scelta autoriale, queste espressioni figurative altrimenti anonime nella grande tradizione concettuale del neon nell’arte contemporanea, attivando uno sfaccettato scambio con il pubblico. Da un lato viene evidenziato che l’introiezione e la comprensione dell’arte nello spettatore passano attraverso un coinvolgimento diretto e propositivo con l’opera e non tramite una fruizione passiva, dall’altro è altrettanto interessante il fatto che Jankowski – in veste sia di artista che di spettatore – si rechi a visitare le gallerie per trovare ispirazione nelle tracce lasciate dal pubblico.
La mostra si chiude idealmente con la serie di dipinti intitolata Neue Malerei, composta da una straniante rassegna di tele realizzate dai copisti di Dafen a cui l’artista ha commissionato delle riproduzioni pittoriche di alcune immagini fotografiche scaricate da Internet in cui anonimi utenti interpretano celebri quadri. Questa comunità virtuale di cosplayer artistici, che condivide in rete la propria autorappresentazione mediata dalle opere d’arte unanimemente riconosciute come patrimonio collettivo, rappresenta in modo esemplare i meccanismi di appropriazione connessi alle dinamiche del desiderio che l’arte, se è efficace, dovrebbe sempre suscitare. Jankowski restituisce al loro medium originale queste trasposizioni performative evidenziando un’incongruenza a prima vista impercettibile: le immagini dipinte non occupano tutta l’estensione del supporto pittorico ma presentano ai margini ridotte sezioni di tela grezza lasciata a vista che segnalano la differenza di formato tra gli originali e le fotografie dei tableaux vivants. La discrepanza suggerisce al pubblico di percepire attivamente la propria presenza in qualità osservatore e di riflettere sugli inevitabili slittamenti semantici e formali che intercorrono tra surrogato ed esperienza reale.
Info:
Christian Jankowski. Where do we go from here?
a cura di Lorenzo Bruni
25 maggio – 28 settembre 2019
Galleria Enrico Astuni
via Via Iacopo Barozzi, 3 Bologna
Visione della mostra (dettaglio) Christian Jankowski Where do we go from here? Galleria Enrico Astuni.
Courtesy Galleria Enrico Astuni Ph. Michele Sereni
Visione della mostra (dettaglio) Christian Jankowski Where do we go from here? Galleria Enrico Astuni.
Courtesy Galleria Enrico Astuni Ph. Michele Sereni
Christian Jankowski, Visitors – Es ist Vollbracht, scultura neon, 2013, 300 x 290 x 6 cm, edizione di 1, I.
Courtesy Galleria Enrico Astuni Ph. Renato Ghiazza
Performance (dettaglio), Christian Jankowski, Neue Malerei – Lichtenstein, 2017
Courtesy Galleria Enrico Astuni Performer: Riccardo Belelli, Alessia Piva. Ph. Laura Marasà
Christian Jankowski, Neue Malerei – Caravaggio I, 2017, olio su tela, 300 x 203 x 5 cm.
Courtesy Galleria Enrico Astuni
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
Benedetta Spagnuolo
19 Giugno
Bellissima Recensione e la mostra sicuramente da vedere!
😉