Quella di Cijaru è una storia di ritorno. È la volontà di rimettere in discussione la narrazione della propria terra. È l’appartenenza all’altrove. Davide De Notarpietro e Francesco Scasciamacchia sono due migranti. Maria Domenica Rapicavoli è una migrante. Credono nell’arte, nel cambiamento. La Torre Matta di Otranto è il palco prescelto. La mostra Make This Earth Home (26/6-3/11/2020) è stato il primo atto.
Cijaru ha recentemente lanciato una campagna di crowdfunding – su Kickstarter – per finanziare la pubblicazione del catalogo. Il volume approfondirebbe i temi trattati dall’esposizione, assolvendo alle funzioni di fruizione secondaria e di materiale d’archivio. Ne abbiamo parlato con loro.
Jacopo De Blasio: L’arte si sta avvicinando sempre di più all’antropologia. Restituisce spesso un impulso etnografico, suggestioni documentaristiche. Gli stessi lavori di Maria Domenica Rapicavoli guardano al passato per affrontare tematiche quanto mai attuali e centrali nel dibattito contemporaneo. Credete che questo sia un passaggio decisivo per la riaffermazione dell’arte come pratica relazionale?
Cijaru: L’arte relazionale così come teorizzata da Nicolas Bourriaud sul finire degli anni ‘90 ha come oggetto dell’opera le relazioni sociali che vengono attivate da una scultura, un’installazione, un video e una performance. Non crediamo che i lavori di Maria presentati alla Torre Matta siano una riaffermazione di questo tipo di arte, ma che siano piuttosto il risultato estetico di pratiche interdisciplinari, cioè di quelle pratiche che usano altre discipline all’interno del discorso artistico. Quando gli artisti cercano uno spazio di autonomia e di rivendicazione includono discipline diverse dalla propria: caratteristica tipica delle avanguardie artistiche, si pensi per esempio all’inclusione della danza nelle arti visive. Gli artisti superano i confini disciplinari per sperimentare, questionare, interrogare canoni e pratiche che sono un limite alla loro libera espressione di pensiero. Nel caso della mostra “Make this Earth Home” di Maria D. Rapicavoli alla Torre Matta, per esempio, i lavori sono espressione di una ricerca antropologica, etnografica, archeologica e storica. Grazie all’utilizzo di queste diverse discipline l’arte di Maria permette una narrazione critica sui modi in cui, ad esempio, la storia si costruisce e divulga. Riteniamo che se l’arte contemporanea diventa un dispositivo di storytelling, nel nostro caso soprattutto relazionato alla storia locale, possa generare domande, dubbi e ribaltamenti di pensiero.
Si è spesso parlato di arte “Glocale”, sia per descrivere l’applicazione di strategie globali a condizioni locali, sia per l’introduzione di contenuti locali nel mercato globale. In tal senso, le artiste e gli artisti dovrebbero agire come aggregatori sociali?
Non crediamo in questa distinzione netta “globale/locale” o nella sua completa ibridazione in quello che in molti definiscono “glocal”. Quello che pensiamo però è che ci sono opere di contesto che parlano a quel contesto e opere che invece, non “situazionate”, esprimono i cosiddetti “valori universali”. Pensiamo che il problema non sia il globale o il locale ma proprio questo paradigma ‘universalista’ che non dovrebbe appartenere né all’arte né alle scienze sociali, o forse non dovrebbe proprio appartenere neanche a quelle che riteniamo essere “scienze dure” in quanto oggettive e dunque, universali. Ricordiamo il gruppo di artisti/attivisti Act-up per aver messo in discussione i paradigmi scientifici rispetto all’epidemia dell’HIV e alle sue cure, metodologie ecc. o per esempio i Critical Art Ensemble che mettono sotto una lente di ingrandimento la ricerca scientifica, non solo criticando i valori assoluti e universali, attraverso il relativismo ma anche proponendo un altro modo di fare “scienza”. Alla seconda questione rispondiamo proponendo che l’arte stessa, se intesa anche come cultura ordinaria e non come mero esercizio estetico, può essere un aggregatore sociale e o addirittura un equalizer (un livellatore sociale).
Lo streaming è al centro della fruizione culturale. Alla luce delle recenti restrizioni, la digitalizzazione della quotidianità è ancor più rilevante. Secondo voi, i cataloghi cartacei diventeranno oggetti da amatori come i vinili o i dvd?
Senza andare in discorsi precisi su una domanda così complessa, l’idea di un catalogo cartaceo, come quello che stiamo cercando di produrre attraverso una campagna di crowdfunding, è semplicemente una risposta a questa estrema intangibilità delle nostre vite. Ci viene da fare un paragone: è come se l’artigianato e il lavoro manuale, che consideriamo pratiche sociali e quindi cultura, fossero state una risposta all’utilizzo dell’high technology nell’arte visiva. In un certo senso il ritorno a pratiche e modi a bassa densità “tecnologica”, come i vasi in terracotta, le formine in cartapesta o lo stesso catalogo di “Make this Earth Home” sono un modo per rivendicare un’altra esistenza, che sta scomparendo. In tutti i processi di cambiamento economico, sociale e politico, come quelli che stiamo vivendo, dei modi di vivere si annullano, ma continuando a esistere nell’ombra si posizionano come pratiche alternative e di opposizione. Forse, in modo ingenuo (qualcuno ci ha detto genuino), questa è la resistenza che cijaru sta praticando.
Il progetto verrà finanziato solo se raggiungerà il suo obiettivo entro il 20/3/2021. Come mai avete deciso di lanciare una campagna “Tutto o Niente”?
Ci piacciono le sfide e poi non avevamo molte opzioni per un catalogo d’arte. Abbiamo cercato disperatamente un sito di crowdfunding italiano che avesse nello specifico all’interno delle categorie l’editoria d’arte e un sito che tutti i nostri amici italiani e stranieri conoscessero e considerassero affidabile, ma non lo abbiamo trovato nei tempi che ci eravamo prefissati. Quindi abbiamo seguito le policy di Kickstarter, banalmente.
Make This Earth Home coinvolge fortemente la comunità locale. In un certo senso, ne sostiene l’economia. Dare e avere. Credete che questo scambio debba andare di pari passo – se non precedere – con la possibilità di ottenere finanziamenti istituzionali?
Durante il periodo, della cosiddetta “seconda fase epidemica”, a conclusione della mostra, abbiamo avuto modo di riflettere su ciò che era stato il progetto “Make this Earth Home” e ci siamo resi conto solo ex-post che in realtà una delle azioni, non pianificate, era stata quella di aver attivato economie locali su molti fronti. Un atto che abbiamo compiuto senza una strategia o un fine ma semplicemente con l’idea di un progetto di contesto e per il contesto. Abbiamo coinvolto non solo gli artigiani (cartapesta, terracotta e pietra leccese) ma anche un’ agenzia di comunicazione ed eventi, una serigrafia, un light-designer, un web designer, ecc. e in generale tutta la cittadinanza. Abbiamo creato una comunità locale che si è sentita parte integrante del progetto. Riguardo ai finanziamenti istituzionali, per lo meno quelli regionali a cui abbiamo partecipato tramite bando, non sono pervenuti. Questo ci ha fatto prendere altre strade e proprio in nome di quella comunità abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding a cui vi invitiamo a partecipare.
Domanda d’obbligo: state già progettando qualcosa per il futuro?
Stiamo lavorando, nonostante la situazione pandemica, a un progetto sulla cultura materiale del periodo bizantino che fortemente ha caratterizzato il territorio, commissionato all’artista greca Maria Papadimitriou e alla curatrice Gabi Scardi. Inoltre da tempo lavoriamo in collaborazione con il collettivo a.titolo ad un progetto di riqualificazione urbana dell’area 167b di Castrignano dei Greci nella grecìa salentina.
Info:
Maria D. Rapicavoli, Make this earth home, 2020; flex led neon e plexiglas; 700 x 80 x 20 cm; edificio adiacente la Cappella della Madonna dell’Alto Mare, Otranto. Foto: Raffaele Puce
Maria D. Rapicavoli, I due mari e Fuoco, 2020; veduta dell’installazione per la mostra personale “Make This Earth Home”, Torre Matta, Otranto 2020. 35 vasi di terracotta smaltata lavorata a mano e acqua marina; dimensioni variabili; terra di bauxite; Ø 3.50mx1.60 cm, courtesy: l’artista
Maria D. Rapicavoli, Terra#1, 2020; opera installata presso Lungomare degli Eroi, Otranto per la mostra personale “Make This Earth Home”, Torre Matta, Otranto 2020, pietra leccese scolpita; 178x160x45 cm, courtesy: l’artista, foto: Raffaele Puce
Maria D. Rapicavoli, Il suono dell’aria, 2020, cartapesta e suono registrato; 55 x 26 x 30 cm, courtesy: l’artista, foto: Raffaele Puce
Maria D. Rapicavoli, Make this earth home, 2020; flex led neon e plexiglas; 700 x 80 x 20 cm; edificio adiacente la Cappella della Madonna dell’Alto Mare, Otranto. Foto: Raffaele Puce
Jacopo De Blasio (Roma, 1993) si è laureato con lode in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, attualmente assistente bibliotecario presso il MAXXI di Roma. È stato collaboratore dell’artista Maria Dompè e mediatore culturale presso il Palazzo delle Esposizioni. Curatore indipendente, si occupa prevalentemente del rapporto tra arte contemporanea e società.
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