Sono davvero tanti i festival in Europa e l’arcipelago è destinato a crescere. Occorre una mappa per orientarsi nel sistema-fotografia. Arianna Rinaldo curatrice, studiosa e direttrice artistica di molti festival europei e nazionali traccia le coordinate per capire la necessità della curatela e il suo ruolo nel paradigma di una fotografia sempre più in evoluzione.
Simone Azzoni: Come sta la fotografia? Quella su carta stampata rischia la sparizione?
Arianna Rinaldo: La fotografia gode di ottima salute. E anche la carta. Ovviamente tutto si trasforma ma bisogna solo capire, aprire la mente e vedere le nuove possibilità. Stiamo vivendo un momento interessantissimo: da decenni grazie alla cosiddetta rivoluzione digitale e all’intelligenza artificiale abbiamo l’opportunità di riformulare il ruolo della fotografia. Siamo più coscienti delle dinamiche “nascoste” dell’immagine e perciò siamo sempre più in grado di capirne le sfumature. È vero che gli ultimi “trucchi” offerti dalla tecnologia ci confondono e creano dubbi sulla sua veridicità, ma proprio grazie a queste evoluzioni siamo costretti a essere sempre più attenti e sempre più competenti nel raccontare visivamente il mondo. Per quanto riguarda la carta, senza dubbio ci sono meno giornali, meno pagine che ospitano grandi reportage per raccontare il nostro pianeta. Ma ci sono molte più piattaforme di diffusione, che raggiungono un pubblico più ampio. Allo stesso tempo, se le riviste commerciali sono in decadenza, il fenomeno del photobook, che ha caratterizzato il mondo fotografico negli ultimi dieci anni, conferisce nuovo vigore alla fotografia stampata, che diventa oggetto di culto, veicolo di racconti che vanno al di là dell’immagine.
Lebart e Fontcuberta ci invitano a guardare indietro (attraverso la creazione di archivi e la manipolazione di immagini esistenti). Con quale prospettiva si può guardare al “nuovo”?
Il nuovo è sempre dietro l’angolo. L’arte vive di novità. Anche un archivio riappropriato o un’opera rivisitata diventa nuova: il racconto visivo deve continuamente adattarsi a un pubblico che cambia, che è più attento e più distratto allo stesso tempo. Ai nostri giorni la tecnologia si supera continuamente e i cambiamenti sono talmente repentini che il nuovo diventa ordinario in tempi brevi. Bisogna mantenere la mente aperta e guardare l’orizzonte, senza dimenticarsi dove si poggiano i piedi.
Ci sono tanti festival di fotografia, forse troppi: con quali criteri suggeriresti di scegliere cosa visitare o dove esporre?
Io sono una gran fan dei festival. Non credo che siano mai troppi, credo invece che siano spesso pochi i soldi investiti in questo tipo di eventi, considerati a volte come facili e amatoriali. La fotografia è un mezzo di comunicazione potente e pervasivo. La fotografia si dovrebbe insegnare alle elementari per creare nuovi esseri umani adatti a percepire il senso profondo del fare fotografico, come memoria, documentazione, immaginazione, denuncia, emozione, provocazione. Il festival è un luogo di incontro che può offrire spunti e ispirazioni a un pubblico ampio. Mi interessano i festival frequentati non necessariamente solo da fotografi, perché è lì che la fotografia compie la sua funzione più nobile: quella di raccontare il mondo senza spiegarlo, ma facendosi delle domande. E suscitandole anche in noi visitatori. Ogni festival ha uno stile, una personalità e un tema. Sicuramente questi sono gli elementi principali nella decisione di visitarlo o presentare il proprio lavoro. Io preferisco i festival in paesi e cittadine, più che in grandi città, perché ciò favorisce l’incontro informale. Invece, a qualsiasi giovane fotografo consiglio sempre la lettura del portofolio (all’interno di festival riconosciuti) perché sono incontri produttivi che possono dare una svolta alla loro attività. Non sempre ovviamente, ma se si recepiscono le critiche e i suggerimenti in maniera costruttiva, sono delle ottime occasioni di scambio con professionisti del settore.
Cosa deve lasciare un festival nel territorio in cui avviene? Come valutare, con quali strumenti posso capirne l’efficacia a lungo termine?
Lo scambio e l’interazione con il territorio sono fondamentali. Il Festival non deve essere una nave spaziale che arriva, fa il suo e se ne va. Deve coinvolgere la gente locale attraverso laboratori, workshop, incontri (ancora meglio se estendibile anche all’anno intero). Nella mia esperienza credo che creare dei lavori fotografici sul territorio sia una maniera utile e bella di lasciare qualcosa. Con PhEST, festival di fotografia e arte contemporanea che curo insieme a Giovanni Troilo a Monopoli, in Puglia, sin dalla prima edizione abbiamo incaricato ogni anno un autore/una autrice di svolgere un lavoro fotografico in residenza coinvolgendo le realtà locali: dai pescatori, ai porti, agli ulivi, al mare. I progetti prodotti sono una documentazione contemporanea e arricchente per il territorio stesso.
Quando guardi un portfolio cosa ti colpisce? Cosa cerchi?
Quando guardo un portfolio, guardo e ascolto. Non cerco mai la bella foto, ma voglio essere coinvolta dalla storia raccontata, dalle intenzioni dell’autore o dell’autrice, dai retroscena. Ovviamente l’originalità del progetto e la sua esecuzione devono essere di livello, ma non c’è uno standard fisso o unico. Mi interessano i nuovi linguaggi e le possibilità della transmedialità, che permette una fruizione più immersiva nella narrazione. Mi interessa principalmente la fotografia documentaristica, in tutte le sue accezioni più contemporanee.
Riguardo alla direzione artistica di un festival: come costruisci il programma, quale peso dai alla formazione, al nuovo, ai maestri? Come dosi gli ingredienti e quali sono le caratteristiche ineludibili che deve avere un festival?
Ogni festival, ogni edizione, così come ogni rivista, ogni fotolibro è un mondo a sé. Non c’è una regola per tutti. La mia esperienza come direttrice artistica e curatrice, tra Cortona On The Move e PhEST, è per certi versi simile, ma con caratteristiche peculiari. Sicuramente i due elementi fondamentali nella fase di ricerca e programmazione sono il luogo, le location e il pubblico. Per me è importante che i lavori esposti dialoghino con gli spazi in cui sono inseriti, e in questo senso sono stata molto fortunata sia a Cortona e sia a Monopoli, che sono dei palcoscenici spettacolari (caratteristica ineludibile #1). In seconda battuta, è importantissimo tenere a mente che il pubblico variegato di un festival comprende colleghi internazionali e fotografi professionisti, amateur e turisti per caso. Voglio poter offrire delle mostre che possano conversare, su diversi livelli, con tutti. In questo senso, sono solita cercare un mix tra lavori di maestri e progetti di giovani o emergenti (caratteristica ineludibile #2). Infine il tema, sintetizzato da una parola chiave, che tiene insieme i diversi progetti espositivi: per me deve essere attuale, universale, curioso, originale, ma non astratto. Mi piace parlare del mondo in cui viviamo. Raccontare storie vere. Far pensare, ridere, piangere. Provocare, stupire e emozionare. In questo senso, è utile organizzare delle attività che coinvolgano artisti e pubblico, per chiudere il gap tra creazione e fruizione e avvicinare i linguaggi di chi produce e chi guarda (caratteristica ineludibile #3). Se poi, a tutto ciò si unisce un luogo accogliente, buon cibo e buon vino (caratteristica ineludibile #4) non puoi sbagliare!
Qual è oggi il ruolo del curatore o della curatrice?
Per me il curatore o la curatrice ha un ruolo di interprete, in quanto traduce un progetto fotografico per un pubblico e per uno spazio, per evitare che una mostra fotografica si riduca a delle immagini appese a un muro. La curatela offre un’esperienza che va oltre il gusto estetico. Crea un percorso, unisce i punti, offre visioni nuove. Il tutto grazie, ovviamente, al lavoro dei fotografi, senza i quali un curatore non ha la materia prima su cui fare un po’ di magia.
È critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine presso l’Istituto di Design Palladio di Verona e Arte contemporanea presso il Master di Editoria dell’Università degli Studi di Verona. Ha curato numerose mostre di arte contemporanea in luoghi non convenzionali. È direttore artistico del festival di Fotografia Grenze. È critico teatrale per riviste e quotidiani nazionali. Organizza rassegne teatrali di ricerca e sperimentazione. Tra le pubblicazioni recenti Frame – Videoarte e dintorni per Libreria Universitaria, Lo Sguardo della Gallina per Lazy Dog Edizioni e per Mimemsis Smagliature nel 2018 e nel 2021 per la stessa casa editrice, Teatro e fotografia.
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