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Contro l’indifferenza. Popolo Nuovo a Casa Gramsci...

Contro l’indifferenza. Popolo Nuovo a Casa Gramsci

Oggi per generare pensiero critico c’è bisogno di relazioni che si condensano. È necessario riappropriarsi della propria percezione simbolica a sfavore di una comunicazione senza comunità[1]. “Ci occorre” come afferma Leonardo T. Manera “qualcuno che abbia già avuto le nostre stesse idee. Il raggiro del nuovo gusto farà scordare da dove esso è arrivato”. Ci occorre un “Popolo Nuovo”, un popolo pronto a esprimere la propria voce; a riunirsi scardinando le logiche egoiche di un iper-soggettività narcisistica a favore di un orizzonte di significato sociale, poiché “piange ciò che muta, anche per farsi migliore”, direbbe Pasolini (“Le ceneri di Gramsci”), dove il protagonista del pianto è il contemporaneo stesso e il suo essere inafferrabile. L’omonima collettiva (Salvatore Scarpitta, Nicùs Luca, CCH ed Edoardo Manzoni), inaugurata lo scorso 8 novembre a Torino, a cura di Lunetta11 e di Niccoli Arte Moderna di Parma, con un grido sveglia una società atomizzata, iper-connessa e frastornata; una società dagli occhi ormai sopiti dal giogo dell’indifferenza. Con la collaborazione attiva e diretta di Fondazione Istituto Gramsci e NH Collection Torino Piazza Carlina, Lunetta11 apre le porte di Casa Gramsci, offrendo non solo un tributo alla sua memoria e a chi nei suoi ideali ha creduto, ma un luogo e un manifesto, dove ripensare l’immaginario contemporaneo e dove l’unica portavoce è l’Arte stessa. La sala resa rossa e ripensata dall’artista Alfredo Jaar con l’opera site-specific al suo interno, raccoglie, attraverso le altre opere degli artisti, una riflessione sull’ontologia del simbolo come oggetto feticcio, messaggero di culture archetipe. “Antonio Gramsci è vivo” (2020), sorriderebbe ed esclamerebbe Jaar nel rivedere come la sua “Infinity Cell”, riproduzione della cella di isolamento dello stesso Gramsci già esposta pochi anni prima al MAXXI di Roma, sia stata metaforicamente aperta come una via di fuga di cui l’esercizio del pensiero, figlio di processi creativi destinati all’immortalità, ne è florida.

“Popolo Nuovo”, exhibition view, Casa Gramsci, Torino, 2022. Ph. Virginia Mingolla, courtesy gli artisti e Casa Gramsci

Camminando lungo via Maria Vittoria, il fruitore intravede in lontananza una bandiera rossa che smossa dal vento rivela il suo inganno. Simbolo politico e di riconoscimento partitico di ideali novecenteschi ormai lontani, la bandiera rossa (“Più o meno”, 1997) viene reinterpretata da Nicus Lucà spogliandola dal suo segno originario, dal suo significato operaio, sostituendo alla falce e al martello il simbolo del “+” e del “-”, gli stessi la cui utilità e funzione vengono annullate con ironia fusi in un unico oggetto impossibile da impugnare (“Falcemartello”, 2000). Se Lucà, assemblando i due oggetti, la cui attribuzione simbolica ideale segnò la storia del Novecento italiano, ne ha alterato il suo significato originario, allo stesso modo per immaginare un altrove diverso, Lunetta11 omaggia l’artista Salvatore Scarpitta portando in mostra il suo lavoro “Feticci d’albergo” (1991), dove oggetti domestici, ormai ricordi di usanze e abitudini quasi dimenticati, diventano strumenti di un lontano futuro.

Salvatore Scarpitta, “FaceTrap n.5 (Starla)”, 1991. Courtesy l’artista

Il valore della memoria storica, nelle sue più profonde sfaccettature, da quella visuale e letteraria a quella personale e cinematografica, si flette e si incurva nell’opera scultorea di CCH, dove l’immaginario collettivo di una spada incastonata nella roccia, assume una forma nuova: un tubolare luminoso inserito nel cemento che inganna la percezione visiva dell’osservatore, radicalizzando la sua forma caricando i principi di tensione, equilibrio e ambiguità. Utilizzando la Storia, generatrice di un passato ormai lontano, Lucà, Scarpitta e CCH immaginano di quei simboli e di quei feticci una natura ontica differente, un immaginario potenziale alternativo che ne scardina il suo valore ormai precostituito e stereotipato. Diversamente Edoardo Manzoni, giovane artista di Cremona, parte dagli strumenti tecnologici ormai contemporanei, fatti di superfici industriali, acrilico e piccole monetine. “Da queste parti” (2017) è una struttura architettonica in miniatura che si appoggia solida e monumentale sul quel tavolo che Jaar progettò in onore di Gramsci. Manzoni riflette sul ruolo che ad oggi assume l’amuleto, lasciando fra la struttura labirintica dell’involucro elementi di un archetipo lontano. Una città post-industriale priva di umanità, aliena e dimenticata, un tempio divino protagonista di rituali alternativi. La percezione granitica illusoria del monumento di polistirolo, dipinto poi da Manzoni, si concretizza per lo spettatore con l’opera “Era Pistoi” di Lucà, dedicata al gallerista Luciano Pistoi, una riproduzione di un antico libro di materiale fossile che il fruitore può toccare con mano.

Edoardo Manzoni, “Da queste parti”, 2017. Ph. Virginia Garra, courtesy l’artista

Gramsci, Alfredo Jaar, Lunetta11 e il Popolo Nuovo, riuniti al tavolo, eludono i cardini della temporalità, rompendo le logiche comparative fra passato-presente e passato-futuro, poiché “Non c’è passaggio, ma contemporaneità[2]. La collettiva richiama l’esigenza da parte dell’osservatore di riappropriarsi di una sua coscienza simbolica e, parafrasando Gramsci, di creare una nuova cultura facendo “socializzare” verità già scoperte[3], frutto di riti passati per ritrasformarle. Ma se “L’Arte non si legittima che da sé stessa. Sopraggiunge come un rito atomico celebrato da una generazione che non ha né inizio né fine” (Manera), allora il suo ruolo politico non consiste tanto nel cadere nel racconto retorico di una politica imminente, fatta di gesti performativi eclatanti propri di una società dello spettacolo, quanto piuttosto farsi promotrice di valori diversificati che congiunti fra loro creano i sé che la compongono.

“Popolo Nuovo”, exhibition view, Casa Gramsci, Torino, 2022. Ph. Virginia Mingolla, courtesy gli artisti e Casa Gramsci

“Popolo Nuovo” trasforma il tempo dividendolo e scardinando le sue logiche. Gli artisti osservano il contemporaneo fornendo alla storia una chiave di lettura nuova, citandola, parafrasando Agamben, secondo una necessità che non proviene in alcun modo dalla loro presenza egoica, quanto più da una risonanza vibrante e collettiva a cui non possono non rispondere[4].

Giulia Pontoriero

Info:

AA.VV., Popolo Nuovo
a cura di Lunetta11 e Niccoli Arte Moderna
in collaborazione con Fondazione Istituto Gramsci e NH Collection Torino Piazza Carlina
8/11/2022 – 4/12/2022
Casa Gramsci
via Maria Vittoria 28Q, Torino
www.gramscitorino.it

 

[1] Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti. Una topografia del presente, saggi, nottetempo, Milano, 2021

[2] Piero Gobetti, La Rivoluzione Liberale – Saggio sulla lotta politica in Italia, Cappelli editore, Bologna, 1924, pp. 85-87

[3] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Nota IV, Einaudi, Milano, 2001

[4] Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, saggi, nottetempo, Milano, 2008


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