Il suggestivo Borgo di Corciano, a metà strada tra Perugia e il lago Trasimeno, ospita ogni estate un eclettico Festival delle Arti, giunto quest’anno alla 55esima edizione, concepito come installazione ambientale site-specific che “materializza il sapere di una comunità pensante” rivitalizzandone i luoghi-chiave. La regia della mostra (visitabile fino al 6 ottobre) è stata affidata al curatore Gabriele Perretta, che nel progetto STENDALE: l’abbraccio delle muse ha riunito una folta schiera di artisti di differenti nazionalità e generazioni, il cui lavoro attraversa una variegata gamma di mezzi espressivi. Le opere, disseminate sulle mura medievali, nelle stanze del Palazzo Comunale, nelle piazze, nei cortili e nei chiostri del centro storico, individuano sfaccettati percorsi di riflessione sul contemporaneo e sulle sue possibili intersezioni con l’eredità storica.
In quest’intervista Gabriele Perretta ci racconta come si è sviluppato il progetto e come i lavori degli artisti interagiscono con le specificità del contesto locale.
La parola stendale, declinazione colta del più comune termine stendardo, richiama l’idea di un’insegna nobiliare, un simbolo iconico che sintetizza un’identità. Lo Stendale di Corciano si configura come “un’immensa immagine pluridimensionale, in continua mediamorfosi”. Come ha cominciato a prendere forma il tuo abbraccio delle muse?
L’Abbraccio delle Muse, che preferirei ridefinire subito il Girotondo delle Muse, parte da un ricollegamento generale con due manifestazioni che, dagli anni Ottanta in poi, hanno visto concentrare il mio lavoro sull’asse corrispondenza/medialità e antropologia della performance, in quanto opera compiuta e in quanto medialismo in progress, fluido nella dimensione dei cinque sensi. La prima manifestazione si chiamava Città senza confine (1984), una rassegna agita fra Napoli e l’hinterland, che azionava un meccanismo complesso in grado di coinvolgere, come una stanza degli specchi, tutte le forme di istallazione artistica contemporanea. Sul piano della pittura indagava lo straripamento tra le tecniche di superficie dei nuovi selvaggi tedeschi e italiani e i writer americani della street art iniziale. Sul piano della fotografia indagava il rapporto fra la nuova tendenza della fotografia sociale napoletana e la fotografia artistica e concettuale nordeuropea. Sul piano della filmografia e del video, proponeva l’emergenza del passaggio all’elettronica (ancora monocanale). Infine su quello della performance, coinvolgendo critici come Filiberto Menna e Giuseppe Bartolucci, proponeva la chiave del mio coordinamento registico, come sviluppo e transizione dell’happening curatoriale. La seconda manifestazione I mestieri di Ergon (Latina, 2005), coinvolgendo la stessa tecnica dello stendale, invitava alcuni degli stessi artisti presenti a Corciano a istallarsi in uno spazio architettonicamente minimal, dove l’unità rappresentativa degli stendali costituiva un evento unico. La mostra di Latina era sviluppata sugli striscioni (oggi stendali) e sull’estensione multimediale di alcuni artisti che raggiungevano persino l’orizzonte della realtà virtuale, un’assoluta innovazione per l’epoca.
Da qui in poi, la mia concezione di esposizione si concretizza sempre di più come laboratorio di corrispondenze tra le arti e la sinestesia come unico approdo artistico. Infatti, a partire dagli anni novanta, spesso utilizzo la parola laboratorio per la denominazione delle mie mostre, o comunque faccio riferimento al versante esperienziale dell’evento artistico. Quindi lo stendale nasce da questa pratica e soprattutto dall’indagine sulla nozione stessa di riproduzione: la realizzazione dello stendale potrebbe essere considerata una vera e propria opera collettiva, nel senso che gli artisti si dividono tra quelli che intervengono manualmente sui 2m x 6m e quelli che invece affidano la loro immagine al processo di riproduzione e di elaborazione digitale, eseguito da grandi macchine tipografiche. Ed ecco il girotondo che allestendo le mura della città, offre un passepartout per entrare nel centro storico e mettere in funzione tutti gli spazi adibiti al teatro dei cinque sensi, compreso il Festival che ne rappresenta la performance viva, che dà voce a immagini, schermi e set all’aperto.
Gli artisti rappresentati in questa mostra diffusa sono tantissimi: si spazia da nomi internazionali del calibro di Urs Lüthi, Marcel Broodthaers e Josef Beuys, a protagonisti dell’arte italiana come Vedova Mazzei, Luca Vitone e Ugo La Pietra, solo per citarne alcuni, per arrivare agli esponenti delle generazioni più giovani. Quale criterio ti ha guidato nella scelta e quale idea curatoriale hai seguito nel coreografare le loro diversità in modo da valorizzarle e farle dialogare tra loro?
L’hai detto, si tratta proprio di costruire una coreografia. L’idea della spazialità nasce dal bisogno di collocare uno scenario a trecentosessanta gradi su un territorio suggestivo e apparentemente locale. Il Borgo di Corciano è uno dei più rappresentativi della tradizione medievale europea e occidentale; lì le lingue si miscelano e la storia urbana si innesta su quella sconfinata della “comunalità”. Il criterio curatoriale nasce dalla disponibilità dell’arte contemporanea di gestire l’“inclusivo”: l’arte contemporanea si può fare, si deve fare e si fa con tutti e in tutti i modi possibili. Da qui, è bene che non ci siano solo le arti visive, ma anche quelle sonore, gastronomiche e soprattutto performative. Lo stendale è stato un volano per collegare il cinema di Robert Smithson, con l’immagine realizzata da Luca Vitone. Qui Cesare Pietroiusti e Antonio Biasiucci, il lavoro di Nello Teodori apre ad una visione globale dell’artista in ogni possibile sfaccettatura. Stanze e mura, piazze e agorà, teatri naturali e paesaggi storici si incontrano tra immagine mediale, medialismo analitico e imprese mediali (Banca di Oklahoma e Premiata Ditta).
Quanto hanno inciso nella progettazione della rassegna le peculiarità architettoniche ed estetiche di Corciano e che tipo di relazione si instaura tra passato e presente?
In un certo senso ho già accennato a questa questione, tanto è determinante. Diciamo che se la società dello spettacolo crea una sorta di velo sul mondo, tanto spesso da farlo scomparire, in cui questa patina diventa il cuore di ciò che non è reale e il cui risultato è un mondo rovesciato, dove il vero è il momento del falso, l’archeologia storica rende omogenei i desideri e non riduce il desiderio stesso a immagine del prodotto. In altri termini, l’archeologia scompagina e propone una fluidità fra arte relazionale e lavoro produttivo. L’archeologia costituisce al di fuori della rete, tra noi e il resto del mondo, il nostro modo di intendere il campo della performance, il modo attuale di legare e vincolare passato, presente e futuro. Da qui l’assemblaggio delle sezioni della mostra: Stendale one, Inside stendale two, Three Lab Academy, XD3.0 Four e la Corrispondenza dei sensi e delle arti, come abbraccio delle Muse.
Il percorso espositivo si articola in sezioni tematiche e topografiche: cosa ci vorresti raccontare a riguardo?
Così come ho cercato di anticipare nelle risposte precedenti, la stessa disposizione della mostra illustra bene sia le unità del percorso sia quelle topografiche. Il palinsesto si presenta così: sulle mura di Corciano, tenendo conto della forte influenza esercitata dall’estetica medievale sulla moderna reclame, attraverso il paradosso del grande stendale (2m x 6m in cover up), Andersen, Arcangeli, Biasiucci, Cannavacciuolo, Cascavilla, De Luca, De Nola, De Paris, Di Matteo, Issac, Kozaris, Teodori, Manetas, PIscitelli, Vedovamazzei, Vitone, rappresentano non tanto un momento espositivo fine a se stesso, quanto l’esterno ordinato nella visualità spaziale, muraria e architettonica del luogo. Inside Expo e Four: XD3.0, nelle stanze del Palazzo comunale e negli ambienti diffusi nel centro storico, testimoniano l’abitabilità dell’arte. Infatti, Bentivoglio, Bertrand, Cutini, Falci, Fontana, insieme a Giacomelli, La Pietra, Lüthi, Mala Arti Visive, Mauri, Messager, Modica, Mulas, Tozzi, Veronesi e Volpi rappresentano l’experience designer del 3.0. Questa sezione mette alla prova anche Giacomucci, Moretti, Tancredi e Vantaggi con un approccio storico alternativo, dove l’attenzione va all’altra faccia del concettuale, al rovescio empirico e reale dell’arte installata con le sue offerte interattive e politiche. Ma tutto l’abbraccio che si dà con lo stendale, secondo me non potrebbe compiersi senza l’effettiva corrispondenza dei sensi e delle arti, azionata dal Festival; ovvero dalle immagini in movimento, dai film, dai video, dalle performance, dalle letture poetiche e dalla musica, cioè dalle sonorità diffuse nelle corti e nei cortili del centro storico, grazie al contributo di: Acconci, Amaducci, Ariano, Avidi Lumi, Baldessari, Beuys, Bordini, Broodthaers, Fantin, Pietroiusti, Folci, Marcelli, Scialò, Smithson, Roseluxx, Trovalusci, Bellatalla, Rita Vitali Rosati.
Tutti gli artisti coinvolti a vario titolo nella parte performativa, allestendo a sostegno di tutte le arti il teatro delle corrispondenze, ci raccontano la loro storia di poeti, performer, musicisti, scrittori, attori, sceneggiatori, registi. Tale affinità di corrispondenze, nel senso anche tutto concreto, che la performance è la forma più incodificabile dell’espressione artistica contemporanea, ovvero che l’arte è performance apre, allora, alla nostra visione tutto un campo di nuovi problemi ontologici del fare artistico. Abbiamo parlato di una viva partecipazione dell’espressione al divenire artistico e, in questo farsi costruzione, atto aperto, l’azione svela un compimento, in quanto esperienza vissuta. La corrispondenza delle muse la potremmo chiamare estetica ed etica istaurativa: intelligibilità del mondo. La verità profonda è legata all’attività, al lavoro, quindi via i dogmi istaurati dal postmoderno, e via quelli ereditati dall’ortodossia moderna. Le corrispondenze ritrovano i differenti modi dell’esistenza artistica: fenomeno ed effetto, trascendente e immanente, neo umanesimo e neoconcettualità mediale. Mille situazioni drammatiche, per diecimila situazioni desideranti. L’estetica comparata in atto, evitare l’arbitrarietà della metafora e passare attraverso nuove analisi linguistiche. Arti visive e musicologia, parole o espressioni, come accordo, appoggiatura, contrappunto tra le arti.
Proporre arte contemporanea in luoghi marginali rispetto agli abituali palcoscenici espositivi è un atto di resistenza e una sfida al sistema. Come è stata accolta la rassegna dagli abitanti di Corciano e dai visitatori esterni che ogni anno la manifestazione attira?
Abbiamo delineato due principi cardine in cui è possibile generalizzare le diverse sfumature legate al marginale e al centralistico: marginale come risorsa e centralistico come strumento, ossia messa in crisi di un processo produttivo, oppure consapevole scelta estetico-progettuale. Nei casi analizzati emerge come il marginale, rivalorizzatosi attraverso le diverse strategie curatoriali, da un lato assume una compiutezza nel suo acquisire funzionalità, dall’altro sin dal principio, a prescindere dalla sua capacità di intervento, mantiene la sua natura critica, proprio perché la soluzione applicata è una delle infinite possibili. Al termine dell’indagine tra stendalità e corrispondenze abbiamo individuato il punto di giunzione tra quelle che apparivano rigide tipologie classificatorie. Anche la definizione di “abituale palcoscenico espositivo” sta cambiando da solo, anche senza l’atto di resistenza. Il vero atto di resistenza è non permettere al sistema di autoregolarsi, ma di lanciarsi e di rilanciare al di là della sfida del sistema. A partire dalle nuove insorgenze, e a partire da Corciano, il problema non è più quello del Genius Loci o del globalismo, ma della considerazione reale delle cose. Il medialismo non è stato e non è una semplice apologia dei media di massa, così come la mostra, tra sonorità e arti visive, non è apologia della televisione, ma uno strumento orizzontale come lo stendale che al di là del medium che considera la ri-mediazione come segno, come testo complesso e seduttivo, come messaggio sfuggente, al di là della potenza del mezzo. Oggi, forse, neanche la televisione è più uno strumento di massa. Medialismo: ecco senza dubbio l’etichetta sotto la quale il nostro periodo passerà nella storia dell’arte. Forse non sarà la vera arte del nostro tempo, come qualcuno si è spinto a sostenere, ma certamente la ri-mediazione estetica, come a sperimentato a Corciano è uno dei principali motori dell’economia artistica, un potere ricchissimo che condiziona la vita di tutti i mezzi di comunicazione di massa. Ed è anche il più diffuso, e il più capillare canale di comunicazione, quello che impone al mondo, con la forza delle idee e soprattutto dei grandi numeri, immagini, parole, pensieri, gusti, oltre che merci e prodotti. Insomma, i grandi eventi, come quello di Corciano sono uno strumento estetico e di critica etica all’ideologia di massa, il serbatoio a cui attingiamo il nostro modo di guardare le cose e le coscienze, di scoprire il bello, di divertirci e di criticare gli incubi.
Vale la pena dunque di seguire gli sviluppi dell’arte totale. Perché l’approccio mediale nel nostro mondo, anche a partire dalla marginalità, anche a partire dal borgo, supera la pubblicità e persino la moda non solo per una sfida distributiva e per ricchezza di mezzi e di canali, ma anche per pause, rallentamenti antidromologici. Per quanto tumultuose siano state le mode della pubblicità, per quanto potenti e frequenti le sfilate degli stilisti e le oscillazioni del gusto segnate dai mezzi di comunicazione, da tempo l’arte resiste nel suo volano antropologico e lì dentro si rispecchia. La resistenza sta nella ricerca stessa di un aggiornamento del campo visivo e comunicazionale. Certo che il concetto di arte inteso come una sorta di comunicazione presenta i suoi rischi, perché analogamente al linguaggio ci si aspetterebbe che la comunicazione avvenga fra l’artista e il suo pubblico, nozione che potrebbe essere anche fuorviante. Ma c’è pur qualcosa che, senza incorrere nel rischio di esprimersi troppo letteralmente può essere chiamato mediale, il mediale dell’arte e nell’arte, e precisamente il rendiconto che le arti stesse danno di un determinato luogo o epoca agli uomini di un’altra epoca, di un’altra centralità. Nessun documento storico potrebbe dirci in migliaia di pagine altrettanto intorno all’immagine medioevale o rinascimentale, intorno al neo-umanesimo, tanto rivalutato oggi, di quanto può una sola visita a un’importante esposizione d’arte contemporanea come “Stendale …” o “Corrispondenze …”. In questo senso l’arte mediale e quella medievale acquistano la loro centralità, ma non è personale né desiderosa d’esser compresa. La spinta ad operare in direzione interdisciplinare rappresenta per appuntamenti come Corciano ancora un orientamento decisivo per accogliere e confrontare diversi “sguardi sul mondo”. In particolare, nell’utilizzo di discipline espressive (quali la Musica e le Arti), l’apertura delle singole cornici epistemiche diventa indispensabile per considerare l’esperienza estetica nella sua forma più genuina: quella che rompe i confini e amplifica, mettendo in relazione i sensi. Attraverso l’individuazione dei tratti che accomunano e distinguono concettualità quali intertestualità, transcodifica e intermedialità, il contributo cerca di fornire strumenti per l’attivazione e la lettura delle relazioni tra le arti, da considerare anche in prospettiva educativa interdisciplinare.
La traduzione curatoriale è mediale. Non è scontato che l’arte sia un linguaggio mediale. Quest’affermazione deve essere dimostrata, ed essa lo è in base al ciclo di produzione che si crea intorno all’artigianalità dello stendale. Il pittore realizza il bozzetto e l’industria artistica tardo contemporanea realizza il definitivo. In sostanza è mediale tutta la Macchina corcianese, perché si struttura come un sistema, perché cerca di mantenere la coerenza rispetto al funzionamento generale del sistema dei segni, il loro essere costituiti da una forma o da un contenuto, il loro ubbidire a leggi stabili della comunicazione stessa: che gli eventuali codici in base ai quali l’opera comunica siano partecipati da tutti i soggetti dell’atto linguistico; che l’evidente riformulazione dei codici (tipica delle opere d’arte) abbia anch’essa una fondazione spiegabile all’interno del sistema. L’iniziale problematica relativa alla possibilità di individuare un codice specifico del mediale è andata successivamente articolandosi tra l’individuazione dei codici specifici del linguaggio visivo e quello dei codici eterogenei, che entrano in funzione nelle singole opere che adottano le singole tecniche. È per questa via, comunque, che la laboratorialità dello Stendale e delle Corrispondenze, pur mantenendo il proprio carattere fortemente specialistico, è andata liberandosi dall’iniziale subordinazione al modello linguistico, avvicinandosi maggiormente alla complessità e alla varietà del fenomeno new media, lost in translation, istallazione multimediale e performing media.
Info:
Mario Volpi, Casa percorribile con difficoltà, 1973, 53 x 80 cm
Mario Volpi, Nosro, 2004, 67 x 100 cm
Mario Volpi, Tradito, veglia, 1995, 67 x 100 cm
Caterina Notte, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
De Nola, Stendale, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
Manetas Milton, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
Maurizio Cannavacciuolo, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
Nello Teodori, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
Santolo De Luca, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
Tommaso Tozzi, Codice Rebel, 1989
Vedovamazzei, Stendale, stampa su cover up, 2019
Maurizio Arcangeli, Stendale, Corciano, stampa su cover up, 2019
Antonello Matarazzo, Stendale, Mura di Corciano, in un riadattamento di Ernesto D’Argenio, 2019
Barbara Amadori, Sulla scrittura (Per un diario a più voci)
Maurizio Cesarini, Le retour de l’autre, incontro-performance, 5 agosto 2019, Corciano Festival
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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