Sono passati più di cinquant’anni da quando, nella prima e storica sede dell’Attico, in piazza di Spagna, Jannis Kounellis esponeva la sua Margherita con fuoco in occasione di Fuoco Immagine Acqua Terra (1967), ma il rapporto di Fabio Sargentini con i fiori sembra essersi tutt’altro che esaurito. Corpi fioriti è infatti il titolo della mostra che, inaugurata dal gallerista romano lo scorso 26 novembre, sarà aperta fino al 3 marzo nello spazio di Via del Paradiso. A due anni da Doppio diario, e in seguito allo shock pandemico con le successive ricadute normative sui luoghi della cultura, Sargentini torna confezionando un gioiello di rara intimità, il cui baricentro è La Criarde (1943), una piccola tela di Victor Brauner (1903-1966). “Da quando me ne sono a malincuore privato”, scrive Sargentini, “non l’ho mai dimenticato”. Il quadretto del pittore rumeno, ceduto infatti circa mezzo secolo fa, “torna a casa” per gentile concessione degli eredi del collezionista. La Criarde è un essere impossibile, una simultaneità di piani che prende le forme e la forza del feticcio, un totem in cui i profili egizi e perfetti degli opposti convivono stemperandosi nell’assoluta frontalità dell’icona. Dei tracciati lineari disegnano sagome vagamente umane, dei volti il cui campo visivo viene uniformato dalla presenza di un grande occhio. Dalla bocca di uno di questi volti parte una lingua/stelo che, stretta tra le terminazioni acuminate di una falce di luna, si spinge verso l’alto fino a sviluppare una corolla che, pur non essendo un occhio vero e proprio, ne assume ugualmente il ruolo.
Il napoletano Stefano Di Stasio (n.1948) porta in dote due opere. Ne I destinati (1994), tela appartenente a Sargentini, i fiori (delle rose) si fanno arma del destino che lega due amanti. Stretti dalla morsa di due corone di rose, e inginocchiati dinanzi a un Fato che li vuole uniti, un uomo e una donna occupano – forse addirittura rivendicando – lo spazio vuoto di un enorme e asciutto piazzale, privato di qualsiasi informazione. Questo è incorniciato sulle retrovie dalle geometrie elementari di caseggiati in silhouette, introdotti, pur minimamente, nella loro tridimensionalità dalle luci gregarie di pochi lampioni, anch’essi, forse, complici del crepuscolo. Accesi da una fonte esterna che ne inquadra i volumi, i corpi delle due anime, chiamate a presenziare dal destino, emergono dalla penombra, “sospesi tra unione e distacco” (Lorenzo Canova), tra la forza della convinzione di chi accoglie il compito e la discreta, quasi mariana rassegnazione di chi, chinando il capo verso terra, accetta la “piccola morte” del suo passato. Ed ecco che lo spazio scarno, al limite dell’astratto del piano d’azione si trasforma nel palcoscenico dell’essenziale, in una singolarità psico-geografica depurata dal superfluo all’interno della quale ognuno di noi è chiamato ad affrontare il senso in tutta la sua sconcertante densità. In Rose a nudo, quadro realizzato appositamente per la mostra, un bastone poggiato su un piano interrompe bruscamente, all’attaccatura della spalla, il dolore di un uomo – nuovamente un autoritratto – che, cacciato in un vuoto pronto a farsi baratro, rinasce in un idillio ambiguo tra alba e tramonto. Sul suo braccio nudo, l’artista dispone le spire dei rampicanti sulle quali ad aprirsi sono ancora alcune corolle di rose. Presenza costante nel suo corpus pittorico, il bastone per Di Stasio funge da vero e proprio separatore dimensionale, da strumento che “divide” le opposte “acque” della coscienza umana.
Nel corso della sua lunga e fortunata carriera artistica, Luigi Ontani (n. 1943) ha scelto di essere chiunque. A proposito delle due fotografie di Bacchini (1970) presenti in mostra, Sargentini si interroga sulla loro ragion d’essere. “Un retaggio di Arcimboldo?”, si chiede il gallerista, meditando su una delle due stampe in cui, nudo su una dormeuse in velluto, Ontani si ritrae con le gambe incrociate, il viso nascosto da una cascata di grappoli d’uva e le mani a coprire il sesso. Dall’ozio misurato di un dio pagano, Ontani passa quindi ad assumere le sembianze di un vaso (Tulipano nell’ANO, 1980). Ancora nudo e accovacciato in una posa (anti)classica, l’artista sembra accennare un sorriso che ha tutto il sapore della spensieratezza infantile, delle infinite simulazioni dei bambini e del loro costante “gioco” ad essere tutto e niente.
“Non ho perso il viziaccio d’inventarmi mostre”, confessa simpaticamente Sargentini, e a ragione. Corpi fioriti è questo, dopo tutto, un piccolo scrigno di vera contemplazione. Un intervento “salvifico”, si potrebbe aggiungere, che, in un momento storico dove la forsennata corsa alla produzione di immagini non trova occhi sufficientemente pronti a decrittarle, assume un valore ancor più grande, dal momento in cui proprio in passato, già a partire da Nuove Sculture (1966), mostra in cui Pino Pascali costringeva il pubblico ad abitare il perimetro non lambito dal suo mare, è stata proprio la dimensione contemplativa a finire nel mirino del gallerista.
Info:
Corpi fioriti
a cura di Fabio Sargentini
Roma – Galleria L’Attico
26 novembre 2021 – 3 marzo 2022
dalle ore 17 alle 20, dal lunedì al venerdì
Via del Paradiso, 41 Roma
Telefono: +39 06 6869846
E-mail: info@fabiosargentini.it
Victor Brauner, La Criarde, 1943, olio su tela, 61 x 38 cm. Courtesy: Galleria L’Attico
Stefano di Stasio, Rose a nudo, 2021, olio su tela, 80 x 100 cm. Courtesy: Galleria L’Attico
Luigi Ontani, Tulipano nell’ANO, 1980, 105 x 80 cm. Courtesy: Galleria L’Attico
Laureato in conservazione dei Beni Culturali, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. È parte del team che si occupa della gestione di un noto blog di divulgazione culturale ed è inoltre contributor per Juliet Art Magazine. Crede nell’arte come spazio di recupero di una complessità perduta.
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