Nel pensiero filosofico greco la téchne indica il saper fare empirico, la padronanza delle regole di un mestiere. È in sostanza l’origine dell’arte che si eleva quando all’esperienza pratica viene applicata la poiesis, la “creazione poetica”, testimoniata per la prima volta da Erodoto. La tecnologia promette all’essere umano un futuro di possibilità; il XX secolo si apre infatti con una grande fiducia verso l’applicazione della conoscenza per l’evoluzione del sapere scientifico.
RITA URSO artopiagallery propone una conversazione a due voci, a cura di Giulia Bortoluzzi, tra l’opera di Mario Sironi (Sassari; 1885- Milano; 1961), Centrale elettrica (1926), e il lavoro dell’artista belga Eva L’Hoest (Liège; 1991), The Inmost Cell (2020). Il confronto non si esaurisce nel dialogo generazionale, ma apre a una speculazione poetica sul ruolo della tecnica come dispositivo che trasforma il paesaggio e la psiche umana. La mostra è il terzo episodio della serie Correnti, iniziata a settembre 2022 con Correnti I – Animalia, con le artiste Ella Littwitz ed Elena Mazzi, e che da dicembre 2022 a febbraio 2023 ha portato in galleria Correnti II – Blue, una personale di Marzena Nowak. Il ciclo di mostre è concepito per accompagnare la galleria verso il passaggio alla nuova sede, in autunno, e vuole declinare le varie interpretazioni di “corrente”.
Parliamo qui di corrente elettrica, di Centrale elettrica. Isolata sulla parete destra – entrando in galleria – l’opera di Sironi, semplice quanto affascinante, esposta come in un museo: una turbina che squarcia una montagna fatta di terra e ghiacciai feriti. In basso la centrale, dipinta del colore della modernità, bianca e nera. L’opera riporta uno sguardo affascinato da una tecnica che cambia la fisionomia del paesaggio, ma scrutiamo in lontananza una montagna sana, un ghiacciaio quasi leonardesco, che sembra un’immagine nostalgica di una montagna senza cicatrici. L’opera è in tensione tra una considerazione positiva e negativa dell’effetto dell’evoluzione tecnica e scientifica, della considerazione della natura a servizio dell’umanità.
Eva L’Hoest propone invece un’opera composta da un video e due sculture che è stata commissionata dalla Biennale del 2020 di Riga (Lettonia), presentata per la prima volta in Italia in questa occasione. Sul fiume Daugava è stata costruita la diga del Plavinas, per la Centrale Idroelettrica di Riga, che ha causato l’inondazione di piccoli centri abitativi limitrofi, di cui sono rimaste solo rovine sommerse. Il video prende le mosse da questo fatto di cronaca: si tratta di un piano sequenza fatto di reminiscenze e memorie, unite ai miti tradizionali lettoni, e materializzate in una nuova forma tecnologica. Le immagini nascono da un reportage dell’artista sul luogo, sono state realizzate in 3D e in CGI per poi costituire l’iconografia di cui sono composte le sculture. L’opera appare come una catastrofe, una distruzione, contaminata da un testo dal suono poetico. Non è una denuncia feroce quanto più un racconto mitologico, quasi eroico, che si risolve in un vulcano fatto di lava rossa attiva, fuoco e vita. Le sculture in cristallo, scolpite con il laser, interagiscono con lo sguardo cambiando forma a seconda della posizione da cui le si osserva, sono allo stesso tempo bidimensionali e tridimensionali. Vediamo forme naturali che emergono dal fondale marino, come delle tavole botaniche illuminate da una luce elettrica.
Cosa rimane poi della riflessione intorno alla tecnica? Ci si destreggia tra il timore, la responsabilità, la fiducia e la resilienza. Ci chiediamo come agire in relazione a un’evoluzione tecnico-scientifica che trasforma tanto l’ambiente quanto l’antropologia. Attraverso l’opera di L’Hoest possiamo cogliere la speranza, una memoria che resiste a un evento letale. La risposta dell’artista è poetica, è aperta e interpretativa, dal video sentiamo: «The car is warming up, and I can feel its pulse». Martin Heidegger esprime in La questione della tecnica il senso profondo di essa, che non è un mezzo per raggiungere un fine ma un disvelamento dell’essere, la tecnica come portatrice della verità. I due artisti disvelano a loro volta due verità antropologiche, da un lato l’entusiasmo evolutivo, dall’altro una ferita da rimarginare attraverso la poiesis.
Angelica Lucia Raho
Info:
Correnti III – Eva L’Hoest e Mario Sironi. Techne
a cura di Giulia Bortoluzzi
10/03 – 21/04/2023
RITA URSO artopiagallery
via Lazzaro Papi 2, Milano
Lecce, 1999. Consegue una laurea triennale in Comunicazione e Didattica dell’arte e un biennio specialistico in Visual Cultures e pratiche curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera. Collabora con riviste del settore e con progetti curatoriali indipendenti tra Lecce e Milano.
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