Michael E. Smith lavora affidandosi completamente ai sentimenti, alla radice dell’estetica quale studio della percezione e dei sensi. L’artista preferisce abbozzare piuttosto che definire, mantenendo le sue opere aperte e in costante evoluzione. Ciò che rimane è un sentore di incompiuto, un non finito michelangiolesco che è negli oggetti e si struttura nello spazio e nella relazione con lo spettatore.
Smith cerca un dialogo con il mondo dell’inconscio e del possibile, in cui organico e inorganico si fondono attraverso l’assemblaggio e l’uso di oggetti trovati. I ready made, statici e inattivi, vengono disposti nella galleria uniti fra loro alla ricerca di vita. Sono materiali usati, mobili, scarti come scatole di scarpe, sedie, strumenti di lavoro, prodotti di industria come i finti prati verdi, i layers in plastica trasparente, o i soliti palloni da basket e palline da tennis, ma anche elementi naturali come le stelle marine, o derivati come i peli di coniglio. Dall’essenza inumana si passa alla costruzione organica di nuove identità fluide e surreali. Queste nuove forme non cercano di prendere vita sulla tela come si vede in tante mostruose incrostazioni nei dipinti di oggi, ma si attivano nello spazio e nella relazione con esso. È lo spettatore che ponendosi in relazione crea tali connessioni. Il concetto di multiverso emerge in questa pratica artistica dove tutto può essere tutto, ma il vero spazio fisico e le connessioni che emergono sono influenzate dalle percezioni individuali. Questa è arte: un’esperienza espositiva e una relazione tra uomo e mondo, dalle quali i sentimenti emergono e si sviluppano, sia dentro sia fuori dalla realtà. Michael E. Smith non pretende che la sua pratica si identifichi in un oggetto o che si materializzi sulla tela fissandosi per sempre, ma cerca l’opera in divenire costruendo il suo immaginario. Le palle da basket o da tennis, così come gli zaini o gli attrezzi da lavoro industriali assemblati con resti o derivati organici quali zampe, ossa animali/umane pelli, sono l’immagine perfetta della poetica di Michael E. Smith, così come la relazione di questi tra loro, con lo spazio, con lo spettatore (on-site e online). Questa è la direzione.
Nella mostra, sviluppata su due piani, non troviamo altro che oggetti sparsi, che di primo acchito sembrano dimenticati o non realizzati. Non troviamo l’opera che ci si aspetta di vedere in una galleria, ma troviamo ciò che ci si aspetta dall’arte. Il mistero e la tensione. Ovviamente la presenza di oggetti si fa fitta, e le opere ci sono, ma non ci troviamo di fronte a un imponente rigurgito su tela di 200 x 200 cm, bensì di fronte a un ironico Patrick in the multiverse, da Spongebob, sotto forma di palla da basket con stella marina, appoggiato su mobiletti per la tv dai quali fuoriescono code fatte di palline da tennis. Troviamo poi dei piatti disposti a terra sormontati da palle da basket e pelo di coniglio, mentre scendendo al secondo piano siamo di fronte a Leds e batterie su un tagliere, a sedie, cuscini e guanti coperti da un telo in plastica riflettente, o ancora a due scatole di scarpe Nike piene di foam, di cui una trafitta da un bastone di alluminio, e un bel prato verde. Arrendiamoci al multiverso, alle multi relazioni scaturite dai meme e dal web, ma plasmiamolo nella realtà e nelle opere. L’ironia è critica e l’arte è critica dell’arte.
L’artista non soltanto cerca queste relazioni, ma alza il livello al meta-artistico. La mostra infatti ha un’ulteriore caratteristica, che è in realtà la base di tutte quelle sopra elencate. Essa è costruita dall’assistente dell’artista, dagli assistenti di galleria e dagli installatori. Nulla di nuovo fin qui. Ma perché allora sublimare la figura dell’artista e del curatore quando gli oggetti trovano posto e forma nella costruzione stessa della mostra? Questo è ciò che da decenni si chiedono gli artisti e questo è ciò che Smith continua a fare con il suo lavoro. Ma veniamo al concreto. I mobili che troviamo all’inizio del percorso espositivo ad esempio. Sono lì per quale motivo? Sono stati pensati dall’artista in un bozzetto iniziale? No. Sono stati predisposti per una scelta dettata da una volontà inconscia e profonda dell’artista? No. Essi sono lì perché Smith ha chiesto di comprare dei mobili per realizzare delle opere e quando gli assistenti li hanno portati in galleria e appoggiati a un muro pronti per essere spostati a seconda delle indicazioni dell’artista, egli ha ringraziato e lasciato le opere come sono, perché dalla casualità avevano trovato la loro posizione. Idem le lastre di plastica disposte sulle sedie, il guanto o l’erba verde nell’angolo del piano interrato. L’artista coglie e seleziona.
Facciamo un altro esempio riguardo l’importanza dell’assistente o collaboratore di qualsiasi artista. Come sappiamo, di solito, i grandi artisti hanno uno o più assistenti, che sono a loro volta artisti. Bene, questi assistenti realizzano le opere per l’artista, le mostre per l’artista, comprano strumenti e materiali e via dicendo. Perché allora non se ne parla mai? Sicuramente perché sono ausiliari all’artista principale, sono spesso giovani artisti in formazione e non sono altrettanto conosciuti. Ma questo a Smith non va bene. Il suo assistente Jesse Sullivan è parte del suo lavoro e i suoi lavori sono parte della mostra, quindi va esposto in mostra, come si può vedere al primo piano con tessuti e puntine o luci, e al secondo con un dipinto. Ecco, quindi, che ci troviamo di fronte a una forma di meta-arte critica e sperimentale che spesso manca nell’arte di oggi, e che l’artista in questo caso eleva a protagonista. Michael E. Smith, ormai volto noto in musei e collezioni, ci regala ancora un vuoto da riempire, uno stimolo alla ricerca artistica dei sensi e dello spazio, ma anche del futuro, contro la bulimica spennellata su tela che è trend da qualche anno a questa parte.
Matteo Giovanelli
Info:
Michael E. Smith
20/09/2023 – 18/11/2023
Galleria Zero
Via Carlo Boncompagni 44, 20139, Milano
Matteo Giovanelli (Brescia, 1999) è uno storico dell’arte e giovane curatore. Dopo aver conseguito due lauree in Beni Culturali e Storia dell’Arte presso l’Università di Verona, ha sviluppato un profilo professionale dinamico. Ha collaborato con gallerie d’arte contemporanea, assistendo alla curatela di mostre e partecipando a prestigiosi progetti espositivi e fiere internazionali. Scrive recensioni e critiche d’arte, contribuendo a offrire uno sguardo critico e approfondito sul panorama dell’arte contemporanea.
NO COMMENT