Siamo tutti forestieri su questo pianeta. Il significato più evidente della Biennale 2024 di Venezia (e soprattutto di chi l’ha concepita e organizzata) risiede nelle sabbie mobili che rende larga parte dell’umanità in preda alla sensazione di non essere né di qua né di là, né partita, né giunta a destinazione. Non fa eccezione la mappatura della sezione del Nucleo storico, articolata in tre aree espositive. Si tratta di una promenade artistica (oltre che storica) nell’arte novecentesca realizzata al di fuori del tradizionale baricentro euro-americano. Esponendo in larga parte artisti al loro debutto postumo in Biennale, il curatore ha inteso saldare un debito di riconoscenza nei confronti di chi è misconosciuto alle correnti globali.
Astrazioni, nel padiglione centrale dei Giardini, include, tra le trentasette opere esposte, anche un lavoro ispirato al costruttivismo russo dell’artista originaria della Turchia Nil Yalter, premiata con il Leone d’Oro alla carriera. Frutto di una lunga gestazione, la tela rappresenta una sorta di passaggio tra l’arte per l’arte e l’impegno sociale che caratterizzerà, dalla fine degli anni ‘60, la creatività dell’artista ormai cittadina francese: il titolo, Pink Tension (1969), è una sintesi del ruolo contemporaneo di Yalter. Leggendo i dati biografici degli artisti presenti, salta all’attenzione il dato numerico maggioritario di coloro che sono nati in un luogo (sud ed est del mondo o comunità minoritarie del nord del mondo come quelle aborigene e native) che si rivelerà differente e anche lontano geograficamente da quello della morte. Dal punto di vista artistico, sono tanti i contrasti concettuali e tecnici presenti nelle opere esposte. Vibrante può diventare il contrasto tra la forza resistente nel tempo di un sentiero e la fugacità di un tramonto, in alcuni casi diventa centrale il rapporto tra calligrafia e astrazione, la potenza dei colori trasmette l’impressione di superare i vincoli fisici dell’oggetto, l’asimmetria formale si coniuga bene con la tridimensionalità e il centro delle opere, relazioni spaziali e forme molto semplici convivono in maniera armoniosa.
Ritratti, sempre nel padiglione centrale dei Giardini, include, con la medesima filosofia selettiva della sezione madre, centonove opere di artisti in cui lo spaesamento geografico è meno presente, a vantaggio di un radicamento territoriale più marcato. È possibile rintracciare un fil rouge in una rappresentazione umana più critica e più sofferente. Ne è esempio, ma potrebbero esserne citati davvero tanti, la tela di Frida Kahlo (chiaramente, a un occhio globale, l’icona più riconoscibile della sezione) in cui la sofferenza si manifesta con l’onnipresenza nel proprio autoritratto di un ritratto di Diego Rivera. Altro elemento conduttore della sezione, in linea con il messaggio di alterità della Biennale, è la presenza costante di colori e raffigurazioni che legano gli artisti alla propria terra. Le identità, espresse soprattutto dalle artiste, sono anche una forma di resistenza al colonialismo, i sentimenti non binari e omosessuali che traspaiono leggendo le biografie degli artisti presenti esaltano il coraggio di sentirsi centro di sé stesse/i in contesti sociali ed epoche storiche pionieristiche. L’aura che aleggia nell’atmosfera è quella di un perenne “Je est un autre” (Io è un altro), parafrasato non più in chiave ombrosa del sé ma in chiave altruistica in direzione dell’altro.
Per vedere invece Italiani ovunque, titolo della terza parte in cui è diviso il Nucleo storico, ci si sposta alle Corderie dell’Arsenale. Quest’area include trentanove artisti italiani che, nel corso del ‘900, hanno vissuto in altri Paesi oppure sono nati, con chiara e diretta discendenza italiana, in altri luoghi o ancora hanno segnato la propria esistenza con lunghissimi soggiorni oltreconfine. È presente l’altra vincitrice del Leone d’Oro della Biennale, la calabrese oggi brasiliana Anna Maria Maiolino, che con l’opera Ano 1942 (1973) crea una mappa mentale significativa dell’esperienza migratoria. Il 1942 è l’anno di nascita di Maiolino e l’Italia, raffigurata con la sagoma annerita dal fuoco, è la rappresentazione del bombardamento alleato che timbra lo smarrimento del Paese di origine nell’anno di nascita dell’artista. In questa sottosezione, per i nostri occhi nazionali, è maggiore il senso di penetrazione, data la presenza di artisti noti e riconoscibili. Dal punto di vista del supporto, la stragrande maggioranza di opere è collocata sul mitico cavalletto in vetro di Lina Bo Bardi, anch’essa artista nata in Italia e deceduta altrove (nello specifico, a San Paolo del Brasile). Dal punto di vista tematico, c’è un giusto equilibrio tra raffigurazioni appartenenti all’identità dell’artista (quindi con stilemi tipicamente occidentali) e raffigurazioni ibride grazie all’apporto di elementi artistici legati al mondo di arrivo dell’artista. Nell’esposizione, prevale il legame con la realtà, ma sono anche sorprendenti incursioni nell’astrazione e nell’insolito.
Info:
Nucleo storico
Presso Giardini e Corderie dell’Arsenale
A cura di Adriano Pedrosa
20/04 – 24/11/2024
https://www.labiennale.org/it/arte/2024/astrazioni
https://www.labiennale.org/it/arte/2024/ritratti
https://www.labiennale.org/it/arte/2024/italiani-ovunque
Sono Giovanni Crotti e sono nato nel giugno 1968 a Reggio Calabria per rinascere nel giugno 2014 a Piacenza, città dove vivo. Il mio reddito è garantito dalle consulenze digitali, per poi spenderlo in gran parte nell’arte e nelle lettere: sono stato e sono curatore di contenuti e organizzatore di eventi culturali per artisti, gallerie e spazi istituzionali, oltre che scrittore di recensioni di mostre, creativi di ogni epoca e libri.
NO COMMENT