La 10 & Zero Uno presenta “Il gioco della sicurezza / The Safety Game”, prima mostra personale di Baseera Khan in Italia, a Venezia, curata da Chiara Boscolo e accompagnata dal testo critico di Gabriele Romeo. In occasione di questa straordinaria esposizione, abbiamo avuto il piacere di intervistare la curatrice Chiara Boscolo, la quale ci offre uno sguardo approfondito sulla mostra, discutendo le tematiche esplorate da Baseera Khan e il processo curatoriale che ha portato alla realizzazione di questo evento unico.
Antonella Buttazzo: Cosa ti ha attratto inizialmente del lavoro di Baseera Khan e perché hai deciso di curare questa mostra?
Chiara Boscolo: Per rispondere a questa domanda voglio fare un passo indietro raccontando di come ho conosciuto Baseera Khan. L’incontro è stato, come spesso accade, fortuito e legato ad amicizie comuni. Mi trovavo infatti in visita ad Art Basel Unlimited durante l’edizione del 2023, quando, tra l’installazione di Augustas Serbians che si presentava come una palestra, vedo per la prima volta Baseera. Si trovava lì in compagnia di un caro amico, Bjorn Stern, figura di spicco nel panorama internazionale, noto, tra le varie cose, per l’ottimo lavoro che porta avanti da anni come manager di artisti di alto livello e per la sua attività di consulenza e investimenti nel mondo dell’arte. Khan da subito mi ha colpito per la sua presenza forte e carismatica. Sono bastate poche parole e uno sguardo al suo portfolio per capire che poter presentare il suo lavoro a Venezia sarebbe stata una grande opportunità per la 10 & zero uno e per i suoi visitatori. Ciò che più mi ha attratto della sua ricerca è proprio la capacità di espressione profonda e intrisa di significati che l’artista sa trasmettere con le sue opere. L’utilizzo dei media più disparati (dalla pittura, ai video, dalla fotografia alla scultura, dall’installazione alla performance) è sempre determinato da una profonda attenzione per gli argomenti trattati e dal suo coinvolgimento personale, che la porta spesso a mettersi in gioco in prima persona, sapendo rendere all’occorrenza il proprio corpo elemento rafforzativo del significato in modo mai banale.
Puoi parlarci del processo curatoriale dietro “Il gioco della sicurezza / The Safety Game”?
Colpita dalla ricerca portata avanti da Baseera attraverso una serie di elementi variegati, eppure sempre interconnessi l’uno all’altro, ho voluto presentare al mio pubblico un numero limitato ed eterogeneo di opere, il più rappresentativo possibile degli ultimi dieci anni di attività dall’artista. Il risultato è una mostra che definirei densa e profonda, dove a lavori di ultimissima produzione, come la serie di pitture “The Safety Game” (dal quale prende il nome l’esposizione), sono affiancate opere antecedenti che hanno contribuito al suo riconoscimento a livello internazionale, grazie a importanti acquisizioni, come quella di cinque opere uniche (su undici) della serie “The Sound Blanket” da parte della Salomon R. Guggenheim di New York. In particolare, nella scelta dei lavori si è voluto mettere in evidenza la diversità di temi che l’artista tocca. A partire dalle opere più vicine alla sua identità culturale-religiosa, come il video “Saying Goodbye / Prayer Vase”, fino a opere che si relazionano con il tema della sessualità, come le due sculture prodotte a Murano dal maestro vetraio Marco Giuman. Questo per rendere riconoscibile l’estrema interconnessione che può sussistere tra i temi trattati. Ciò che tra l’altro rende l’artista degna di nota è la sua capacità di far comunicare opere realizzate in periodi diversi e con tematiche di fondo differenziate attraverso il proprio corpo e la propria l’identità. Mi riferisco, ad esempio, alla breve ma efficace performance eseguita durante l’opening di questa sua prima personale in Italia, che metteva a confronto “Acoustic Sound Blanket 8” con le opere in vetro di “The Safety Game”.
Quali opere o elementi della mostra pensi risuonino maggiormente con il pubblico e perché?
Difficile dirlo, credo sia soggettivo e dipenda molto dal sentire e dal vissuto personale di ogni fruitore. Sicuramente il video “Saying Goodbye / Prayer Vase”, prodotto in occasione della residenza alla Skowhegan School of Sculpture and Painting di NY, nel 2014, sa colpire nel profondo e lasciare un segno in appena 46 secondi. L’opera, proiettata all’interno di quella che fu la cella frigorifera della macelleria preesistente negli spazi della 10 & zero uno, vede in primo piano il volto dell’artista con disegnati sulle guance dei confini geografici che rimandano alla storia della sua famiglia. L’inquadratura è fissa, come lo sguardo della Khan che prima gira il capo a destra e poi a sinistra, con un ritmo che va accelerando sempre più fino a confondere l’immagine stessa. Questo movimento, eseguito in segno di preghiera, rimanda alle origini musulmane dell’artista e a un momento drammatico della sua vita. Per cinque volte al giorno per tutta la durata della residenza di due mesi e mezzo, Khan ha girato la testa in segno di saluto e di preghiera per la scomparsa del padre. Un gesto se vogliamo semplice, ma intriso di un significato forte, estraneo alla cultura occidentale e per questo non pienamente comprensibile nell’immediato. Eppure, nei pochi secondi di video, i sentimenti contrastanti di confusione, stupore, incertezza, dolore arrivano dritti all’osservatore, che ne resta rapito. Tutto diventa più chiaro se si ha la possibilità di leggere le parole poetiche dell’artista in riferimento all’opera: «I am a bust, a portrait, a vessel, an antiquity that enjoys contemporary life. To pray is to perform, to empty out one’s thoughts and hold space for beauty and abundance. Flowers drink through long stems while seated in my vessel, I prop the stems in place while turning my head from right to left, then right again. We leave flowers on chests and graves of our beloved, we sway our heads from right to left and right again in wonderment and confusion. You are saying goodbye, we are saying goodbye, we are asking you to listen as we move our heads in prayer. You may never return, you may return again. One never knows. You are a new form nevertheless. I hold myself as a vessel for my future self».
In che modo l’intervento di Gabriele Romeo ha arricchito la mostra e il discorso critico attorno alle opere di Baseera?
Spesso mi avvalgo del contributo di critici o curatori esterni alla galleria per aggiungere ulteriore valore ai progetti espositivi che realizzo. Anche in questo caso, grazie all’intervento di Gabriele Romeo, noto professionista nel settore con diversi anni di esperienza nel mondo accademico e presidente di AICA Italia, credo che chi si avvicini alla mostra abbia la possibilità di farlo avvalendosi di una chiave di lettura ulteriore. Nel testo che accompagna la mostra Gabriele rilegge la pratica artistica di Baseera attraverso parallelismi con il mondo contemporaneo, con opere di altri artisti che hanno fatto la storia dell’arte e con elementi della cultura islamica e indiana-afgana che costituisce l’identità dell’artista. In una parabola crescente, che parte dalle opere realizzate negli anni passati (anche non presenti in mostra) e arriva alle opere esposte presso la galleria, il testo mette in luce i processi di decolonizzazione che Baseera attiva con i suoi lavori e gli elementi della tradizione che rielabora. Ad esempio, in riferimento ad “Acoustic Sound Blanket 8”, Gabriele evidenzia i rimandi alla tecnica islamica del Suzani e a quella indiana del Chikankari nel disegno dei ricami dorati, realizzati dall’artista insieme alla madre in una pratica familiare e personale. Oppure, rispetto alle recentissime opere della serie “The Safety Game” che riproducono in vario modo oggetti sessuali, riconosce il valore sovversivo di tali rappresentazioni “seducenti”, la cui seduzione non è determinata da immagini esplicite, ma piuttosto dal materiale utilizzato, poiché costantemente legato a un corpo politico più ampio. Il testo, quindi, mette in luce quella interconnessione di tematiche che già prima dicevo centrale nella mostra, presentando dei punti di vista e delle conoscenze personali di Gabriele che attivano nuovi livelli di riflessione nel visitatore.
Come descriveresti l’impatto delle opere di Baseera sulla discussione contemporanea riguardo all’identità, al genere e alla decolonizzazione delle narrazioni artistiche?
Il mondo contemporaneo è un mondo diversificato e fatto di prospettive multiple: nell’arte, come in altri ambiti, si cerca sempre più di superare l’eurocentrismo e in generale il pensiero che vede l’uomo bianco eterosessuale come metro di paragone ideale. L’opera di Baseera si muove in modo deciso in questa direzione e la sua potenza sta nel fatto che è strettamente legata a un riconoscimento identitario nelle tematiche da parte dell’artista. La messa a sistema di esperienze personali e collettive rende le opere di Baseera oggetti in grado di difendere la molteplicità, alzare la voce e portare avanti una visione più sensibile e ampia sui grandi temi di attualità. Gli artisti possono essere considerati come il settore di ricerca e sviluppo di un’azienda, sempre un po’ più avanti rispetto al contesto globale, pronti a sostenere ciò in cui credono attraverso la loro produzione con il fine di sensibilizzare e di generare un cambiamento, e penso che Baseera sia un esempio emblematico di questo approccio alla contemporaneità.
Cosa speri portino con sé gli spettatori dopo aver visitato la mostra?
Vorrei che i fruitori provassero ciò che l’arte contemporanea rappresenta per me. Ovvero una materia in grado di stupire, confondere e far innamorare sapendo suscitare quella sana curiosità che ci spinge ad approfondire la conoscenza non solo dell’artista, ma anche dei temi da essa trattati. Quindi, idealmente spero che lo spettatore dopo aver visitato questa mostra continui la sua passeggiata in Via Garibaldi con una maggiore consapevolezza e attenzione alla diversità culturale e alle sue possibilità produttive nella nostra vita. Una donna musulmana queer con le sue opere può aiutare ad aprire gli occhi sul mondo attuale.
Info:
Baseera Khan. Il gioco della sicurezza / The safety game
curata da Chiara Boscolo
testo critico di Gabriele Romeo
5/06 – 21/07/2024
10 & zero uno
Castello 1830, via Garibaldi, Venezia
Dopo aver conseguito la maturità linguistica, ha proseguito gli studi laureandosi in Storia dell’Arte presso l’Università del Salento, con una tesi bilingue sui Preraffaelliti. Da allora, contribuisce attivamente come articolista e collaboratrice con blog nazionali e con riviste e programmi TV locali.
NO COMMENT