Ci sono parole in grado di evocare in modo potente l’appartenenza sacra, profana e materica all’identità della terra che di rocce, vulcani, deserti e polvere di cenere è piena. Una di queste è proprio il termine “cenere” che proietta in sé l’eco della nota espressione latina, tratta dalla Genesi, ovvero “Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris” (“Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai”).
In questo caso non si intende far intravedere un discorso sulle decomposizioni dei corpi o su un qualche concetto religioso con annesse credenze su questioni complesse come la vita e la morte, ma si percorrono le traiettorie dell’arte del nostro tempo per avere uno sguardo libero e indagatore sull’uso di un materiale insolito, come la cenere, con due testimonianze diverse.
Il fatto che nell’arte contemporanea si utilizzi qualsiasi materiale è ormai abbastanza metabolizzato, dallo scorso secolo fino ai nostri giorni, poiché sono infinite le potenzialità, le virtù e le visioni eterogenee dello sguardo dell’arte, a volte anche transgenico.
Non è un caso che la polvere di cenere venga eletta e scelta come mezzo per segnare, creare, trasferire un’impronta di trasformazione con la granulosità vaporosa e impalpabilmente materica di cui è composta. Proprio queste minutissime particelle hanno incantato e ispirato l’artista Zhang Huan, la cui pronuncia vi rievocherà foneticamente la città cinese di Wuhan (da cui è partita la pandemia Covid-19), non lontanissima dalla provincia di Henan, da cui proviene appunto Huan. Tranquilli, superato lo scoglio di questo scioglilingua, il resto della lettura sarà più semplice.
Performer, artista complesso e poliedrico, classe 1965, anche se attualmente vive tra New York e Shanghai, si è conquistato un posto di rilievo nella scena artistica internazionale, ma soprattutto cinese, anche per l’uso della cenere di incenso, realizzando i suoi Ash Paintings e Ash Sculptures.
Per Huan, l’uso della cenere – arrivata in una fase matura della sua ricerca artistica – è un’ulteriore esperienza di connessione con la terra: l’artista con la polvere di cenere dell’incenso dei templi buddisti di Shanghai realizza infatti delle grandi sculture ma anche intere visioni figurative.
La cenere, nota per la sua evanescente impalpabilità, viene lavorata e trattata per diventare il materiale principale delle sue opere, che simbolicamente contengono particelle di preghiere e sacralità dei templi buddisti, ma anche la nomenclatura della polvere terrestre, immortalata e solidificata in opere scultoree e pittoriche d’arte contemporanea.
Ne sono un risultato le sue creazioni “cenerose” come quelle dei volti di propaganda del Realismo Socialista oppure alcune immagini iconografiche e il volto di Mao. Si potrebbe dire che Huan ha sottratto alla cenere il suo naturale destino di dispersione nel pulviscolo dell’aria, proponendo delle visioni insolite dove il dissolvimento della cenere cede il posto a una certa forma di apparente immortalità.
Invece, in un’altra parte del mondo, proprio dall’estetica della precarietà e dell’impalpabilità di questo residuo polveroso emerge, in modo inusuale, un volto: un’immagine di donna. Ma dobbiamo abbandonare i territori della regione centrale della Cina per approdare sul vulcano più alto d’Europa: l’Etna.
“A Muntagna”, con le sue bocche e aperture sempre nuove, per i siciliani che la vivono e la contemplano ogni giorno, è simbolo continuo del respiro della terra, ma anche trasformazione, rinascita. Incanta, spaventa, sorprende e con la sua recente attività ha dato forma a parossismi incredibili e visioni straordinarie di escandescenze di fuoco e lapilli con annessa caduta di cenere lavica in tutto il territorio etneo, procurando non pochi disagi. Eppure c’è chi è riuscito a trasformare questo disagio in un miraggio, un’apparizione.
Succede con un’artista della ceramica, la siciliana Angelika Antonella Finocchio, che ha celebrato la caduta della cenere lavica sul suo terrazzo disegnando i tratti di una immagine di donna: nitida, con segni decisi, occhi grandi, quasi una dea, con sguardo polifemico – ma con due occhi – che sembrano contenere il femminile e il maschile.
Di questa immagine resterà solo la testimonianza delle foto perché tutto ritornerà nell’etere. Così questo disegno sulla terrazza di casa ha sintetizzato e reinterpretato in sé la forza del ventre della “vulcana” – verso cui i siciliani riconoscono una identità al femminile – e la precarietà dell’arte così come della vista stessa. Un atto che si lega perfettamente all’estetica del sacro e del precario tipici di ogni perfomance, appartenente alle arti visive.
Questa visione di donna, che ha viaggiato con post e tantissime visualizzazioni sui social e sul web, rievoca in noi l’appartenenza alla terra, una madre di cui non conosciamo né volto, né l’origine, né la sacralità in un mondo dove spesso la brutalità degli eventi ha cancellato le immagini delle utopie visionarie, sognanti e immaginifiche. Allora, non resta che tenerci cara questa immagine, come memoria di una “apparenza nuda” che è ritornata a essere “parte pura dell’abisso”.
Nilla Zaira D’Urso
Zhang Huan, The World is Ours as Well, 2011
Zhang Huan, Ash Banquet, 2011
Angelika Antonella Finocchio, disegno con cenere lavica, 2021
Attraverso l’arte sente l’esigenza di accostarsi sempre di più alla natura, decidendo di creare una residenza artistica sull’Etna come un “rifugio per l’arte contemporanea” per artisti e studiosi. Nasce così Nake residenza artistica. Vince il Premio Etna Responsabile 2015. Nel 2017, è invitata nella Sala Zuccari, Senato della Repubblica, come critico d’arte. Scrive per artisti italiani e stranieri. Curatrice del primo Museo d’Arte Contemporanea dell’Etna e del progetto “Etna Contemporanea”.
Italo mustone
9 Marzo
Bellissima recensione