Il tocco morbido e tenero della mostra monografica “A Leaf-Shaped Animal Draws the Hand” dell’artista Daniel Steegmann Mangrané (Barcellona, 1977) cambia drasticamente l’algida atmosfera dell’Hangar Bicocca, trasformandolo in un ambiente leggero, luminoso e dolce. La luce, ammessa nell’edificio per la prima volta, così come le quinte di tessuto bianco impalpabile simili a membrane collocate al centro, ne ridefiniscono gli spazi industriali. Come spiega artista, raccontando dell’ideazione site-specific progettata per la galleria milanese “ho immaginato come rendere gentile questo spazio, che sembra quasi aggressivo per le sue geometrie a carattere industriale, e come portarlo a un livello più umano”.
Involucrandoci nei piaceri della simbolica “trapunta”, provenienti dal mondo della natura e addentrandoci negli spazi-pastello orchestrate in modo organico, la mostra sviluppa il discorso artistico iniziato negli anni Sessanta sull’ontologia dell’opera d’arte e sulla necessità e volontà della sua percezione sensuale. Altri punti di aggancio sono, tra gli altri, la teoria antropologica di prospettivismo amerindio e il modernismo organico di Alvar Aalto.
La mostra inaugurata 12 settembre, a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccoli, è la prima personale di Daniel Steegmann Mangrané in un’istituzione italiana, la più ampia mai dedicata a quest’artista. È composta da oltre venti opere realizzate dal 1998 a oggi con una vasta gamma di media, tra cui disegno, scultura, realtà virtuale, botanica e oleaografia. L’artista percepisce gli spazi espositivi come un campo di sperimentazione, con un approccio che deriva dal Neo-Concretismo brasiliano, alla base del suo lavoro. Quest’orientamento interattivo rende l’esposizione divertente, piacevole e accessibile per tutti i potenziali tipi di pubblico, coinvolgendo la percezione a vari livelli. Benché gli esperimenti sensoriali svolgano un ruolo fondamentale, tuttavia non sono i più importanti. La mostra sorprende principalmente a livello concettuale. La complessità dei vari approcci, internamente collegati, si espande nella dichiarazione dell’artista: “Fondere l’interno e l’esterno di una mostra è uno dei primi doveri dell’arte: lo spazio museale non può più essere uno spazio per l’accumulo di manufatti, isolati e protetti dal mondo esterno, ma deve diventare un luogo in cui viene riconfigurata la nostra relazione con gli oggetti e la realtà”.
Nel corso della sua formazione artistica, Daniel Steegmann Mangrané rimase affascinato dalle opere di Lygia Clark e Hélio Oiticica, rappresentanti del Neo-Concretismo brasiliano. Il movimento, attorno al quale gravitarono anche Alfredo Volpi, Lygia Pape, Amílcar de Castro, Cildo Meireles, Oscar Niemeyer, Lina Bo Bardi e Paulo Mendes da Rocha, era partito a Rio de Janeiro negli anni Cinquanta e Sessanta. Avendo appreso e ammirato i punti di vista che sottolineavano l’approssimazione tra il mondo dell’arte e della vita, e che quindi rendevano l’arte più democratica, Steegmann Mangrané cominciò a creare la sua avventura artistica su misura. La sua afferenza al Neo-Concretismo riguarda la questione dello stretto rapporto tra il corpo dello spettatore e l’opera dell’arte che ne sollecita i sensi. Come “Oranges Oranges”, l’esperienza cromatica di colore arancione, pianificata nel cubo in cui il soffitto e le pareti trasparenti sono costituiti da un filtro fotografico. L’artista, facendoci entrare per assaggiare la spremuta d’arancia, indaga la questione del confine della percezione. Uscendo dallo spazio, nell’intensità dipendente dal tempo trascorso all’interno, la visione si trasforma per un attimo, e l’esterno diventa blu.
Esempi di Neo-Concretismo sono i quadri di Hélio Oiticica sospesi liberamente nello spazio, finché lo spettatore non si mette nella posizione più adatta per poterli percepire. Le forme e colori “scappano” dalla vista, dalla forma regolare di quadro. Come afferma il prospettivismo amerindio di Eduardo Viveiros de Castro e Tânia Stolze Lima “se nel pensiero ontologico occidentale la natura rappresenta il constesto comune all’interno del quale ogni elemento di connota differenziandosi, secondo la cosmologia amerindia l’aspetto che accomuna tutti gli esseri viventi è l’umanità”. (catalogo mostra)
Gabriel Sierra, artista contemporaneo colombiano, nell’opera “Estantes Interrumpidos” (2008-2015), parla della relazione fra forma e funzione, costruendo scaffali in movimento che perdono la loro funzione quando sono addossati al muro verticalmente. La forma e funzione primaria sono dunque messe in conflitto. La prima questione che si pone a questo punto, è se lo scaffale rimane oggetto di utilità, non avendo più la sua funzione desiderabile. Ma la seconda domanda che sorge è ancora più essenziale. Se posso utilizzare l’opera, è ancora un’opera d’arte?
È un problema di natura ontologica a cui sono state date diverse risposte. In mostra questi interrogativi sono messi sotto osservazione da Steegmann Mangrané che li avvicina ordinatamente, per esempio nel “Table with Two Objects (2016)” e “Table with Objects (1998 – in corso)”, dando attenzione all’aspetto processuale dell’opera d’arte. Sul tavolo ci sono opere mai realizzate e frammenti di opere future, gli oggetti che nutrono la sua pratica quotidiana.
In “A Transparent Leaf Instead of the Mouth” (2016-2017) – installazione in un terrario di vetro e metallo che contiene un ecosistema composto da quercia, faggio, rovo, felce piante autoctone, insetti stecco, mantidi, insetti foglia – l’artista torna a usare i fasmidi, una particolare specie di insetti che si mimetizzano con l’ambiente circostante. L’opera indaga il rapporto tra dissoluzione e appartenenza, le relazioni di interdipendenza, così come i confini tra il soggetto e l’ambiente. Steegmann Mangrané coinvolge il publico alla ricerca delle forme animali che assomigliano al loro habitat, esponendoci alle sorprese delle scoperte, facendoci girare attorno al vivarium, privandoci di interpretazioni univoche. Questa opera è un riferimento sottile al modernismo organico di Alvar Aalto, un sistema in cui l’architettura combina forme e funzioni moderne ed organiche per creare spazi adatti alla natura, cosi come al mondo contemporaneo. (Per approfondire clicca qui)
Ma la questione si riferisce anche alle faccende sociali e politiche, dove i confini tra realtà e finzione sembrano sfaldarsi. “Per me gli insetti stecco sono un simbolo di qualcosa che appartiene a due diversi regni, l’animato e l’inanimato, allo stesso tempo oggetto e soggetto, figura e sfondo, ma anche un elemento che ossessiona il nostro presente. Con la sua presenza ambivalente l’animale sembra dissolversi all’interno dei propri dintorni, ma li contamina e li infonde con la propria vita: ogni ramoscello o foglia diventa sospetto di essere qualcos’altro … e sai cosa? Loro sono davvero qualcos’altro!” – spiega l’artista in un’intervista su Artribune.
Inoltre, tutta la mostra “A Leaf-Shaped Animal Draws the Hand” è vestita nella forma distinta della natura. È accaduto che, a causa della catastrofe climatica, siamo in una relazione particolare con la natura da diversi anni. Simbolicamente è sopra di noi e siamo costretti a mostrarle rispetto assoluto. Spinti dalla opinione pubblica, ma anche da una voce interiore, ogni nostra risposta alle opere che coinvolgono la natura è costretta e riservata. Da questo punto di vista possiamo anche provare a valutare quanto naturale è l’approccio che presentiamo. La mostra in quanche modo accentua questa prudente tendenza con le opere come “Rotating Table/Speculative Device (2019)” ed “Elegancia y Renuncia (2011)”.
Tante altre opere – come “Spiral Forest (Kingdom of all the animals and all the beasts in my name) (2013-2015)”, “Spiral Forest (Gimbal) (2014)”, “Phantom (Kingdom of all the animals and all the beasts is my name) (2015)” (una realtà virtuale nella Mata Atlântica: indossando un visore, il visitatore si trova in un ambiente tridimensionale in bianco e nero che riproduce in ogni dettaglio una foresta) – possono essere considerate come l’omaggio sia alla natura che alla fragile e preziosa foresta pluviale. Queste questioni rendono la mostra non solo elegante e stimolante, ma soprattutto estremamente attuale. “Entrare per la prima volta nella foresta tropicale, (…) ha cambiato la mia percezione del nostro ruolo nel mondo” – ha spiegato Steegmann Mangrané durante la conferenza stampa della mostra all’Hangar.
Dal punto di vista strettamente estetico gli elementi che elevano tutte le sopraddette teorie concettuali dal livello di terra, è per esempio la poesia di Stela do Patrocínio (Rio de Janeiro, 1941). Non fu mai considerata poetessa e fu abbandonata dalla sua famiglia all’ospedale psichiatrico Colônia Juliano Moreira fino alla morte nel 1997. Le sue parole furono trascritte in un libro di Carla Guagliardi intitolato “Reino dos animais e dos bichos é meu nome” (“Il regno di tutti gli animali e di tutte le bestie è il mio nome”). Si può presumere che la vista delle cose da una prospettiva alternativa venne alla luce a causa della presunta malattia di Stela (oppure al contrario, lei era, appunto, una vera, inadatta poetessa), tuttavia “il tempo è gas, aria, spazio vuoto”, “Non volevo avere forma umana, carne umana o materia umana che divenne” oppure “mi stai mangiando così tanto attraverso i tuoi occhi, che non ho più nessun posto da cui trarre forza per nutrirti”, cosi come alcune parole usate da Steegman per la mostra, sono versi penetranti e indimenticabili.
Un’altra modalità che dà voce alla poesia, questa volta visuale, è l’uso della pellicola 16mm, utilizzata per esempio nell’opera “16mm (2007-2011)”. È una densa, lenta, ma in un certo senso quasi violenta entrata nella foresta con una videocamera concepita apposta per questo progetto. L’artista attraversa il cinema strutturalista, con il teoretico annullamento di ogni funzione illusoria e seduttiva del film, per sottolineare i meccanismi di ripresa e di proiezione per raggiungere l’autenticità. L’artista spiega che “ogni metro di pellicola girata corrisponde esattamente a un metro di percorso nella foresta”. (Per il video clicca qui).
Arriviamo così anche all’esplicitazione della concezione dello spazio. Ancora nell’intervista con Ginevra Bria per Artribune, l’artista descrive il suo approccio verso la progettazione dello spazio dell’Hangar: “L’esperienza del visitatore attraversa lo spazio vagando da momenti di concentrazione su dettagli molto piccoli fino ad attimi in cui l’intero spazio viene catturato all’interno di una vista unica. Questo dà un ritmo allo sguardo, che potrebbe essere assimilato alla respirazione. L’approccio sembra una strategia di molti che richiede più tempo possibile. L’intenzione è di raggiungere un momento in cui il visitatore smette di interagire con le singole opere, ma si rende conto di essere aggrovigliato nelle mille relazioni che sprigionano, tra il proprio movimento intrinseco al percorso, le opere e le relazioni create da ogni componente. Credo che solo da quel momento la mostra potrà realmente rappresentare l’interesse di una ricerca”.
La mostra apre gli studi sul campo dell’osservazione e ammirazione della natura intrecciati con ricerche concettuali, eccezionalmente acute visivamente. Il corpo fisico del visitatore è il fulcro sperimentale della mostra, mentre la galleria mette in discussione le pratiche espositive abituali (non è peraltro la prima volta che Hangar Bicocca fa questi tentativi – ricordiamoci per esempio “Take Me <I’m Yours>”, 2018 e “Doubt” di Carsten Höller, 2016)-.
Info:
Daniel Steegmann Mangrané. A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand
Hangar Bicocca, Milano
12 settembre 2019 – 19 gennaio 2020
https://www.hangarbicocca.org/mostra/daniel-steegmann-mangrane
Daniel Steegmann Mangrané, Lichtzwang, 1998 ongoing. Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2019. Courtesy l’artista & Pirelli HangarBicocca. Photo Agostino Osio
Daniel Steegmann Mangrané. A Leaf Shaped Animal Draws The Hand. Exhibition view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2019. Courtesy l’artista & Pirelli HangarBicocca. Photo Agostino Osio
Daniel Steegmann Mangrané. A Leaf Shaped Animal Draws The Hand. Exhibition view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2019. Courtesy l’artista & Pirelli HangarBicocca. Photo Agostino Osio
Daniel Steegmann Mangrané. A Leaf Shaped Animal Draws The Hand. Exhibition view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2019. Courtesy l’artista & Pirelli HangarBicocca. Photo Agostino Osio
Daniel Steegmann Mangrané, Mano con hojas, 2013; Ologramma. Courtesy dell’artista, KADIST collection
Daniel Steegmann Mangrané, Elegancia y renuncia, 2011; Foglia essiccata (ficus elastica japonicum), supporto in metallo, proiezione di diapositive. Veduta dell’installazione: CRAC Alsace Centre Rhénan d’Art Contemporain, Altkirch, 2014. Courtesy dell’artista e Esther Schipper, Berlino. Foto: Andrea Rossetti
Daniel Steegmann Mangrané, Phantom (Kingdom of all the animals and all the beasts in my name), 2015. Ambiente di realta virtuale, visore HTC Vive, sviluppato da ScanLAB Projects, Londra. Courtesy dell’artista. Photo: ScanLab projects, Londra
Laureata in Fotografia e Arte della Registrazione Visuale all’Università dell’Arte di Poznan (Polonia) nel 2013. Laureata in Psicologia all’Università di Adam Mickiewicz a Poznan nel 2015. Nel 2018 ha frequentato il corso “Ultime Tendenze nelle Arti Visive” all’Accademia di Belle Arti di Brera. Scrive d’arte per varie riviste in inglese, italiano, francese e polacco. Artista, curatrice e ricercatrice. Nata in Polonia, vive e lavora a Milano.
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