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Dave Heath. Dialogues with solitudes

Dave Heath. Dialogues with solitudes

Osservando le fotografie appese ai muri immacolati del primo piano de “Le Bal”, dove sarà  possibile visitare fino al 23 dicembre 2018 la mostra “Dave Heath – Dialogues with solitudes”, si viene immediatamente catturati dall’intensità delle immagini in bianco e nero che adornano le pareti. Ritratti che riportano il visitatore indietro nel tempo, alla guerra in Corea, a cui il giovane Dave Heath partecipò come mitragliere, prima di ritornare in patria e cominciare la sua vera carriera di fotografo. Già da questi primi scatti è possibile scorgere la sua capacità di catturare gli stati d’animo dei soggetti ritratti, rendendo catartica una semplice foto e trasformandola in una vera e propria “fotografia dell’anima”.

Heath portava dentro di sé la solitudine e la disperazione dell’abbandono che avevano contraddistinto la sua infanzia fino all’ingresso in orfanotrofio all’età di 12 anni. Fu proprio in questo luogo così triste che egli venne a contatto con la fotografia, vedendo all’opera un fotografo professionista che era stato incaricato di documentare la vita dei bambini dell’orfanotrofio. Il colpo di fulmine fu fatale tanto da indurlo a sottrarre 2 dollari dal portafoglio del direttore del brefotrofio per comprarsi una Falcon Miniature Camere. Iniziò così ad appassionarsi seriamente alla fotografia e qualche anno dopo, nel 1947, venne letteralmente folgorato dalla visione di un servizio fotografico su “Life”, i cui protagonisti erano ragazzi disadattati inseriti in un programma di riabilitazione a Seattle. Riconobbe la sua stessa  disperazione nei loro volti ed il focus della propria attività divenne da quel momento in poi ritrarre lo stato d’animo del soggetto, dare forma con l’immagine ai suoi pensieri.

Ben presto dovette partire arruolato nell’esercito americano ma durante tale periodo iniziò a scattare foto ai propri commilitoni, ritraendoli in pose inusuali, particolarmente riflessive ed intime che denotavano già la sua abilità straordinaria nel cogliere il carattere dei propri personaggi. Di ritorno dalla guerra in Corea, e dopo aver seguito vari corsi di specializzazione, si recò a New York per mostrare le proprie foto ad Edward Steichen, responsabile degli acquisti fotografici per il Moma di New York. Steichen trovò le foto di Dave banali, ma ne comprò ugualmente una e sei anni più tardi ne acquistò 6 per lo stesso museo. Da quel momento in poi la carriera di Heath decollò e le sue fotografie vennero esposte nei più importanti musei del mondo.

Osservando gli scatti, immagini indimenticabili a metà tra il ritratto e il reportage, veniamo trasportati indietro nel tempo e ci sentiamo parte integrante dell’epoca storica di riferimento in cui si muovono i protagonisti, la fine degli anni ’60. Heath era membro del   Greenwich Village Camera Club, dove conobbe tra gli altri Garry Winogrand e successivamente, a partire dal 1959, partecipò a dei corsi di fotografia tenuti da Eugene Smith presso la New School for Social Research. La fotografia di Heath era tuttavia notevolmente distante da quella di Winogrand ma assolutamente influenzata da quella di Smith  e dalla sua versione fotografica del mondo . Drammatica, sferzante, a tratti claustrofobica nel non lasciare spazio al paesaggio dove i personaggi si muovevano. Immagini di chiari scuri assoluti che mitridatizzano lo spettatore, inevitabilmente vittima della sindrome di Stendhal. Particolarmente coinvolto nei cambiamenti politici dell’epoca, Heath iniziò la sua frequentazione di  Washington Square e Greenwich, venendo anche a contatto con gli autori della Beat Generation come Ginsberg e Kerouac. Effigiava con maestria il turbamento dell’epoca, il cambiamento della società, l’inclusione della popolazione nera in quella wasp. Lo sguardo di Heath era particolarmente attento ai volti ed alle loro espressioni e il suo occhio infallibile metteva in pratica il pensiero di Henri Cartier Bresson. “Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”.

È interessantissimo vedere come Heath costruisse le sue foto nella maniaca attenzione allo studio dell’evento, alle proporzioni, agli equilibri cromatici finali. Maestro assoluto del bleaching, del dodging ed il burning, riusciva con esse,  in maniera impeccabile, a manipolare gli scatti e a far emergere dalle pellicole, in un caravaggesco affresco moderno, i volti dei suoi personaggi e i loro stati d’animo perturbati. La bellissima mostra che rende omaggio a questo grande fotografo del Novecento è inoltre arricchita dalla proiezione di tre film del cinema indipendente americano degli stessi anni. Salesman di Albert and David Maysles et Charlotte Mitchell Zwerin (1968), Portrait of Jason di Shirley Clarke (1966), The savage Eye di Ben Maddow, Sidney Meyers e Joseph Strick (1960). “ The savage eye”, in particolare rappresenta un vero capolavoro . In una Los Angeles notturna, la protagonista appena separata, cerca di ricostruire la propria vita vagando per le vie notturne. In questo suo vagabondare incontra personaggi ai margini dai quali attinge però la volontà di riprendere in mano la propria vita. Nello stesso tempo una voce fuori campo le pone domande esistenziali a cui la protagonista risponde scavando dentro il proprio vissuto e coinvolgendo il visitatore nella propria sofferenza. Il dialogo che scaturisce tra i film proiettati e le foto del grande Heath è semplicemente geniale, il frutto di un lavoro curatoriale di altissimo livello capace di lasciare il visitatore assolutamente affascinato da tanta semplicità ed eleganza.

Info:

Dave Heath. Dialogues with solitudes
14 settembre -23 dicembre 2018
Le Bal
6, Impasse de la Défense
75018 Paris

Dave Heath (1931–2016) Jennine Pommy Vega, New York City, c. 1957

Dave Heath, Sesco, Corée, 1953-1954 © Dave Heath / Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York, et Stephen Bulger Gallery, Toronto

Dave Heath, New York, 1960 © Dave Heath / Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York, et Stephen Bulger Gallery, Toronto

Dave Heath, Washington Square, New York, 1960 © Dave Heath / Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York, et Stephen Bulger Gallery, Toronto


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