La piccola mostra Ritual Acts alla Galleria Ramo vede la presenza di due lavori apparentemente molto distanti: le opere dell’artista statunitense Dave Swensen e quelle di Matteo Messori.
Le prime, caratterizzate da un espressionismo regressivo e quasi outsider e da un senso notturno di sospensione, sembrano narrare un’umanità che si dissolve nella penombra di interni domestici, utilizzando formati che ricordano gli ex voto e le icone (oggetti devozionali in un qualche modo) in cui le immagini sembrano non dipinti, ma apparizioni – proprio come l’icona per eccellenza, che è acheropita. Sono figure diafane che sfumano nel buio mentre compiono un gesto o iniziano a proferire una parola, congelata sulle labbra. Si legge in queste composizioni la poetica del far resistere, acciuffandole per così dire al limite estremo del loro disfarsi, le immagini intese come elementi portatrici di valori esistenziali, come a sottrarle dall’oblio un attimo prima del suo compimento.
In questo gesto c’è tutta la portata affettiva del non voler lasciar andare le piccole apparenze del vivere. Allo stesso tempo c’è il tentativo di estetizzare, attraverso la rappresentazione, l’attimo in dissolvenza, rendendolo per sempre immobile, muto, ma come ogni opera in grado di generare relazioni. Per questo motivo mi ricorda le surreali salme del dottor Martial Canterel in Locus Solus, romanzo di Raymond Roussel, che riacquistano un’apparenza di vita ripetendo all’infinito e meccanicamente la gestualità di uno tra i tanti momenti della loro esistenza.
La ritualità di Messori invece parte da un intimo spazio di riflessione e giunge a una monumentalità che sa esprimersi anche nelle piccole dimensioni. Un titolo in particolare mi sembra paradigmatico: fiato. Disegnare col fiato è uno dei giochi che fin da bambini tutti fanno davanti a un vetro chiuso, appannandolo e tracciando con le dita parole, simboli e immagini destinati a svanire assieme alla condensa generata dal proprio respiro. Riflessione dunque, intesa sia come processo del pensiero, sia come l’atto di specchiarsi, nel pensiero stesso e nel vetro appannato in cui si esprime la volontà di rappresentare. Un contesto a metà strada tra la condivisione e l’introspezione, l’apparizione di un pensiero nell’attimo in cui esso si manifesta e che poi svanisce. Un atto di creazione che è performativo nel suo significato più puro, perché non lascia traccia; ma se questo fosse il soggetto dell’opera, basterebbe documentare quel gesto e la sua temporalità. In realtà il fiato è un pretesto narrativo cui l’immagine attinge per strutturarsi: l’atto rituale è interno al farsi dell’immagine, che contiene anche la memoria di una ritualità intima e quotidiana.
Da un certo punto di vista lo schema attraverso cui Messori costruisce il dipinto è assimilabile a certi processi surrealisti (Ernst, Dalì, Tanguy): l’immagine nasce da una “allucinazione” o da un processo di “paranoia critica” stimolata da alcuni automatismi, poi viene come congelata e contestualizzata in uno spazio tridimensionale dove proietta ombre e allo stesso tempo svela la natura illusionistica del quadro.
La scelta di un medium non convenzionale come il denim amplifica la capacità di inserire l’oggetto dipinto nel mondo delle cose, e non solo in quello delle idee. La pittura di Messori è una pittura che agisce nello spazio, e i suoi segni sono chiari, iconici, ideografici; tanto che proprio nello spazio emergono prominenze materiche su cui analogamente sono tracciati segni: obelischi che, creando una relazione con le opere a parete, costruiscono lo spazio e danno le coordinate di un contesto che ora appare non episodico ma totale, immersivo, in dialogo con le opere di Swensen che diventano contrappunto dialettico. Proprio questa dialettica chiarisce la relazione, non priva di conflitti, tra la luminosità dell’opera di Messori e la crepuscolarità di Swensen; un montaggio che attiva connessioni, un racconto che scaturisce dai contrasti. In entrambi questi lavori appare evidente, con opposte poetiche ma affini necessità, che queste opere tentano di congelare il passaggio del tempo attraverso un gesto, che diviene atto rituale proprio perché catturato nel suo farsi e reso incorruttibile dal testo artistico.
Alessandro Gazzotti
Info:
Dave Swensen e Matteo Messori. Ritual Acts
Testo critico di Lorenzo Madaro
25.09 – 28.11.21
Galleria Ramo
For all the images: Dave Swensen e Matteo Messori. Ritual Acts, installation view at Galleria Ramo, ph. courtesy Galleria Ramo, Como
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