Nell’epocale incertezza che il mondo globalizzato sta attraversando, un crescendo negli ultimi anni fino a culminare nell’attuale disastro sanitario, per la pittura è un momento buono. Dopo un decennio all’insegna dell’installazione multimediale o dell’opera digitale, che sembravano aver spostato sul piano virtuale la sperimentazione sull’immagine, da un po’ di tempo a questa parte una giovane generazione di artisti sta riprendendo interesse nell’esplorare le attuali possibilità sintattiche ed espressive di questo medium, complice un rinnovato orientamento da parte dei collezionisti in questa direzione. Se le immagini digitali perseguono un’espansione omnidirezionale per suscitare il coinvolgimento immediato e totalizzante dello spettatore, nel linguaggio pittorico l’illusione di esistenza della rappresentazione mentale dell’artista depositata sulla tela richiede a chi guarda un maggiore sforzo di concentrazione per entrare nello spazio fittizio del dipinto e comprenderne le logiche interne per poi trovare un terreno di mediazione con la propria realtà soggettiva. Tra l’opera e lo spettatore si instaura quindi un rapporto dinamico, che parte dall’accoglimento della proposta visiva dell’artista e prosegue con la proiezione del sé dello spettatore nell’universo parallelo della pittura. In senso allargato appare ancora attuale quindi la metafora della finestra albertiana intesa come luogo della rappresentazione, come soglia tra interno ed esterno del dipinto che implica un rapporto di reciproco rispecchiamento tra osservatore e accadimento pittorico, tra visibile e celato, tra immaginazione e realtà.
Appartiene a questa nuova generazione di pittori anche David Auborn (Kent, 1990) a cui la galleria CAR DRDE di Bologna dedica la personale Eyrie, parola traducibile in italiano come “nido” ma anche “rifugio inaccessibile”. Il progetto riunisce come in un cerchio magico una serie di lavori realizzati per l’occasione in piccolo formato (l’unico che al momento è congeniale all’artista, fino a potersi considerare un tratto distintivo del suo stile), accomunati dalla stessa gamma cromatica di tonalità pastello e da allusioni formali liberamente ispirate all’immaginario biologico e botanico. Quella del giovanissimo artista inglese è una pittura che si pone nel difficile limbo tra astrazione e rappresentazione, l’una sempre al limite dell’altra, dove ricordi, segni, gesti e suoni si amalgamano in un’ambientazione onirica in cui gli sguardi più avvezzi alla storia dell’arte riconosceranno citazioni istintive dei maestri del Surrealismo storico, come Max Ernst, Yves Tanguy o André Masson, ma anche echi della visionaria follia di Hieronymus Bosch. Il colore affonda le sue radici nella porosità della tela e quando rifiorisce in superficie individua forme ambigue in cui arbitrari rimandi alla realtà vengono plasmati in maniera irreale fino a diventare quasi irriconoscibili. Se a prima vista la coerenza sostanziale dell’insieme, l’armonia delle gradazioni cromatiche e la naturalezza dei trapassi chiaroscurali potrebbero dare l’impressione di una figurazione innocua e ordinaria, man mano che ci si avvicina al dipinto per precisare l’oggetto della visione, si scopre con sorpresa quanto quest’apparente calma sia fuorviante.
Ogni tentativo di seguire le linee e i trapassi chiaroscurali di una singola forma per ricondurla mentalmente alla sua matrice reale (alla quale ammicca sornionamente solo per indurci in errore) conduce infatti a un nuovo labirinto visivo e a un più intricato assemblaggio di situazioni mentali. Immergersi in queste visioni è come penetrare nelle fortuite aperture su un misterioso universo senziente che intuiamo essere molto più ampio ed esteso della porzione che David Auborn ci permette di vedere. Il meccanismo percettivo stimolato da questi dipinti è in qualche modo simile a quello della realtà aumentata, solo che qui non sono le immagini a sconfinare nello spazio vitale dell’osservatore, ma è quest’ultimo che viene risucchiato in un tunnel multidimensionale che espande il piano pittorico verso molteplici punti di fuga. In alcune opere si ha l’impressione di osservare al microscopio le cellule di un misterioso macro-organismo capace di esistere sia come sistema integrato e sia nella singolare autosufficienza delle sue componenti, mentre in altre appare più forte il rimando a una morfologia botanica in continua definizione e movimento, di cui l’artista recepisce l’andamento non lineare e la pulsione all’ibridazione. David Auborn rappresenta sulla tela un ecosistema fluido di connessioni anomale, che ingannano con l’apparente plausibilità delle loro logiche interne per far approdare l’immaginazione a una feconda neutralizzazione delle sovrastrutture razionali con cui siamo soliti a interpretare le apparenze visibili del reale. L’unico strumento a nostra disposizione per orientarci in queste preziose epifanie dell’altrove è quindi l’istinto, il cui risveglio coincide con una gioiosa deflagrazione della pluralità.
Nonostante l’enfasi sul sogno come proposta di una concezione polifonica della verità, il processo attraverso il quale l’artista raggiunge questi esiti liberatori è tutt’altro che casuale, ma deriva da un minuzioso tentativo di creare una figurazione che, nel momento in cui si precisa sul piano pittorico, mantiene un’incondizionata disponibilità a modificarsi in relazione agli elementi che la precedono e la circondano, senza cercare mai una stabilità definitiva. E, a mio avviso, proprio questa capacità di lasciare aperto il lavoro al sopravvenire di nuove gemmazioni pittoriche è all’origine della sensuale sospensione che rende il lavoro di David Auborn così maturo e riconoscibile nonostante la sua giovane età e che aggancia il suo linguaggio espressivo alle sfaccettate incertezze della contemporaneità.
Info:
David Auborn. Eyrie
24 ottobre – 23 dicembre 2020
CARDRDE
Via Azzo Gardino 14/A Bologna
David Auborn. Eyrie. Installation view at CAR DRDE gallery, Bologna
David Auborn, Ovulean 2020, oil on canvas, 10 x 15 cm
David Auborn, Polesticarna 2020, oil on canvas, 21 x 15,5 cm
David Auborn, Hyronima 2020, oil on canvas, 15 x 10 cm
David Auborn. Eyrie. Installation view at CAR DRDE gallery, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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