Subire l’attrazione verso l’anomala densità dell’aria che si insinua nelle fessure della coscienza notturna equivale a respirare un blocco di brezza, dura come un diamante. È tagliente e fredda per cui i soli capaci di volarci sono i nostri incoscienti sogni che vi respirano i loro anomali enigmi. Ciò ci costringe supporre che l’unico modo per fissare questo insolito popolo dell’aria è svolgerlo come un gomitolo di costellazioni per stenderlo nelle mani del pittore, l’unico capace di cavarne l’anima. E David Noro sa bene come cogliere i tratti di questi bizzarri esseri, schiudendo loro le opere come delle fessure che si riempiono liberamente di tutto ciò di cui il popolo vive come case, profili umani, volatili, fili d’erba, imbarcazioni, fiori e care memorie. Così, conoscendo il disordine che regna in questi luoghi, scopriremo quanto per te, David, l’arte sia accidentalità, dimodoché il tuo lavoro, agendo senza teorie, non carezza l’occhio di chi lo guarda, bensì stimola un inquieto disagio, in cui la deformazione si contrappone al reale, contendendone il vero.
Così, lavorando su una superficie segnata da improvvisi grossolani accenti che si reggono sulla sola sostanza cromatica, in quanto volontario atto d’urto e ribellione verso la sua materialità, favorisci un’immagine plastica, che il più delle volte è sospesa in lievitazione. In questo modo quell’ossigeno che alimenta la vita delle tue figure lo respiri anche tu, nutrendoti di una innocente imprudenza, sì da generare una pittura di un istinto imperfettamente governato che farebbe disorientare gli animi dei più puri osservanti. Tant’è che guardando i tuoi personaggi si sperimenta una seduzione, che non si saprebbe descrivere in altro modo se non domandandosi: respirando lo stesso ossigeno divento anche io come loro, sono veramente miti e silenziosi come sembrano? No, non sono silenti poiché, come in un estremo paradosso la loro verbalità è espressa nei taciturni visi. Così, tu David dimostri di possedere una arguzia iconica, alcune volte ironica, nutrendoti di loro ogni qual volta reputi necessario, per sentirne il respiro che si esala dal campo di battaglia tonale, in cui aderenza e coerenza formale sono assenti.
E in questa selva d’immagini, in realtà si nasconde un lucente splendore, in cui non v’è del bello estetico, perché se così fosse si nasconderebbe del marcio, ma piuttosto lo stimolo alla seduzione, a scoprirli come identità con specifici significati, allusioni e fantasie. E qui si tocca con mano ciò che per te David è fondamentale: trovare uno spazio loro conveniente, che ben li contenga. Ragion per cui per te esiste un libero e indissolubile rapporto assolutamente necessario e quasi istintivo con le componenti più varie della materia, siano essi tessuti di lino, tavole e tele, in quanto strumenti di fabulazione visionaria per una tua capacità di generare meraviglia ogni qual volta vi entri in contatto. Da qui è naturale per te forzare i limiti categoriali della pittura per via di un surriscaldamento emotivo, affinché l’opera ospiti e sfidi l’abbozzo di una trama. Ciò ti induce a combinare, senza alcun protocollo espressivo ma con fantasia e virtuosistica follia, segrete e mnemoniche allucinazioni. E affrontando un argomento, inconsapevolmente ne inglobi altri ancora, quali il senso di appartenenza verso una cultura, il valore della ciclicità della vita, i privati affetti, i collettivi doveri e la percezione della viziosa monotonia quotidiana che intendi a tutti i costi spezzare.
Eppure, sin dal primo incontro con le tue opere un aspetto mi è chiaro: l’infinita disponibilità verso la creazione come strumento narrativo, pertanto decidi di portare la tua devota storia identitaria e generazionale dentro il tuo lavoro come una piccola strada che talvolta si schiude e in definitiva ne racconti ogni particolare accompagnato dai protagonisti. In maniera inaspettata lavori contro un tempo lineare sì da risentirne anche la successione visiva, una rete enigmatica che adesca e sgomenta poiché non inchioda scene, bensì le fissa vagamente tramite sovrapposizioni in una assurda rissa geometrica. Così la tua è una nevrosi visiva e temporale molto ben riuscita, a cui nessun terapeuta vorrebbe mettere mano, per via del suo aspetto colto, bizzarro e complesso. E questi soggetti mentitamente taciturni paiono frigidi e crudi ma in realtà sono alacri e attivi, sono visi e profili fioriti da un tiepido pomeriggio, attorniati da segni astratti e chiare cicatrici di vita e d’età.
Ma tutti hanno qualcosa di poderoso e intellettualmente terribile: i tuoi volti non intendono essere adorati, come avviene di norma con gli altri artisti, bensì vogliono essere studiati e anche se in possesso di grandi occhi sono intimamente ciechi e di ciò ne sono consapevoli, cosicché raccontano di sé medesimi e vivono solo che per sé stessi. Tant’è che per te il volto e in particolare la parola smorfia, dal cui suono lessicale sei attratto, non è affatto uno spazio minatorio, anzi respirabile in cui tu assieme a loro vi respiri l’aria. E questi occhi tanto ciechi che ci guardano da vicino, con un sottile disinteresse, ora si presentano spalancati, alcune volte immersi in ambienti pregni d’atmosfera, hanno fiori nei loro sguardi come trafori d’aria, sono orientati a un vento che porta pioggia e sospiri, sono posatoio di memorie, amanti di una vocazione alla lentezza, una saggia immobilità in quanto attributo all’intenzione di vivere appieno il luogo e la sua aspra natura. Tutti attendono d’agire e nel loro silenzio si contemplano reciprocamente, anche perché quando ritorneremo a guardali singolarmente noteremo che un tratto di colore è stato ceduto all’altro per puro amore della complicità.
Così la tua pare una pittura biforme, in cui si intrecciano il sublime e il visionario, legittimando l’inseparabilità dell’esperienza quotidiana, la pesantezza della memoria, il senso del ricordo che culla il tuo apporto culturale. E se crediamo in questa follia dell’aria che ossigena figure falsamente cieche e mute, come io credo che sia, dobbiamo cercarne il motivo nell’assenza della buona forma, da cui deriva il magnetismo che emanano. Giacché per te la pittura è luogo occulto, è una visione in cui convive un mondo onirico e solare, così sarebbe un torto a te, David attribuirgli dei significati specifici. E qui s’innesta il legittimo sospetto che tu abbia involontariamente ideato un’alchemica formula d’ossigeno che mantiene tutto ciò in vita in una sorta di opera-fessura, un luogo pieno d’umori e forze latenti pronti a ribollire, esplodere improvvisamente sino a raccogliersi docilmente, per poi richiudersi in falsi silenzi e dissimulate vedute.
Info:
David Noro, Always already
Galleria Richter Fine Art, Vicolo del Curato, 3, 00186, Roma
23/1/ 2024 – 8/3/ 2024
Orari: dal lunedì al sabato dalle 15 alle 19, o su appuntamento
www.galleriarichter.com
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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