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Davide Mineo. Schema Plastico

Davide Mineo. Schema Plastico

Ho incontrato Davide Mineo in occasione della presentazione di  Schema Plastico, opera site-specific realizzata per lo spazio L’Ascensore di Palermo.Ne abbiamo parlato, tanto, prima. Ma solo lì, dentro appunto, nel mentre, si è scatenata forte tutta la volontà di vivere l’esperienza fondante, quella attraverso cui possiamo percepirci fuori e dentro, rappresentazione e vissuto diretto.

Marzo 2021

Davide Mineo: Viviamo nell’epoca dell’addomesticazione del vissuto, non esiste più una visione antropocentrica del mondo, non che quella fosse una visione ideale perché chiaramente l’essere umano non è mai stato il centro dell’universo, ma oggi l’uomo come individuo sentimentalmente attivo non esiste più, e di conseguenza anche il suo pensiero è diventato piatto, inesistente e dominato dall’inconsistenza o, meglio, da un’illusiva materialità. L’arte è sempre stata un’entità plastica, capace cioè di mutare al servizio delle esigenze umane; il mio fare e, di conseguenza, essere artista oggi è una forma di resistenza rispetto all’intangibilità di quest’epoca, l’uomo è già superato, non basterebbe il mio solo pensiero, la mia sola essenza, mi serve fare, creare ideali, creare opere fisicamente concrete. Ho riflettuto molto sul termine “bivacco”, su come la pittura, o più in generale l’oggetto artistico, possa essere la mia “tenda da campo”, ma ho capito che non è esattamente così, non sono io a creare il mio ambiente, ma è l’opera che come manifestazione concreta di un’essenza crea il suo bivacco, il suo ambiente utile al vivere, cosa che il mio solo pensiero non riuscirebbe mai a fare.
Elsa Barbieri: Quando tu mi dici che oggi l’uomo, mai centro dell’universo, non è più sentimentalmente attivo e con un pensiero piatto, io rivivo un’immagine che ho pian piano disegnato nel corso del mio primo lockdown: un uomo fermo a una finestra intento a sforzarsi di mettere a fuoco un panorama di scarsissima definizione. Lungi da me portarti a una riflessione sul pandemico e il trans-pandemico, trovo che la tua proposta vada nella direzione più concreta di cui abbiamo bisogno. Ovvero quella di restituire al corpo, umano, materico e ambientale che sia, il suo ruolo nell’esperienza estetica. Da giorni, riferendomi alla definizione di monumento che tu hai ripreso da Gilles Deleuze, ripenso alla sua idea di differenza, cifra della nostra nuova identità. Mi hai dato conferma di questo pensiero riflettendo sul termine bivacco e legandolo alla tua ferma intenzione di non essere tu a creare l’ambiente ma di lasciare che sia l’opera stessa a farlo. Si apre una dimensione di incisività straordinaria, in cui la differenza si insidia naturalmente.

Aprile 2021

DM: (…) Il titolo del lavoro sarà: Schema Plastico. Plastico da plasticità intesa come capacità del cervello di modificare la propria struttura. Schema come modello semplificato rispetto alla più complessa realtà di un problema.
EB: Tra i tuoi appunti mi ha colpito molto che il silenzio sia cosa viva. Wow, ripenso a quando mi hai scritto la tua idea sull’epoca che stiamo vivendo. Un‘epoca di addomesticazione del vissuto. Che poi è un’epoca fortemente rumorosa nella quale abbiamo quasi la fobia del silenzio. Io credo, come te, che non sia affatto sinonimo di vuoto o rovina o mancanza. Anzi è ricchezza e soprattutto è per me una relazione, che si dona in un rapporto con il circostante. In un certo senso torna un po’ quello che ci dicevamo, presenza e assenza che si sostengono reciprocamente. Mi piace molto il titolo. È sottilmente ossimorico e ben rispecchia l’urgenza che a mio avviso contraddistingue i nostri modi di essere, non soltanto di fare. Cerchiamo e vogliamo sempre degli schemi, che giustamente scrivi essere dei modelli semplificati. Ne abbiamo bisogno per tutto, per essere e per fare. Quasi come delle tutele, delle garanzie. Ma proprio nel momento in cui ne disponiamo, forse anzi proprio perché ne disponiamo, cerchiamo e vogliamo plasticità, quella che tu mi scrivi essere una capacità del cervello di adattare la propria struttura, ma anche quella con cui cerchiamo di modellare qualcosa che è fuori di noi e apparentemente ingovernabile.
DM: Sono molto legato alla capacità di “essere”, certo sono un artista che fa ed è per me un valore fondamentale, ma sono anche convinto che l’arte sia prima essenza che azione: il fare deve esistere ma è conseguenza dell’essere. Questi appunti di fatto sono un’elaborazione grafica di un’essenza, la mia, e bloccarli rendendoli tangibili mi permette di osservarli e quindi di osservarmi.

Maggio 2021

EB: Prima di ogni cosa dimmi, come stai? Sei felice? Vedo che Schema Plastico non travolge chi guarda né stravolge lo spazio. Penso che mai riflessione fu più azzeccata, quella del bivacco, perché l’opera accoglie, avvolge e ha bisogno di tutti e di nessuno di noi. Ha vita sua, ma solo quando noi partecipiamo, quando esperiamo, si installano tutte le differenze che la rendono unica. Torni a dare al corpo, umano e ambientale, il ruolo in primo piano dell’esperienza estetica. Tu avvalori l’importanza che ha il corpo nel riconoscimento e lasci emergere l’esperienza attraverso un modello figurativo che dà la possibilità a ognuno di scoprire e riconoscere le proprie impressioni all’interno di un’immagine unitaria che credo sia iconica dello scarto tra la forma esterna delle circostanze, contrassegnata da un ordine che regola e sovrintende tutto, e quella che invece è la loro effettiva interiorità. Last but not least, una curiosità, che tu soddisferai. Perché viola?
DM: Io sto bene e sono molto soddisfatto della mostra e del lavoro (non è sempre scontato essere soddisfatti del proprio operato). Per quanto riguarda il viola, è un colore che ho già usato altre volte. In questo caso mi ricorda la carta ectografica, cioè la moderna versione della carta carbone, una carta copiativa che ha come “compito” principale quello di registrare le intenzioni, cosa che questo lavoro cerca di fare in tutte le sue forme. Per concludere, io sono molto legato al bello come ideale da contemplare e questo viola è sicuramente molto bello.

26 Giugno 2021

La prima volta che ho visto le opere di Mineo pensai che erano “istintivamente studiate”. Glielo dissi, era il suo punto di forza. Schema Plastico lo è. Ma non solo, ha infatti un ritmo forte, dinamico, non propriamente tra pieni e vuoti ma realisticamente tra forma scultorea e gesto pittorico, che si districa tra istanti di forte concentrazione e pause di profonda riflessione. È un’opera di cui fare esperienza, in cui entrare quando sembra una tenda, da cui lasciarsi trasportare in quell’angolatura da cui sembra una nave. Perché è proprio da dentro che ci si accorge di non avere affatto il controllo dei movimenti: è lei, l’opera, a far muovere e guardare senza l’affannosa ricerca di un significato. Perché Schema Plastico non significa, Schema Plastico partecipa, conducendo l’azione nel margine più o meno stretto, ma densamente ricco di possibilità, che si apre tra il preordinato e il contingente, ovvero l’ambiente che essa crea e l’occasione concreta di ogni singola interazione.

Davide Mineo, Schema Plastico. Installation view, at L’Ascensore, Palermo. Ph. Filippo M. Nicoletti

Davide Mineo, Schema Plastico. Installation view, at L’Ascensore, Palermo. Ph. Filippo M. Nicoletti, courtesy l’artista


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