La Fondazione MAST presenta la prima personale italiana di Dayanita Singh, fotografa indiana protagonista della scena artistica internazionale che dagli anni Novanta esplora le potenzialità relazionali e allusive dell’immagine e le nuove modalità di fruizione visiva che scaturiscono dalla composizione di sequenze espositive o editoriali. Dopo gli esordi improntati ai canoni del fotogiornalismo e della saggistica, l’artista si è progressivamente allontanata dall’intento di documentare e descrivere tradizionalmente attribuito alla fotografia di impronta realistica per dissolverne le convenzionali certezze in un intreccio di poetiche suggestioni che rivelano come il suo campo d’azione possa essere aperto e sconfinato. Disdegnando il significante e la preminenza del momento decisivo per esaltare gli indizi latenti e l’intrinseca polisemia della realtà, Singh costruisce i suoi scatti come enigmi introversi che eludono ogni precisa coordinata di tempo e luogo per sollecitare l’intima adesione dello spettatore e le sue sovrapposizioni logiche ed emozionali.
L’intero corpus fotografico originale dell’artista, inesauribile matrice a cui attinge per la creazione di libri tematici realizzati in collaborazione con l’editore Steidl, è custodito ed esposto in strutture lignee modulari composte da tavoli, panche, paraventi e contenitori segreti liberamente combinabili che nel loro insieme costituiscono il Museum Bhavan, una collezione di immagini-oggetto che si accresce con il progredire del lavoro. L’impaginazione cartacea e scultorea diventa quindi un’interfaccia strutturale e concettuale che materializza il valore del montaggio come operazione artistica in cui la giustapposizione/collisione di rappresentazioni apparentemente oggettive crea un infinito flusso narrativo ed emozionale. Proprio i livelli impliciti in ciascuno scatto, enfatizzati e svelati dalle sequenze di volta in volta proposte, fanno emergere insospettabili legami tra fotografie realizzate in tempi e luoghi differenti dando origine ad un’ulteriore proliferazione di “musei” che individuano particolari tematiche e assonanze formali all’interno del macroinsieme che le accoglie. Nascono a questo modo anche le serie Museum of Machines (recente acquisizione della Collezione MAST), Museum of Industrial Kitchen, Office Museum, Museum of Printing Machines, Museum of Men e File Museum presenti in mostra che raccontano i luoghi della vita e della produzione cogliendone l’essenza evocativa e onirica come organica costellazione di ossessioni silenziose.
Il percorso espositivo inizia con gli scatti di Blue Book, una raccolta di fotografie virate al blu a causa di un iniziale errore di sviluppo della pellicola diventato poi cifra distintiva della serie che ritrae i grandi complessi industriali dell’India moderna in un’atmosfera soffusa e irreale. L’assenza di riferimenti precisi nonostante il rigore dei dettagli e l’evocazione della presenza umana solo attraverso le tracce dell’utilizzo dei vari oggetti stempera l’ostilità del paesaggio in una lussureggiante elegia dell’abbandono e della solitudine. Gli impianti tecnici e funzionali all’interno degli stessi capannoni sono analizzati singolarmente in Museum of Machines e Museum of Industrial Kitchen, serie composte da scatti di piccolo formato che l’artista presenta in griglie modulari eredi della fotografia tipologica di Bernd e Hilla Becher. Se i coniugi tedeschi scansionavano e classificavano il reale epurandolo dalle contingenze per restituirlo in una forma esatta e definitiva, Singh sembra voler fingere un analogo approccio impersonale per poi esplicitare nella ripetizione differente dei suoi modelli le intriganti variazioni di tono, luce e texture che rivelano la coinvolgente fisicità dei macchinari. Attraverso il suo sguardo anonime apparecchiature diventano sculture ed entità dotate di personalità autonome, possono essere i presupposti di misteriose storie sepolte nella memoria o ancora racchiuse in potenza nell’ingombrante laboriosità dei loro ingranaggi, sono in grado di instaurare rapporti simbiotici ed empatici con gli operai che ne presiedono il funzionamento. Le sequenze verticali e orizzontali di lettura suggerite dalle strutture espositive predisposte dall’artista accorpano le immagini per temperamento e carattere in un’esponenziale proliferazione di analogie e contrasti che giocano con l’inarrestabile dispiegarsi di possibilità che increspano la superficie delle cose rendendo uniche anche le sue emergenze più banali.
Il presupposto concettuale e poetico su cui si fonda il lavoro di Dayanita Singh è ancora più evidente nella serie File Museum dedicata alla documentazione degli archivi indiani dove armadi, sacchi e scaffali pieni di libri e cartelle saturano lo spazio con il peso e la permanenza di segreti che il tempo renderà sempre più indecifrabili. Cresciuti su se stessi come creature organiche non troppo dissimili dalla muffa che talvolta si scorge sulle pareti come silenziosa minaccia all’integrità dei documenti, questi labirinti organizzati secondo le logiche soggettive di ciascun custode materializzano la lotta tra ordine e caos che il fotografo deve affrontare per individuare un’immagine in una porzione di realtà e la casualità che in fondo presiede la sua attribuzione di senso. Celebrazione della carta nell’età dell’informazione digitale, File Museum è forse la serie più rappresentativa della fascinazione dell’artista per la vita intesa come inestricabile agglomerato di esperienze e per le inspiegabili ricorrenze che assimilano storie e destini originariamente a se stanti.
Dayanita Singh. Museum of Machines.
a cura di Urs Stahel
12 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017
MAST, Via Speranza 42, Bologna
Blue Book 18, dalla serie “Blue Book”, 2008. C-print, 62 x 65 cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London ©Dayanita Singh
Senza titolo, dalla serie “Museum of Industrial Kitchen”, 2016. Archival pigment print, 30 x 30 cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London ©Dayanita Singh
Senza titolo, dalla serie “Museum of Men – Recent”, 2013. Archival pigment print, 30 x 30 cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London ©Dayanita Singh
Senza titolo, dalla serie “Museum of Printing Press”, 2015. Archival pigment print, 38 x 38 cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London. ©Dayanita Singh
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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