In questa stagione autunnale NUB Project Space, creatura e luogo di Federico Fiori e Francesca Lenzi che dal 2010 propone, con sguardo interdisciplinare, eventi legati alla musica sperimentale e alla ricerca sonora, si apre all’arte contemporanea ospitando una collettiva di giovani artisti, curata dalla piattaforma di ricerca sulle arti contemporanee Condylura.
Lo scarto tra gli appuntamenti live e concerti che abitualmente animano questo luogo sono sicuramente dati dalla luce e dal vuoto. La prima, normalmente sfumata e accogliente è ora accecante, dato il riverbero sulle pareti bianchissime puntellate in modo minimale dalle opere. Così come l’entrare progressivo dei visitatori nella sala spoglia lascia emergere la presenza del singolo più di quella di un pubblico che si fa massa. Eppure, il centro del discorso, la continuità con l’attività dell’associazione, rimane l’attenzione allo spazio, al modo in cui lo abitiamo e a come è stato stravolto dai nuovi meccanismi di monitoraggio e quantificazione che determinano la nostra vita e la sua possibilità di rappresentazione.
Il palinsesto costruito dal giovane duo curatoriale, formato da Paolo Gabriotti e Davide Visintainer, combina continuamente presenza e assenza, visione e controllo come ricordato dal titolo che gioca in modo compiaciuto e irriverente – come tutto l’impianto espositivo – tra l’evocazione delle immagini da remoto e l’azione a distanza (remote control) umana e tecnologica che influenza l’esperienza del quotidiano. I tanti aspetti di cura e di dettaglio, come anche le scelte allestitive, rimandano a un’attenzione quasi editoriale dello spazio espositivo così come dell’evento che, non a caso, è stato lanciato anche grazie a un lavoro grafico e illustrativo di Marco Casella (parte di Visivo in coppia con Mattia Pajè), che a partire dal disegno di un telecomando esploso, in riferimento al film “Cambia la tua vita con un click” (2006) di Frank Coraci, concepisce un’immagine dai colori pop che diventa una vera e propria “opera itinerante”.
Anche il visitatore è inserito, a sua insaputa, in un meccanismo, costretto in uno stato di perenne attesa e scoperta, latenza e inafferrabilità, che aumenta con l’andare del tempo piuttosto che disciogliersi. Sono le opere scelte a dettare il ritmo della visita, ponendo continuamente interrogativi aperti: non stupisce dunque che le immagini abbiano una certa predominanza in questa analisi che mette al centro l’esperienza del vivere e la sua rappresentazione e documentazione. Il primo lavoro che impatta lo sguardo è quello di Paolo Bufalini, in cui la fotografia della madre presa dall’album di famiglia viene stravolta e aumentata grazie all’intelligenza artificiale realizzando un insieme che rinvigorisce gli aspetti di familiarità e distanza, intimità e impossibilità di comprensione.
Se Bufalini interseca il raffronto con la storia dell’arte presentando la madre come una Rückenfigur (figura vista da dietro), Irene Fenara continua la decostruzione dell’autorialità e dei generi, optando per un’azione di appropriazione che salva dall’oblio frame ripresi da telecamere di sorveglianza, che spiccano per le loro qualità estetiche e stranianti. A risvegliare ulteriormente i sensi del visitatore sono sicuramente le opere di Luciano Maggiore e di Mattia Pajè. Maggiore ha concepito per lo spazio un intervento sonoro che si attiva in relazione (non lineare) con l’ingresso in mostra che evoca presenze e assenze, mentre i lavori di Pajé hanno il compito di reiterare il discorso su altri possibili mondi e visioni. Da una parte la scultura Heaven’s Gate trae ispirazione da fatti di cronaca e immagini virali mettendo in scena un possibile evento escatologico, dall’altra l’installazione Ragni, composta da piccoli ragni d’argento nascosti negli anfratti della sala, capovolge di fatto il ruolo dello spettatore che nel momento stesso in cui si accorge della loro presenza immagina anche di essere il soggetto di uno sguardo. Quelle piccole presenze, infatti, che emergono dalle pareti a poco a poco, e poi spuntano ovunque come continue germinazioni, scoperchiano all’improvviso la percezione dello spazio, aprendolo verso infinite possibilità.
Info:
AA.VV. Remote
a cura di Condylura
9.11.24 – 12.01.2025
Nub project Space, Pistoia
www.condylura.com
www.nubprojectspace.com
Serena Trinchero è cultrice della materia e docente di storia dell’arte contemporanea presso IPH – International Programme in Humanities dell’Univerisità degli Studi di Pisa. Alla ricerca scientifica affianca la realizzazione di progetti curatoriali, didattici e di residenza tra arte performativa e visiva collaborando con diverse istituzioni a livello nazionale.
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