Maestro torna Maestro è il titolo di una notevole raccolta di interventi critici frutto di due giornate di confronto all’Accademia di Brera nel 2010 sulla figura di Luciano Fabro. Al suo interno, riprendendo un concetto caro allo stesso Fabro, è tracciata una teoria particolarmente brillante rispetto al sistema di sguardi e conversazioni che coinvolge artisti anche molto distanti nel tempo e nello spazio. La storia dell’arte, secondo Fabro, è in realtà del tutto a-storica, situata sull’ellittica di un eterno presente che accosta epoche all’apparenza distanti e diverge da anni vicini nella cronaca e nel pensiero. Ogni artista, lungo il proprio percorso, compila una propria genealogia che non ha niente a che vedere con la cronologia, ma con un autentico apparentamento che egli avverte; questa compilazione è una grande responsabilità, perché essa si conforma come una vera e propria resurrezione degli artisti con i quali egli si mette in dialogo, violentemente riportati alla contemporaneità.
L’esibizione Dove cresce il roveto, curata dagli artisti Eleonora Molignani e Olmo Erba in collaborazione con Giovanni De Lazzari, mette in mostra in modo brillante una conversazione che coinvolge i bozzetti giovanili di Trento Longaretti, realizzati negli anni ‘30 quando l’artista era ancora studente dell’Accademia di Brera, e le opere di sette artisti e studenti dell’Accademia Carrara. Il titolo Dove cresce il roveto allude ai margini dei boschi, ai fossati che incidono i contorni delle strade: spazi liminali sospesi tra il fiabesco e il caotico, impenetrabili e attraenti al tempo stesso, affascinanti nella loro ambiguità di fruscii e sussurri. Questo concetto si declina in diversi modi durante il percorso espositivo: nei disegni di Longaretti (esposti in otto grandi faldoni che traslano alla lettera la modalità in cui essi sono stati rinvenuti dai curatori durante una visita alla sede dell’Associazione Trento Longaretti) il roveto è un sottobosco di segni spontanei e litigiosi, l’intimo humus dove si è successivamente innestata la prolifica attività pittorica dell’artista. Dopo che lo spettatore ha passeggiato su questo humus, tutto il percorso della mostra diventa il roveto che cresce scricchiolando, con le more e con le spine, senza mai perdere l’afflato di intimità insito nelle sue premesse.
Il roveto è, riprendendo le parole del testo curatoriale, un groviglio fitto di immaginari irraggiungibili nel lavoro di Filippo Cristini; è il luogo dove le bestie si nascondono in quello di Chiara Brambilla; diventa la stratificazione di segni nelle mappe impercorribili di Bianca Bonaschi, sentiero impraticabile delle vedute di Marta Tessaroli; è l’intreccio che avviluppa ciò che si abbandona nel lavoro di Natasha Rivellini; uno spazio archetipico dove l’animale si sente ma non si vede nella ricerca di Eleonora Molignani e il luogo precluso di figure grottesche in quella di Olmo Erba. Il roveto costituisce, per tutto il tempo della visita, un luogo inquieto eppure stranamente confortante, forse perché, pure nelle sue declinazioni più perturbanti e taglienti, esso è restituito in un allestimento realizzato con cura meticolosa, che rispetta e accoglie lo spettatore senza mai nascondersi dietro facili codici che possano costituire rifugi o piedistalli artefatti. Due note ulteriori: l’una sulla non trascurabile scelta politica, cioè di posizionamento, di situarsi in un contesto di margine in un tempo di protagonismo; l’altra sull’ambiente dimesso e storicizzato del Monastero del Carmine, dove l’esibizione si adagia con grazia facendo delle criticità delle opportunità scenografiche che il visitatore può abitare senza che la continuità del suo sguardo sia mai interrotta.
Lo spettatore, al termine del percorso espositivo, fa ritorno una seconda volta ai disegni di Trento Longaretti che l’avevano inaugurato. Qui scopre, coerentemente con l’intuizione di Luciano Fabro, con cui Longaretti ha condiviso la professione di insegnante per buona parte della propria vita, il compimento di una conversazione senza tempo che è finita per trasformare e arricchire la stessa esperienza dell’opera del Maestro, come Trento Longaretti aveva dato il via all’ottica che permea i lavori degli allievi. Colpisce e commuove la nozione che Longaretti avesse, all’epoca della realizzazione dei suoi bozzetti, la stessa età che ora hanno questi artisti emergenti. Forse questi squarci che mettono in comune epoche e sensibilità altrimenti incompatibili riguardano anche le vite degli artisti stessi: in questo senso non ci si può che augurare che il roveto delle ricerche di questi artisti cresca mantenendo tutta la propria potenza inaugurale di modo che, a un certo punto, ci si possa voltare e riconoscere questi loro primi passi trasformati e arricchiti dai loro cammini successivi.
Dove cresce il roveto è visitabile al Monastero del Carmine fino al 27.10.2024 il venerdì e il sabato dalle 17.00 alle 20.00 e la domenica dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00. La mostra, promossa dall’Associazione Longaretti con il Politecnico delle Arti di Bergamo e parte del programma LONGARETTI VIVE, volto alla valorizzazione dell’opera e dell’archivio di Trento Longaretti.
Kamil Sanders
Info:
AA.VV. Dove cresce il roveto
19/09 – 27/10/2024
a cura di Eleonora Molignani e Olmo Erba
Monastero del Carmine
Via Colleoni 21, Bergamo
Nato nel 1998 a Venezia, dopo avere conseguito la maturità classica si trasferisce a Milano dove frequenta l’indirizzo di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2023 pubblica il suo primo testo saggistico per la collana Calibano di Prospero Editore: “Tradizione e Trasgressione. Note dall’India per un’arte indipendente”. Nel 2024 vince il premio Europa in Versi Giovani, al quale seguirà la pubblicazione nel 2025 della sua silloge “sillabario del terribile incanto” per Quaderni del Bardo Editore. Attualmente frequenta il biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali alla Naba di Milano.
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