Assumersi la responsabilità di esprimere un’opinione, presentata con risolutezza, non può che essere un ruolo estremamente sentito. Ciò, ovviamente, comporta il saper difendere il proprio pensiero anche considerando in extremis quei casi in cui ciò non sia particolarmente esemplare o additivo, specialmente se ci si è già palesati in merito. Può accadere anche che un divulgatore, un critico o un saggista, alle volte, non necessariamente debba mantenere quel ruolo divinizzato ed estremamente caricato, pedissequo e pedante, che potrebbe essere imposto dall’esterno; una “maschera”, dunque, che egli stesso può concedersi di togliere quando finalmente il sipario è calato.
L’atto artistico di Andreas Zampella mi induce a pensare, come fruitrice, che quelle molteplici realtà che si celano dietro le maschere rimarranno sempre nascoste, che il gioco dell’intrigo è quello che mi spinge, come un’investigatrice che segue lo stesso caso perpetuamente, a provare invano a disvelarle. “Dove nascono gli uccelli”, titolo della prima personale alla Nashira Gallery di Milano inaugurata lo scorso 15 marzo, è già di per sé un inganno. Dove nascono gli uccelli? Dall’uovo, ovviamente. Ma l’uovo da dove nasce? Ed ecco l’assurdo. Le opere pittoriche di Zampella, dunque, non si prestano alle catene della logica narrativa, né alla volontà del lettore di aspettarsi la parola “fine” all’ultima pagina di un libro, poiché le sue tele non raccontano sequenzialmente una storia, ma vanno studiate singolarmente e pensate scollegate tra loro, seppur visivamente esse siano tra loro unite per l’utilizzo di policromie argillose e impastate con la creta, attentamente miscelate unendole con l’olio.
Anche quegli elementi figurativi che l’artista sceglie di rappresentare, si spogliano della loro prevedibilità o finalità di essere esclusivamente soggetti oppure oggetti vincolati al loro nome. L’idea di sospensione della finitezza, oltre che della vanitas, di cui la natura morta dai fiamminghi a Morandi è evocatrice, viene alterata in Natura morta su frigorifero (2022): gli oggetti in fiamme rompono la stasi tradizionale, gettandosi in un vuoto candido, descrivendo visivamente non solo una tensione verso l’alto, ma anche un dinamismo verso il basso. Di contro, gli stessi elementi domestici che si rassegnano al vuoto, si incontrano infuocati convivialmente in un tavolo in pranzo al buio (2022), racchiudendo in essi la loro potenziale dinamicità attraverso la presenza continua delle fiamme e, ancora, la loro staticità nell’apparecchiare la tavola dalle fattezze argillose, circondati da un manto scuro. La compresenza polare dei concetti, la dicotomia degli opposti, l’inattesa imprevedibilità poetica della messa in scena amplificano l’aspetto evocativo e seduttivo che gli scenari domestici volutamente “non-tetici” di Zampella sembrano esprimere.
Se la “non-teticità” prevede un’assenza di giudizio, in cui si asserisce l’esistenza del soggetto e l’esclusione del predicato, nelle opere di Zampella gli oggetti, animandosi nelle fiamme e fluttuando nello spazio, si caricano di una forza tensiva confermando, di fatto, tale epochè – astensione – che lascia lo spettatore incerto e spaesato. L’eterno stato di cattività che si cela dietro alla definizione del nome, condiziona l’occhio a ritenere con superbia di saper vedere e riconoscere. Ma la riconoscibilità di un oggetto rappresentato, direbbe Sartre, non determina la funzione dell’immagine osservata, ma solo la sua coscienza sintetica, una “quasi-osservazione”[1]. La prima lettura di un’immagine, dunque, si basa sulla ricerca di un elemento mnemonicamente riconoscibile, per poi raccogliere altri dati che possano determinarne una coscienza. Se, però, tale elemento viene decontestualizzato dalla propria funzione abituale, come fece Duchamp con gli objets trouvés, la natura e/o verità certa di quest’ultimo viene messa ironicamente in discussione dall’osservatore, al punto da considerarlo assurdo. Ma è la verità a essere messa in discussione? O la nostra cieca superbia? Ed è proprio in bottiglie di notte (2023) che il ruolo di voyeur viene affidato non più all’umano ma all’oggetto: una bottiglia che Zampella personifica dipingendola in forme diverse e ammassate, dotandole di un loro sguardo, come fossero tante piccole maschere.
Dietro l’astrazione della pennellata argillosa, dietro un sipario scultoreo, al contempo rigido e morbido, Composizione su due treppiedi (2023) mostra una visione offuscata e distratta, in cui si cela un muscolo nitido e sanguino. Argilla del mio cuor (2022) è un invito, forse, da parte dell’artista a non lasciarsi ingannare dalla visione dello spazio nella sua interezza, né dalla sua scenografica presentazione, ma ad avvicinarsi e lasciarsi osservare da ciò che volutamente consideriamo trascurabile.
[1] Jean-Paul Sartre, L’immaginario. Psicologia fenomenologia dell’immagine a cura di Raoul Kirchmayr, pp-26-27, PBE Piccola Biblioteca Einaudi, 2007, Torino
Info:
Andreas Zampella, Dove nascono gli uccelli
15/03/2023 – 15/05/2023
Nashira Gallery
Via Vincenzo Monti 21, Milano
Laureata in Scienze dell’Architettura alla Sapienza di Roma, con diploma di master in Arte contemporanea e Management presso la Luiss Business School, attualmente lavora come stagista e project manager presso Untitled Association. Diplomata in Fotografia e Critica d’Arte a Bologna, attualmente porta avanti i suoi progetti personali ed è parte del team del progetto culturale Forme Uniche.
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