Con L’Esthétique relationnelle, opera letteraria del critico francese Nicolas Bourriaud pubblicata nel ’98, è confermata l’intuizione – divenuta poi teoria filosofica – secondo cui determinare le fondamenta dell’arte relazionale equivalga a servirsi dell’opera come strumento primario per lo sviluppo di un contesto sociale. Ed è sempre Bourriaud ad affermare che nell’arte partecipata «il fine non è la convivialità, ma il prodotto di quella convivialità, cioè una forma complessa che unisce una struttura formale, gli oggetti messi a disposizione del visitatore e l’immagine effimera nata dal comportamento collettivo».
A distanza di anni, ancora oggi si può azzardare che, in alcune realtà urbane – come Roma, ad esempio – ci sia, di fronte a una produzione artistica molteplice e diversificata nei media utilizzati, una certa concentrazione e una particolare attenzione non tanto al dato contemplativo, statico e intimo, insito nell’opera, quanto a una volontà partecipativa da parte del fruitore. Ora, tenendo conto che tale osservazione non possa essere alla base di ogni progetto espositivo romano, il desiderio di esperienza, che sfocia alle volte nella mondanità, rischia di far distogliere lo sguardo dello spettatore dal contenuto e dall’ontologia dell’opera. E, alle volte, compito della critica è fare una precisazione in merito, proprio per la mancata chiarezza – volontaria o involontaria – nei confronti del fruitore.
L’attenzione che si dovrebbe porre nei confronti di Dulcis in fundo, opera partecipativa di Sonia Andresano, Maria Ángeles Vila Tortosa e Carles Tarrassò, realizzata e inaugurata lo scorso 19 settembre presso la Real Academia de España a Roma, non può non tenere conto del riferimento chiaro a una temporalità intrinseca, continuamente richiamata, e al costante rapporto con l’alterità. Sebbene Dulcis in fundo si presenti come un atto performativo, dove lo spettatore è invitato a rispettarne la sacralità mediante il silenzio, la sua epifania si traduce di fatto in un oggetto scultoreo nato da retaggi e tracce di una memoria perturbante: un “dispositivo di socializzazione attraverso il quale viene proposta un’esperienza sinestetica”, afferma Raffaella Perna, storica e critica d’arte, nel testo critico.
Perturbante è, infatti, il continuo rapporto di Dulcis in fundo con il suo doppio. Qui la stabilità intrinseca dell’oggetto tavolo viene meno, attraverso l’installazione, da parte di Andresano, di materiali grezzi, di scarto, al posto delle gambe. L’artista pone l’accento sulla precarietà che è insita nella definizione stessa di memoria e di equilibrio, insistendo sull’ambiguità percettiva di oggetti aggraziati di avorio e vetro che, assemblati e saldati a ganci e carrucole industriali, suggeriscono una fragilità strettamente corporea, propria delle protesi e delle ossa umane. La negazione di una traduzione assoluta del dato reale è alla base della matrice filosofica del pensiero, dove ciò che è visibile diventa altro, doppio o non vero: la compresenza degli opposti o il ribaltamento dei loro significanti, invece, è propria di quell’ironia insita nell’opera d’arte, nel suo continuo gioco tra realtà e rappresentazione. Il piano di incisione in ferro, matrice strumentale delle opere in carta di Maria Ángeles, diventa supporto di un’ulteriore opera autopoietica: tracce e segni di opere organiche coronano il disegno di una radice naturale incisa. L’allegoria simbolica propria della serie Botanica Domestica (2020 – 2022) di Vila Tortosa, allude attraverso la materia organica all’atto potenziale e ciclico della sua natura sia creatrice sia distruttiva, ricordando quegli archetipi femminili antichi che hanno determinato la nascita di realtà e alterità culturali.
È già mediante la funzione originaria del tavolo che si manifesta la propensione da parte dell’uomo verso rituali tradizionali. Il rito porta dietro di sé una condivisione di intenti generando alle volte un atto corale partecipato, lo stesso che determina a sua volta un atto di potere politico. Ed è proprio attraverso il valore simbolico del cibo che Carlos Tarrasò elude il confine fra spazio privato e pubblico. Un tavolo imbandito di dolci, difatti, richiama alla memoria tracce di rituali e vissuti domestici che appartengono a una sfera intima e privata. Esiste nello spettatore, all’atto della degustazione, un atteggiamento quasi devozionale che dà forma a una sospensione silenziosa seguita a volte da una verbosità e un accaparramento del cibo quasi compulsivi. Tarrasò sottolinea il forte contrasto che esiste fra l’immaginario della percezione visiva e l’effettiva materialità dell’opera.
Giulia Pontoriero
Info:
Sonia Andresano, Maria Angeles Vila Tortosa e Carlos Tarrasò. Dulcis in fundo
Testo critico di Raffaella Perna
19 – 29 settembre 2023
Real Academia de España – Piazza di S. Pietro in Montorio, 3, 00153 Roma RM
Info: https://www.accademiaspagna.org/dulcis-in-fundo-performance/
Laureata in Scienze dell’Architettura alla Sapienza di Roma, con diploma di master in Arte contemporanea e Management presso la Luiss Business School, attualmente lavora come stagista e project manager presso Untitled Association. Diplomata in Fotografia e Critica d’Arte a Bologna, attualmente porta avanti i suoi progetti personali ed è parte del team del progetto culturale Forme Uniche.
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