Definizione di animismo: “Concezione tipica dei popoli primitivi, secondo cui ogni fenomeno o cosa dell’universo sono dotati di anima e vivono di una loro vita, spesso creduta divina e degna di culto”.Partendo da questa concezione sulla “vita degli oggetti” la piattaforma E-Flux ha organizzato, con il curatore Anselm Franke, che dal 2013 è a capo della Visual Art and Film alla Haus der Kulturen der Welt, una rassegna digitale e progetto di ricerca diviso in quattro episodi, chiamato appunto Animism.
La necessità di creare e condividere questo percorso espositivo digitale, nasce durante il periodo pandemico in cui l’allontanamento sociale e la conseguente chiusura dei musei hanno portato alla luce l’urgenza di un ripensamento dell’esperienza della mostra trasferendola online, anche se i formati digitali, perfino quelli più “immersivi”, non possono riprodurre completamente il corpo nello spazio in relazione con le opere.
Come si legge anche su E-Flux, generalmente il catalogo di una mostra è la restituzione dell’esposizione oltre le mura museali, che non ha però la pretesa di rappresentare la mostra nella sua complessità, ma include arricchimenti come scritti, saggi e documenti archivistici, non disponibili solo con l’esperienza fisica; come riportato dalla piattaforma “il curatore Anselm Franke è noto per aver sviluppato il format della mostra di saggi, che include documenti, artefatti, opere d’arte e analisi approfondite”. Gli aspetti teorico/discorsivi nella sua curatela hanno un ruolo fondamentale, soprattutto il dialogo fra ricerca artistica e impatto critico. La mostra, secondo Anselm Franke è un luogo contraddittorio dove comprendere la complessità del contemporaneo e il peso di un passato coloniale, rimettendo in discussione la realtà e il modo con il quale la si percepisce creando una conoscenza più ampia, da lui definita “indisciplinata”. Il percorso espositivo digitale ha quindi come intento quello di restituire, con tutte le sue sfumature, una mostra, non solo con le immagini ma anche con testi, libri e documenti.
Il concetto di animismo è un fenomeno, non solo estetico, ma comprende una visione politica di inclusione sociale, dal punto di vista di ciò che noi produciamo, gli oggetti, che hanno una propria soggettività e a cui noi trasferiamo significato. Animism ha come soggetto il ribaltamento della concezione della storia moderna, non intesa come ascesa della scienza o evoluzione della società, ma piuttosto come produzione di materiale non libero; per esempio si può fare riferimento alle collezioni contenute nei grandi musei occidentali che riportano reperti di paesi come l’Egitto, Grecia, etc. Gli oggetti all’interno di questi musei subiscono un processo di trasformazione che li decontestualizza, non esponendoli nei paesi di provenienza, rendendoli oggetti animati coloniali.
Nel testo introduttivo alla rassegna si evidenzia che “il non animato è come una divisione immaginaria la cui organizzazione materiale nel capitalismo è costituiva delle forme moderne di socialità e potere”. Una voce narrante con la correlazione di testi, immagini e video d’artista riflette sulla decolonizzazione del termine animismo, cercando di “usarlo come uno strumento ottico che mette in luce le pratiche di creazione di confini del discorso coloniale moderno”.
Per esempio nell’episodio numero 5, il film The Statues Also Die, 1953 di Chris Marker e Alain Resnais, riflette sulla funzione dell’oggetto nel museo, su come viene etichettato il suo contenuto e come lo guardiamo in relazione anche al discorso coloniale. Il film è stato commissionato dalla rivista letteraria e casa editrice Presence Africaine, fondata da Alioune Diop, centro letterario del movimento parigino Negritude, che dava voce a un’Africa muta e dimenticata. Un’opera appartenente a una cultura non europea la guardiamo “come se avesse la sua ragione d’essere nel piacere che ci danno le intenzioni della persona nera che l’ha creata, le emozioni della persona nera che la guarda, tutto questo ci sfugge”, affermano i due artisti. “Quando un uomo muore e ha avuto una grande influenza in vita entra nella storia, quando le statue muoiono entrano nell’arte”. Il discorso di Marker e Resnais rimane comunque ambiguo, in quanto la loro teoria di una filosofia africana si basa su studi eseguiti dal missionario francese Placide Temples. Egli nel 1930, dopo un breve periodo in Belgio, opera come missionario in Congo, allora colonia belga; ebbe molta influenza nella cultura africana per la pubblicazione del libro La Philosophie bantoue (1945), testo pionieristico nel dare voce alla complessità della cultura africana sconfiggendo gli stereotipi razzisti, in quanto il popolo bantu dell’Africa sub-sahariana e come anche gli Ibo della Nigeria non hanno avuto alcun riconoscimento da parte dei filosofi occidentali. Il libro di Temples sostiene che le categorie filosofiche africane possono essere identificate attraverso la lingua, la cultura e gli attributi metafisici delle loro vite. Nonostante il suo impegno attivo per fare in modo che i tratti della cultura africana non venissero cancellati dalla dominazione coloniale, il suo obbiettivo rimaneva comunque quello di convertire i sudditi africani al cristianesimo, attuando un processo di evangelizzazione autentica.
La narrazione del film di Chris Marker e Alain Resnais è una vera denuncia di soprusi e violenze, gli oggetti mutano di significato quando vengono portati da un Paese all’altro in “una cosmologia conquistatrice”, sfidando le categorie e le divisioni culturali impositive. L’animismo non è quindi solo il trasporre una qualità vivifica agli oggetti o alla natura, ma indaga sul confine dei segni creati dall’uomo e le cose non umane, tra soggetto umano cosciente e oggetto inanimato, rappresentando quindi un ruolo fondamentale per le rappresentazione delle culture colonizzate nel mondo non europeo; le opere d’arte sono le guide che esplorano questi confini, il museo, così come siamo abituati a concepirlo, non è l’involucro estetizzante e colonialista che le contiene.
Ljuba Ciaramella
Info:
Animism: rassegna digitale curata da Anselm Franke disponibile sulla piattaforma E-Flux
Frame del film di Chris Marker and Alain Resnais, Les statues meurent aussi. 1953. Film, 16mm. Courtesy of Présence Africaine Editions
Collage di Max Ernst, A Little Girl Dreams of Taking the Veil (Rêve d’une petite fille qui voulut entrer au Carmel)
Walt Disney, The Skeleton Dance, from the series Silly Symphony, 1929. 35mm film; 5:31 minutes. © Disney Enterprises, Inc. Tutti i diritti riservati
Kiyotaka Isako, “Cyber Soldier Porygon” (“Dennō Senshi Porygon”), Pokémon Episodio 38, Stagione 1, 1997. Animazione riprodotta a velocità 1/6; 21:07 minuti © OLM, Inc.
Jimmie Durham, The Dangers of Petrification, 1998-2007. Vitrine, 39.37 x 78.74 x 29.53 in.; toni, 2 coltelli, 5 piatti in ceramica, 3 taglieri in legno e fogli manoscritti. Courtesy dell’artista e di kurimanzutto
Mi sono laureata alla triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze in Pittura, con una tesi sul ruolo del corpo nell’arte unendolo alla mia ricerca artistico visiva. Frequento attualmente il secondo anno del biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Ho intenzione di ampliare i miei studi frequentando un dottorato di ricerca in arti visive, approfondendo così la mia ricerca critico-artistica.
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