“at Ours, we believe in protecting Americans and their environment”, si legge nelle prime sezioni di ‘Ours’, opera concettuale browser-based dell’artista newyorkese Samuel Marion, prodotta nel 2020 dalla piattaforma Rhizome e presentata all’interno del programma digitale del New Museum. ‘Ours’ ha la fisionomia e il linguaggio di un normale sito web: la prima immagine che compare è quella di un profilo montano dai contorni sfumati, immerso in una foschia che ne accentua la placida tranquillità.
Entrando nella home le creste delle montagne diventano nitide, e in primo piano compare un piccolo gruppo di tende sull’altopiano sottostante: un’immagine introduttiva, quasi una cornice che inquadra il campo di forze discorsive entro cui ‘Ours’ si inserisce: la natura selvaggia e le sue narrazioni, unite a quell’impulso esplorativo, tipicamente Occidentale e Moderno, che la veste di fascino e bellezza quasi mistica.
La portata critica del progetto risiede proprio nella volontà di smascherare, portandola alle sue conseguenze più esplicite, una contraddizione dietro questo velo di Maya: il sottile legame tra la retorica della wilderness e un’ideologia politica conservatrice, nel momento in cui la necessità di una valorizzazione e tutela dell’ambiente va a coincidere con la volontà suprematista ed eugenetica di tutelare la popolazione, proteggendola da ‘agenti’ esterni e corruttori. Tale cortocircuito, apparentemente forzato, viene normalizzato nel futuro prossimo in cui si situa ‘Ours’: un sito di vendita di un outdoor brand – attrezzature e vestiti per escursioni all’aria aperta.
Navigando in questo dominio fittizio ci si confronta costantemente con un linguaggio fatto di statements e brevi testi esplicativi: una precisa strategia di brand advertising che induce un immediato straniamento, passando improvvisamente dalla narrativa della produzione sostenibile a quella anti-immigrazione, culminante nel sostegno all’iniziativa malthusiana: “we’re helping America fighting overpopulation and immigration, ensuring americans get to explore for as long as possible […] This means donating to organizations that are dedicated to building a stronger America: from private border defense groups, organic farms, radical lobbyists, recycling programs, to starting our own program: the Malthusian Initiative”.
Scopo ultimo di ‘Ours’ è infatti quello di combattere il problema della sovrappopolazione degli Stati Uniti tramite la dottrina, formulata a fine XVIII secolo, del pastore inglese Thomas Robert Malthus, che prevede un rigido adattamento della crescita demografica alle risorse economiche di un dato territorio (Malthus, nel suo ‘Saggio sul Principio di Popolazione’ del 1798, invocava anche strategie di riduzione come la negazione di assistenza ai poveri, l’astinenza sessuale o il posticipo dell’età matrimoniale).
Il supporto al malthusianesimo sembra rovesciare la postura progressista di partenza, diventata solo una maschera per politiche in realtà radicalmente conservatrici. In ‘Ours’, con la wilderness che diventa strumento di propaganda, ciò che deve essere protetto non è lo stato oggettivamente incontaminato della natura, ma il sistema di interessi che si generano a partire da esso.
Come spiegato dall’artista stesso (https://rhizome.org/editorial/2020/aug/31), concetti come ‘conservazione’ e ‘conservatorismo’ convivono in una dialettica mobile in cui il primo termine rischia di slittare nel secondo, mantenendo apparentemente una carica semantica positiva che offusca tutte le reali contraddizioni della questione: il lavoro di Marion, porta alla luce queste ambiguità in cui si incrociano ambientalismo, nazionalismo e capitalismo verde, e lo fa tramite un format che, ad un primo sguardo, sembra lontano da qualsiasi opacità: il sito web di e-commerce.
Quella di ‘Ours’ è una critica sottile, non oppositiva, che sembra adottare lo stesso linguaggio subdolo delle narrazioni che vuole decostruire, e in cui la memoria estetica di almeno tre secoli di immagini della natura selvaggia collide con una tendenza politica attuale e anti-inclusiva, basata sull’idea degli ‘Healthy Boundaries’ (altra sezione del sito).
Così come nella veste grafica dell’opera la natura stessa sembra paradossalmente assumere il ruolo di fondale, scenografia in secondo piano relegata esclusivamente al suo fascino estetico. Rimane opaca e, mentre sembra lasciarsi neutralizzare da interessi altri, diventa discorso. A partire da questo assunto di base, Marion tenta di decostruirne le fondamenta: così il progresso è regresso, la fisicità del luogo si risolve in virtualità retorica, lo spazio e-commerce non fa acquistare nulla. Una volta compiuta l’esperienza di ‘Ours’, sembra che la foschia della prima immagine, in realtà, non si sia mai rarefatta, ma che abbia generato una nuova condensa di dubbi e domande, da cui possono nascere storie alternative.
Piermario De Angelis
Info:
For all the images: Samuel Marion, Ours, 2020, screen shot via thisisours.us, courtesy of the artist
Piermario De Angelis è nato a Pescara il 06/10/1997. Dopo aver conseguito la maturità scientifica si trasferisce a Milano per frequentare il corso di laurea triennale in Arti, Design e Spettacolo presso l’università IULM. Attualmente è studente al secondo anno del biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. È contributor per ‘Juliet Art Magazine’ e ‘Kabul Magazine’. Nel 2021 co-fonda, insieme ad altri studenti e studentesse dell’Accademia di Brera, l’associazione culturale no profit Genealogie Del Futuro: realtà che affronta tematiche socio-politiche e ambientali tramite pratiche alternative di community building, attraverso uno sguardo artistico e curatoriale. La sua ricerca vuole essere un’esplorazione del potenziale critico dell’arte e delle immagini in relazione alle urgenze della contemporaneità.
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