Eduard Habicher (Malles, 1956) torna alla Galleria Studio G7 con Eppur si muove, una nuova personale che esplora in un emozionante allestimento ambientale la vitalità della scultura, percepita come mutevole danza di forme esplose la cui presenza fisica si espande lungo le direttrici spaziali suggerite dal movimento reale o virtuale dell’oggetto di partenza. I lavori in mostra sono formati da strutture portanti in acciaio inox che trattengono e abbracciano blocchi di vetro di Murano recuperati tra i materiali di scarto delle vetrerie veneziane e successivamente rilavorati a mano dall’artista. Sin dall’inizio appare evidente che la poetica dello scultore altoatesino si fonda su una raffinata dialettica tra elementi contrastanti, la cui unione riesce a esaltare le rispettive peculiarità in un nuovo agglomerato energetico. La forte connotazione industriale del metallo forgiato, opacizzato, smerigliato e graffiato, che porta inscritte sulla superficie le tracce del lavoro umano, diventa poesia al contatto con le voluttuose trasparenze del vetro, da sempre fonte di meraviglia per le intrinseche preziosità materiche che richiamano alla mente il luccichio delle gemme e dei cristalli.
Habicher procede per sintesi di opposti, così lo sguardo, appena riesce a distogliersi dalle più istintive seduzioni dei materiali per considerare la struttura nel suo insieme, scopre con stupore che la sostanza principale di cui sono fatte le sculture è il vuoto che concretizza le forme latenti generate dalle loro traiettorie e fluttuazioni spaziali. Come scrive il curatore Gabriele Salvaterra, l’opera crea uno spazio intorno a sé che la assorbe e che fa emergere dall’invisibilità la sua natura organica e osmotica. Non si tratta più quindi di plasmare materiali inerti obbligandoli alla finzione o alla rappresentazione, ma di manifestare la loro spinta ad esistere e ad attraversare il tempo e lo spazio.
Alcune opere si presentano come veri e propri pendoli, che lo spettatore è invitato ad azionare per poi lasciarsi ammaliare dal cadenzato dondolio di una pietra appesa a una barra metallica che riesce ad essere contemporaneamente qui e altrove. Altri lavori si aggrappano al muro con la delicata elasticità del fiore e, se sollecitati, vibrano diffondendo i lievi riverberi cromatici generati dalla frammentazione della luce nelle accidentate sfaccettature del vetro. Altri ancora, solo apparentemente più statici, individuano sulla parete un’allusiva passeggiata nello spazio costellata di tracce e di tesori. A questo modo il normale e misurabile scorrere del tempo scandito dalle oscillazioni dei supporti metallici si fonde con il tempo lungo di gestazione dell’opera, anch’esso approssimativamente quantificabile in base all’intensità e alla densità dei segni lasciati dagli strumenti dello scultore, e con quello potenzialmente infinito necessario per osservarla e farla vivere.
Quella di Habicher è una scultura fatta di legami e connessioni: il pieno implica il vuoto, la tridimensionalità allude al disegno, il tempo misura lo spazio, il peso si traduce in leggerezza, la forza di gravità diventa spinta ascensionale e ciò che si vede enfatizza l’importanza di ciò che non c’è. Staccandosi dal muro l’opera si protende verso lo spettatore per trascinarlo nel proprio raggio d’azione, lo coinvolge fisicamente con le proprie lusinghe tattili ed emotivamente invogliandolo a penetrare nella rete di relazioni da cui è circondato. Le braccia metalliche instaurano infatti con il vetro un rapporto ambiguo: da un lato avviluppano le pietre per proteggerle da un’inevitabile caduta, ma allo stesso tempo sembrano imprigionarle e stringerle plasmandone la forma, come se volessero sondare il labile confine tra la dedizione e il possesso. E la loro irresistibile pulsione a prendersi cura della bellezza diventa anche metafora della cupidigia dello sguardo che anela a introiettare l’oggetto del desiderio per impadronirsene per sempre.
La sensibilità di Habicher per il vuoto è strettamente legata alla vocazione architettonica dei suoi lavori che, anche quando sono di dimensioni contenute, riescono ad attivare una rete di forze centrifughe al centro delle quali troviamo sempre l’uomo e il suo spazio di contemplazione. Questa caratteristica è ancora più accentuata nelle opere esplicitamente progettate in scala monumentale, come l’installazione Uni-Verso (ideale contrappunto delle opere in galleria) che fino al 28 febbraio sarà possibile vedere nel Cortile d’Onore di Palazzo d’Accursio. Qui troviamo una grande struttura realizzata in putrelle d’acciaio dipinte di rosso, una forma avvolgente e abitabile che ritaglia nell’aria un universo aperto e fluttuante disponibile ad accogliere nel proprio cuore pulsante chiunque vi si voglia per un attimo ritirare in cerca della propria consapevolezza spaziale ed emozionale.
Info:
Eduard Habicher. Eppur si muove
a cura di Gabriele Salvaterra
2 febbraio – 27 aprile 2019
Galleria Studio G7
Via Val D’Aposa 4/A Bologna
Eduard Habicher. Eppur si muove. Exhibition view at Galleria Studio G7
Eduard Habicher, S-lancio, 2017, acciaio e vetro di Murano, cm 180 x 330 x 35
Eduard Habicher, Universo verso l’alto, 2018, acciaio e vetro di Murano, cm 80 x 35 x 20
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
NO COMMENT